Dal 2002 le spese sono salite tre volte più delle buste paga
Casa, utenze e carburanti i settori dove si sono concentrati gli aumenti maggiori
Di Luca Iezzi
Da "La Repubblica"
7 dicembre 2007
MARIO e Loredana li incontrate tutti i giorni. In questi fine settimana di festa sono una delle centinaia di coppie che affollano le immense passeggiate dei centri commerciali sparsi nella provincia o nelle periferie delle grandi città. Guardano le vetrine, passano interi pomeriggi curiosando e sistematicamente non comprano niente.
Per capire il perché basta guardare dentro le busta paga: entrambi lavoratori dipendenti di media anzianità con un figlio a carico. Cumulando gli stipendi si arriva a 3106 euro di reddito mensile netto. Dopo quattro settimane sono spariti sotto una lista spese correnti di 2962 euro. Restano 144 euro: da risparmiare in vista di emergenze o per togliersi qualche sfizio a Natale. A guardare le stime di commercianti e associazioni dei consumatori la seconda scelta sarà del tutto minoritaria.
Mario e Loredana, presi dal loro dilemma natalizio, potranno consolarsi nello scoprire che da qualche giorno sono la preoccupazione principale della classe dirigente del paese: il Partito Democratico annuncia a breve un'iniziativa sui salari - trovando su questo uno dei pochi punti d'intesa con l'ala sinistra della maggioranza - ministri come Pierluigi Bersani, Paolo Ferrero o Cesare Damiano parlano di "priorità" o di "emergenza"; i sindacati confederali minacciano scioperi generali. Persino il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, ha certificato il loro disagio.
"In Italia - ricorda Mario Draghi - i livelli retributivi sono i più bassi fra i principali Paesi dell'Unione Europea. Le differenze salariali nei confronti degli altri Paesi sono appena più contenute per i giovani, mentre si ampliano per le classi centrali di età e tendono ad annullarsi per i lavoratori anziani". Via Nazionale quantifica il gap con i nostri alleati europei: -25% rispetto alla Francia e -10% rispetto alla Germania. Persino il cardinale Dionigi Tettamanzi, vescovo di Milano, ha dedicato loro un pensiero: "Esiste il problema dei salari insufficienti che colpisce e crea preoccupazione in molte famiglie". Così come aveva fatto alle celebrazioni per il Primo Maggio il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Tutta Italia si è accorta di quello che la nostra coppia tipo ha sperimentato per mesi: tra il 2001 e il 2006 il potere d'acquisto, conferma uno studio della Cgia di Mestre, si è eroso inesorabilmente. All'inizio del periodo il risparmio mensile era praticamente doppio: 281 euro. Nel 2001 il loro stipendio era di 4037 euro al mese, il netto di 2875 euro e le spese arrivavano a 2594 euro. In cinque anni è aumentato del 5,4%, quello netto dell'8%, ma le spese del 14,1%. In termini assoluti significa che ai 3106 netti (4257 lordi) Mario e Loredana sono costretti a sottrarre 2962 euro di spese mensili e i sacrifici sono diventati inevitabili.
Come è successo? Più della pressione fiscale diretta pesano gli effetti di un'inflazione mai recuperata in anni di moderazione salariale. L'Ires Cgil, ha stimato in 1.986 euro la perdita annua per i lavoratori dipendenti: di questi 1.210 derivano dal fatto che i prezzi hanno corso più delle retribuzioni. Gli esborsi sono inevitabili perché i settori con i rincari maggiori si sono visti sulla casa (+24,5%), le utenze e il carburante (+20,6%). Per l'abitazione, se si considerano anche le spese per l'arredamento, Mario e Loredana già impegnavano il 30% delle loro uscite mensili, ora sono al 31%, ma si "vedono" meno, nel senso che è stata ridotta la quota per i mobili e gli arredi a favore delle spese di puro mantenimento.
Uscite inevitabili, che hanno vanificato il contenimento dei prezzi negli elettrodomestici, nelle tlc e modificato le scelte di acquisto. Una quota sempre minore del bilancio familiare è stata riservata ai consumi del tempo libero e della cultura: il budget assoluto è sceso da 135 euro a 133 euro a cui si aggiungono 5 anni di corsa dei prezzi. Per l'abbigliamento spendono appena 10 euro in più, che non coprono l'inflazione. Sono questi i settori che per primi vengono colpiti quando di tratta di "stringere la cinghia". E i dati del 2006 non tengono conto della corsa degli alimentari della seconda parte del 2007.
"È un elemento che dalle ricerche qualitative emerge da anni - spiega il professor Giampaolo Fabris, professore di sociologia dei consumi - gli italiani non hanno abbandonato la loro propensione al consumo, anzi rimangono attaccati, anche un po' "fantozzianamente", al loro tenore di vita, a quella ricchezza relativa conquistata negli ultimi decenni. Ma cercano di farlo con una quantità di risorse molto minore".
Secondo Fabris la risposta, tipicamente italiana, dei consumatori è stata creativa: più informazione, paragoni e ricerca di canali alternativi come il low cost e le vendite dirette. Per risparmiare si usa Internet, almeno per fare i raffronti, si sta attenti ai propri diritti e ai prezzi ingiustificati. Neanche la capacità di arrangiarsi basta più: "L'acquisto è un atto di ottimismo verso il futuro oltre che segno di disponibilità economica - insiste Fabris - entrambe stanno sparendo".
Tra l'altro, i nostri Mario e Loredana, contratto fisso e casa di proprietà, rimangono i rappresentanti di una condizione maggioritaria nella popolazione italiana, ma non sono più al livello più basso del "ceto medio": sotto di loro si è inserito un 11% dei lavoratori che ha contratti a tempo determinato, per di più concentrati negli strati più giovani e meno pagati della popolazione. Una situazione che ovviamente riduce la capacità di risparmio e la propensione al consumo.
Ormai anche per il vero grande amore degli italiani, la casa, il quadro non è roseo: la stragrande maggioranza dei proprietari di casa si è però ridotta al 73,4% delle famiglie dall'81,3 di cinque anni fa. E tra di loro si cela un 13,8% (2,38 milioni) che paga un mutuo sempre più costoso e con durata sempre maggiore, tanto da poter essere assimilato a veri e propri "affitti" alle banche. Anche qui la media dell'Istat sembra edulcorare la verità: la rata media è di 458 euro, nel 2001 era di 344 euro. Più indicativa la percentuale di aumento: +40,9%. Con l'ulteriore aggravante che in molti casi le rate si avvicinano e superano i livelli sostenibili dal budget mensile della famiglia media. Ieri uno dei due principali gruppi bancari italiani, Unicredit, ha annunciato di aver contattato 15 mila clienti "in difficoltà" per concordare con loro un periodo di ammortamento più lungo.
Si guarda già al 2008: il governo sta pensando di ridurre il peso fiscale sui lavoratori dipendenti, ma ogni progetto si dovrà confrontare con le necessità della finanza pubblica con l'ulteriore rischio che un miglioramento troppo basso potrebbe non arrivare nemmeno nelle tasche degli italiani perché ulteriormente decurtato dall'inflazione ancora in crescita. L'altra soluzione deve arrivare dai datori di lavoro.
La moderazione salariale artificiale imposta da Confindustria in molti settori è data dal non rinnovo dei contratti scaduti, un fenomeno che coinvolge ormai 7 milioni di lavoratori. Ora è arrivata una prima apertura: "Ma devono essere collegati alla produttività" è il mantra degli imprenditori chiarito da Luca Cordero di Montezemolo. Un'idea che vedrebbe i lavoratori già creditori: "Su una produttività cresciuta di 17 punti percentuali nel decennio, solo 2 sono stati trasformati in aumenti di stipendio" ribatte l'Ires Cgil.
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