Antonveneta, Siena paga il conto
Il Montepaschi a caccia di risorse per concludere l’operazione. Il 6 marzo l’assemblea voterà l’aumento di capitale: ma con quale sconto rispetto ai prezzi di mercato, visto che il titolo è già molto depresso? Il 10, poi, sarà approvato il nuovo piano industriale.
Il tempo stringe, ma forse mai come in questo caso saranno proprio gli ultimissimi giorni a dire come andranno le cose; se, in oltre cinquecento anni di storia, questa debba essere considerata l’acquisizione più sfortunata del Monte o se, alla fine, sarà premiato il coraggio di una banca che pur pagando e forse strapagando è riuscita ad irrobustirsi in modo significativo e, in termini dimensionali, a conquistare stabilmente il terzo posto nella classifica dei principali istituti di credito.
Sta di fatto che, fin dal primo momento, era stato chiaro che il boccone Antonveneta per il Montepaschi sarebbe stato ostico; difficile da digerire e da spiegare al mercato, come si è visto subito, a novembre, quando dopo l’annuncio il titolo in una decina di giorni passò da 4,4 a 3,6 euro. Gli operatori storsero il muso, davanti ad un’acquisizione che solo un paio di anni prima, a ridosso della contesa tra Bpi e AbnAmro, veniva stimata al fair value 5,5 miliardi di euro, saliti a 6,6 quanto è stata acquisita dal Santander, che subito dopo l’ha "girata" ai senesi, per nove miliardi, a fronte di un patrimonio netto di 3,7. Eppure, cara o non cara, l’acquisizione ha un forte valore strategico anche dal punto di vista di complementarità territoriale e i malumori del mercato, qualche volta troppo concentrato sul breve termine, sarebbero probabilmente già rientrati o quasi, se nel frattempo non si fosse innescata la fortissima turbolenza che sta travolgendo le Borse.
Invece il clima resta cupo e, a metà della settimana scorsa, Mps quotava a Piazza Affari appena al di sotto dei mezzi propri. Poi il titolo è leggermente risalito (ma comunque la capitalizzazione è intorno agli 8 miliardi, meno di quanto il Monte si appresti a pagare) e certo presentarsi ora con una richiesta di aumento di capitale da 5 miliardi (che verrà approvato dall’assemblea del 6 marzo) non è la cosa più semplice da fare.
A Siena, in realtà, ostentano grande tranquillità. Infatti i soci storici a parte Hopa, che è appena uscita per considerazioni proprie hanno già tutti garantito, anche se in alcune occasioni non in modo formale, che sottoscriveranno l’aumento; anzi qualcuno potrebbe prendere lo spunto per salire, come è stata avanzata l’ipotesi non smentita di Zaleski e di Axa; sicuramente non si tirerà indietro Caltagirone, come sempre molto liquido, e gli ambienti senesi ritengono che anche Unicoop Firenze, attualmente socio al 2,4%, farà la sua parte e forse potrebbe persino decidere di arrotondare verso l’alto la sua partecipazione; altrettanto scontato è il sostegno del primo azionista del Monte, la Fondazione, che proprio questo lunedì renderà noto il suo Documento di programmazione triennale, l’equivalente del piano industriale. Se sceglierà di scendere di qualche punto percentuale sul capitale complessivo (ora ha il 58% delle azioni, comprese quelle privilegiate, e comunque ha sempre sottolineato di non voler andare sotto il 51) sarà piuttosto per far spazio a qualche altro socio stabile e privato, limitando le annose polemiche sulla mano pubblica che controlla il Monte (ma non per questo rinunciando alla maggioranza assoluta delle ordinarie).
Non basta. A dare ancora maggiore serenità al Monte c’è l’accordo, sottoscritto con cinque colossi bancari (di italiani c’è solo Mediobanca) che garantisce comunque la sottoscrizione dell’aumento per la parte rivolta al mercato e dei titoli riservati alle future emissioni convertibili; le stesse banche che si sono impegnate a trovare i finanziatori, o a finanziare in proprio, quella parte di prestito ponte, da due miliardi, su cui sono già state fissate le condizioni di tasso (con una maggiorazione sull’Euribor non penalizzante, sostiene chi ha visto le carte). Anche sul resto, dichiarano le parti in campo, è stato fissato tutto il fissabile: insomma, non c’è modo (anche volendo) di tirarsi indietro. E peraltro nessuno sembra volerlo.
E allora? Allora la vera domanda non è "se" ma "come" avverrà l’aumento, cioè con quanto sconto rispetto ai prezzi di mercato un minimo di limatura rispetto alle quotazioni c’è sempre, quando si bussa a cassa rispetto ad un valore del titolo già molto depresso. Comunque, il 6 marzo l’assemblea voterà l’operazione e il 10 verrà presentato il nuovo piano industriale di gruppo, inclusa Antonveneta.
Ben prima, entro la fine di questa settimana o al massimo la prossima, dovrebbero esserci invece novità sul fronte della vendita dell’asset management del gruppo. Una decisione che aiuta a far cassa, ma che era stata presa ben prima dell’operazione Antonveneta, e va piuttosto nella direzione indicata più volte dal governatore Mario Draghi di separare gli assetti proprietari, tra banche e società di gestione del risparmio. Il numero uno del Monte, Giuseppe Mussari, da questo punto di vista è molto attento ai richiami di via Nazionale e dei nuovi dettami della Mifid: sempre per limitare al minimo i potenziali conflitti di interesse ha venduto il 70% di Intermonte sim (agli stessi manager) e ora si appresta a cedere la società di asset management, di cui manterrà comunque un terzo circa. Il rimanente, nelle intenzioni del venditore, dovrebbe essere ceduto per un terzo ad un partner industriale, e per il restante terzo ad un partner finanziario.
Tra pochi giorni si dovrebbe arrivare alla short list, ma il plotoncino iniziale si è già assottigliato: il Monte, infatti, al momento non offre agli acquirenti impegni di distribuzione, per cui il valore della sola sgr è decisamente minore, in un segmento che continua ad essere dominato dalla rete di vendita. Inoltre, in linea con il mercato e forse facendo un pochino meglio, comunque l’sgr del Montepaschi ha passato tutto il 2007 a perdere: l’anno appena concluso ha visto una raccolta netta negativa pari a 1,7 miliardi di euro, su un patrimonio di una ventina di miliardi. È sempre la sesta società per quota di mercato, ma certo il valore di questo tipo di attività al momento è quasi ai minimi storici.
VITTORIA PULEDDA - Supplemento Affari& Finanza - La Repubblica - 28 gennaio 2008
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