La conferma arriva dai bilanci dello scorso anno, che evidenziano prestiti sociali pari al 104% del fatturato e al doppio del patrimonio netto, fino a coprire il 52% dell'attivo patrimoniale, investito a sua volta per il 63% in attività finanziarie, immobilizzate e non.
Le monopoliste del prestito
La riprova è anche nei conti economici che chiudono la gestione commerciale con risultati asfittici, sostenuti dalla gestione finanziaria che fa leva su una massa di 11,2 miliardi di prestiti sociali. Un dato che, anche se preso singolarmente (Unicoop Firenze, per esempio, detiene da sola più di 2,6 miliardi di prestiti), supera il confronto con la raccolta diretta della maggior parte delle banche di minori dimensioni. Basti pensare che, secondo i dati di Bankitalia riferiti al 2011, a livello nazionale l'insieme di tutte le cooperative raccoglie 14,2 miliardi di euro di risparmio dai soci privati non imprenditori. Fatti i conti, pertanto, grazie alla fiducia ricevuta da 1.167.241 soci prestatori, il 79% del totale (11,2 su 14,2 miliardi) finisce nelle casse delle nove grandi Coop di consumatori.
Veri e propri gestori
Le Coop, poi, operando alla stregua di una società di gestione del risparmio, investono seguendo una loro asset allocation. Di solito, specificano nel regolamento del prestito, non più del 30% del prestito raccolto può essere immobilizzato in beni strumentali, azioni non quotate o immobili, mentre almeno il 40% deve essere investito in titoli di Stato prontamente liquidabili (minusvalenze permettendo). Una delega che lascia a chi amministra ampi margini di manovra, fino a ricomprendervi investimenti che rivestono più natura speculativa che strumentale al perseguimento dello scopo mutualistico, come suggeriscono, ad esempio, le partecipazioni, anche fortemente minusvalenti, in Mps e in Unipol con FonSai. Sarà anche per questo, oltre che per fornire un servizio ai soci e per fidelizzarli, che i prestiti sociali, nonostante il loro elevato ammontare, non sembrano bastare mai. E così, nel sistema Coop nell'ultimo triennio si è diffusa la figura del "promotore del prestito sociale" che, all'interno dei punti vendita, si occupa di diffonderne conoscenza e vantaggi, senza rinunciare all'offerta, sempre tra gli scaffali, di altri servizi d'investimento e d'intermediazione tramite Sim e promotori finanziari.
Le Coop, poi, operando alla stregua di una società di gestione del risparmio, investono seguendo una loro asset allocation. Di solito, specificano nel regolamento del prestito, non più del 30% del prestito raccolto può essere immobilizzato in beni strumentali, azioni non quotate o immobili, mentre almeno il 40% deve essere investito in titoli di Stato prontamente liquidabili (minusvalenze permettendo). Una delega che lascia a chi amministra ampi margini di manovra, fino a ricomprendervi investimenti che rivestono più natura speculativa che strumentale al perseguimento dello scopo mutualistico, come suggeriscono, ad esempio, le partecipazioni, anche fortemente minusvalenti, in Mps e in Unipol con FonSai. Sarà anche per questo, oltre che per fornire un servizio ai soci e per fidelizzarli, che i prestiti sociali, nonostante il loro elevato ammontare, non sembrano bastare mai. E così, nel sistema Coop nell'ultimo triennio si è diffusa la figura del "promotore del prestito sociale" che, all'interno dei punti vendita, si occupa di diffonderne conoscenza e vantaggi, senza rinunciare all'offerta, sempre tra gli scaffali, di altri servizi d'investimento e d'intermediazione tramite Sim e promotori finanziari.
La crisi morde i risparmi
Nonostante le azioni promozionali, comunque, la crisi fa sentire i suoi contraccolpi anche sulla raccolta dei prestiti sociali. Nel 2011, infatti, per la prima volta nelle grandi Coop i prestiti sociali non solo interrompono la crescita, ma registrano una flessione media del 4,6 per cento.
In questo scenario, le Coop si dicono impegnate a garantire ai soci
prestatori una remunerazione sostenibile e in linea con il mercato, che vede ora
i rendimenti dei BoT ritornati sotto l'1%, ma con le banche che mordono per una
fame di raccolta diretta che sembra difficile saziare. Ma se i prestiti sociali
fossero solo una forma d'investimento uscirebbero spesso perdenti dall'analisi
di rischio-rendimento con altri prodotti finanziari (vedi schede in alto e altro
articolo in pagina). Pertanto, è importante tenere presente che la decisione
d'impegnare una parte del proprio risparmio in cooperativa richiede sempre
un'attenta valutazione del rendimento e del rischio insito nel prestito sociale,
così come del resto la richiede qualsiasi forma d'investimento.
29 dicembre 2012
Adriano Melchiori, Gianfranco Ursino
il Sole 24 Ore
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