Il patron di Esselunga chiamato a testimoniare contro due vigilantes: «Da me lavori per 2,4 milioni, ma nulla so di quegli articoli»
Bernardo Caprotti, il patron di Esselunga, testimonia a sorpresa in Tribunale su 2,4 milioni di euro di Esselunga andati a finire a due vigilantes poi accusatori di Coop Lombardia. Succede in una udienza di routine di un processo in apparenza altrettanto ordinario: quello a due titolari di una agenzia di sicurezza privata, Fabio Quarta e Gianluca Migliorati, rinviati a giudizio appunto per l’ipotesi di calunnia ai danni del direttore affari generali di Coop Lombardia, Daniele Ferrè: vicenda nata quando all’inizio del 2010 il quotidiano «Libero» (diretto dall’agosto 2009 da Maurizio Belpietro) aveva pubblicato per tre giorni in prima pagina articoli di Gianluigi Nuzzi e Davide Giacalone («La Coop ti spia», «I compagni orecchioni», «Coop, tutti gli uomini del Pd sapevano») nei quali si prospettava - anche con la pubblicazione di stralci di conversazioni private (e pure a sfondo sessuale) di dipendenti di un supermercato illecitamente registrate - che Coop Lombardia avesse ideato una sistematica attività di spionaggio dei propri dipendenti sul luogo di lavoro.
Ma l’inchiesta giornalistica, basata su fonti come appunto i due vigilantes la cui società aveva lavorato per Coop Lombardia prima dell’insorgere di attriti economici, si era rivelata infondata a giudizio sia del giudice civile di primo grado, che aveva condannato il quotidiano a risarcire 100 mila euro a Ferrè per diffamazione; sia, nel penale, alla giudice preliminare Anna Zamagni, che aveva assolto Ferrè dall’accusa di intercettazioni illegali ma aveva anche trasmesso al pm gli atti sugli 007 privati per l’ipotesi di calunnia, reato per il quale erano poi stati rinviati a giudizio. Ed è appunto in questo loro processo che non solo Caprotti, ma anche il suo amministratore delegato Carlo Salza, citati come testi dall’avvocato della parte civile Ferrè, Giacomo Lunghini, a sorpresa raccontano (il verbale dell’udienza di venerdí è stato depositato adesso) di aver incontrato i due vigilantes alcuni mesi prima degli articoli di «Libero».
«Il 14 luglio 2009 Belpietro, che allora dirigeva Panorama , mi venne a trovare per un favore urgente», spiega Caprotti alla giudice Teresa Guadagnino. «Mi disse che aveva una inchiesta su certe condotte di Coop, che era stato aiutato da questi poliziotti privati, che si era avvalso di materiale fornito da loro, e che avevano problemi economici. Mi chiese: “Ho bisogno di un favore, voi potreste farli lavorare come vigilantes nei supermercati?”. Io risposi: se posso fare un favore a voi e a Panorama , volentieri. Così tra luglio e agosto li vidi una volta, un’altra andai io nella loro sede 10 minuti in ottobre, e dissi al nostro capo della sicurezza, Marsili, di farli lavorare. Sa, ci servivamo di decine di società di vigilanza, spendendo 10 milioni l’anno, per gli 80 mila posti auto dei nostri negozi». «Gli demmo la vigilanza di 7-8 supermercati per 4 anni, per un fatturato di circa 2,4 milioni di euro», conferma l’amministratore delegato di Esselunga, Salza: «Caprotti e io siamo stati contattati da Belpietro, disse che sulla base di materiale fornito da queste due persone aveva una inchiesta su certi fatti della Coop che non gli apparivano ortodossi, e ci chiese di farli lavorare perché erano in gravissime difficoltà economiche».
Tra
Caprotti e Salza restano solo alcune sfumature difformi: Caprotti non
ricorda che Belpietro gli avesse accennato a registrazioni illecite, e
dichiara di nemmeno aver mai saputo degli articoli pubblicati mesi dopo
da Libero , mentre Salza ricorda di averne appreso dalla rassegna stampa
aziendale sui concorrenti, e di averli commentati con Caprotti.
16 marzo 2015
Luigi Ferrarella
Corriere della Sera
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