I dipendenti della Safra, azienda che lavora per il marchio di Caprotti nel polo logistico di Pioltello incrociano le braccia contro le condizioni di lavoro. Denunciano vessazioni e intimidazioni. L'azienda ribatte: "Siamo gli unici ad applicare il contratto di categoria, offeso il nostro orgoglio professionale"
Spostare 1.400 scatole in sei ore vuol dire avere 15 secondi per ognuna. Basta una pausa in bagno più lunga del solito e manchi l’obiettivo. Il capo ti punisce. “Domani non presentarti al lavoro”, ordina. E quel giorno rimani senza paga. Questo raccontano gli operai della Safra, un consorzio di cooperative che lavora nel polo logistico Esselunga di Pioltello. Capannoni immensi nella periferia est di Milano. Fuori, schierati, i rimorchi gialli pronti per essere caricati. E poi via, verso i supermercati del Nord Italia. Ogni capannone ha i suoi prodotti. Fuori dal settore drogheria i lavoratori Safra scioperano da domenica scorsa, quando hanno pure bloccato i tir.
Del turno che finisce a mezzanotte, ieri sera, sono entrati solo in tre o quattro. Così dicono. Così si fanno forza. Perché qualcuno racconta gli avvertimenti: “Se continui a scioperare, non farti più vedere”. Ma loro sono lì, una cinquantina. Ci sono quelli che passano il giorno a prendere le scatole dai bancali. E quelli che i bancali li spostano: lavorano otto ore, due in più degli altri. Tutto il giorno sul muletto. Più veloce che puoi: “Devi spostare 18 bancali in un’ora”, raccontano. Vuol dire filare via da una parte all’altra. E se sbagli, magari fai male a qualcuno. Un po’ di tempo fa – dicono – un rumeno ha investito un egiziano. Era di un’altra cooperativa, l’egiziano. Gli si è spezzata una gamba. “Non deve più succedere”. Anche per questo protestano. Pachistani, peruviani, filippini, bengalesi. C’è il mondo fuori dai capannoni Esselunga. E anche un italiano. Un tempo gli italiani erano di più, ora sono rimasti in pochi. “E’ più facile sfruttare chi non conosce la lingua. Chi è arrivato da poco”, dice un ragazzo con le treccine.
Il primo sciopero è stato il 7 ottobre scorso. Poi 12 delegati sindacali del Si Cobas e altri tre lavoratori sono stati messi in ferie forzate. E alla fine sospesi. “Devono essere tutti reintegrati – la voce esce dal megafono -. Sennò non ce ne andiamo”. Un’altra serata in presidio. Di fianco alla tenda e al gazebo. Ora il megafono è in mano ad Hamed: 23 anni, viene dal Pakistan. Anche lui è stato sospeso. Scandisce i nomi di due capi. “Via”, fanno gli altri in coro. E poi: “Mafia”. “Via”. La notizia che duecento metri più in là, nel capannone dei prodotti ortofrutticoli dove lavora un’altra cooperativa, sono stati trovati 25 chili di cocaina tra le banane della Colombia è arrivata a tutti. E’ successo a fine settembre. Le indagini vanno avanti, nulla è trapelato finora.
Questa volta gli operai non vogliono bloccare nessun tir. Inizia a cadere qualche goccia. Loro rimangono. Qualcuno apre un ombrello, qualcuno si infila il cappuccio. Anche i poliziotti e i carabinieri rimangono. Una cinquantina pure loro, davanti al cancello. Gli scudi appoggiati per terra. E’ una serata tranquilla, finora. Ogni tanto qualcuno sorride.
“Quando ti ammali ti chiamano a casa. ‘Non me ne frega un cazzo se ha la febbre, fallo venire’, dicono a tua moglie”. Lo racconta più d’uno. Vicino uno striscione con scritto: “Esselunga e consorzio Safra sfruttano i lavoratori”. La pioggia aumenta. I ragazzi del turno di mezzanotte arrivano prima, si fanno vedere alle 11 e 20. Ora c’è tensione. Le forze dell’ordine chiedono di lasciare entrare chi vuole entrare. Ancora tensione. Qualcuno vorrebbe lavorare. Chi sciopera gli si mette davanti, gli parla. Lo convince a stare fuori. “Sciopero, sciopero, sciopero”, parte di nuovo il coro.
“La devono smettere di raccontare fandonie – dice Onorio Longo, presidente di Safra - noi siamo gli unici che applicano il contratto della logistica. Mi sento offeso nel mio orgoglio professionale”. Negli uffici di Safra qualcuno sospetta pure che dietro chi sciopera ci siano le cooperative concorrenti, che vogliono prendersi l’appalto. Esselunga fa sapere che grazie a un monitoraggio continuo su chi gestisce i magazzini di Pioltello è verificata la regolarità dei contratti e dei versamenti contributivi. “Ma il caso specifico riguarda esclusivamente i rapporti tra Safra e i suoi lavoratori”. Nel sito del gruppo di Bernardo Caprotti una sezione è dedicata alla responsabilità sociale: “Crediamo – c’è scritto – che equità sociale, crescita economica e rispetto ambientale possano progredire di pari passo. Questo è lo sviluppo sostenibile, e noi ci impegniamo a realizzarlo”.
Del turno che finisce a mezzanotte, ieri sera, sono entrati solo in tre o quattro. Così dicono. Così si fanno forza. Perché qualcuno racconta gli avvertimenti: “Se continui a scioperare, non farti più vedere”. Ma loro sono lì, una cinquantina. Ci sono quelli che passano il giorno a prendere le scatole dai bancali. E quelli che i bancali li spostano: lavorano otto ore, due in più degli altri. Tutto il giorno sul muletto. Più veloce che puoi: “Devi spostare 18 bancali in un’ora”, raccontano. Vuol dire filare via da una parte all’altra. E se sbagli, magari fai male a qualcuno. Un po’ di tempo fa – dicono – un rumeno ha investito un egiziano. Era di un’altra cooperativa, l’egiziano. Gli si è spezzata una gamba. “Non deve più succedere”. Anche per questo protestano. Pachistani, peruviani, filippini, bengalesi. C’è il mondo fuori dai capannoni Esselunga. E anche un italiano. Un tempo gli italiani erano di più, ora sono rimasti in pochi. “E’ più facile sfruttare chi non conosce la lingua. Chi è arrivato da poco”, dice un ragazzo con le treccine.
Il primo sciopero è stato il 7 ottobre scorso. Poi 12 delegati sindacali del Si Cobas e altri tre lavoratori sono stati messi in ferie forzate. E alla fine sospesi. “Devono essere tutti reintegrati – la voce esce dal megafono -. Sennò non ce ne andiamo”. Un’altra serata in presidio. Di fianco alla tenda e al gazebo. Ora il megafono è in mano ad Hamed: 23 anni, viene dal Pakistan. Anche lui è stato sospeso. Scandisce i nomi di due capi. “Via”, fanno gli altri in coro. E poi: “Mafia”. “Via”. La notizia che duecento metri più in là, nel capannone dei prodotti ortofrutticoli dove lavora un’altra cooperativa, sono stati trovati 25 chili di cocaina tra le banane della Colombia è arrivata a tutti. E’ successo a fine settembre. Le indagini vanno avanti, nulla è trapelato finora.
Questa volta gli operai non vogliono bloccare nessun tir. Inizia a cadere qualche goccia. Loro rimangono. Qualcuno apre un ombrello, qualcuno si infila il cappuccio. Anche i poliziotti e i carabinieri rimangono. Una cinquantina pure loro, davanti al cancello. Gli scudi appoggiati per terra. E’ una serata tranquilla, finora. Ogni tanto qualcuno sorride.
“Quando ti ammali ti chiamano a casa. ‘Non me ne frega un cazzo se ha la febbre, fallo venire’, dicono a tua moglie”. Lo racconta più d’uno. Vicino uno striscione con scritto: “Esselunga e consorzio Safra sfruttano i lavoratori”. La pioggia aumenta. I ragazzi del turno di mezzanotte arrivano prima, si fanno vedere alle 11 e 20. Ora c’è tensione. Le forze dell’ordine chiedono di lasciare entrare chi vuole entrare. Ancora tensione. Qualcuno vorrebbe lavorare. Chi sciopera gli si mette davanti, gli parla. Lo convince a stare fuori. “Sciopero, sciopero, sciopero”, parte di nuovo il coro.
“La devono smettere di raccontare fandonie – dice Onorio Longo, presidente di Safra - noi siamo gli unici che applicano il contratto della logistica. Mi sento offeso nel mio orgoglio professionale”. Negli uffici di Safra qualcuno sospetta pure che dietro chi sciopera ci siano le cooperative concorrenti, che vogliono prendersi l’appalto. Esselunga fa sapere che grazie a un monitoraggio continuo su chi gestisce i magazzini di Pioltello è verificata la regolarità dei contratti e dei versamenti contributivi. “Ma il caso specifico riguarda esclusivamente i rapporti tra Safra e i suoi lavoratori”. Nel sito del gruppo di Bernardo Caprotti una sezione è dedicata alla responsabilità sociale: “Crediamo – c’è scritto – che equità sociale, crescita economica e rispetto ambientale possano progredire di pari passo. Questo è lo sviluppo sostenibile, e noi ci impegniamo a realizzarlo”.
4 novembre 2011
Luigi Franco, video di Franz Baraggino
Il Fatto Quotidiano
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