Dal Senato arriva una boccata d’ossigeno per i precari. Nelle Commissioni riunite Affari costituzionali e Bilancio, in cui si sta vagliano il decreto “milleproroghe”, è stato approvato ieri un emendamento del senatore Pd, Achille Passoni, che interviene sulla scadenza del 23 gennaio imposta dal “collegato lavoro” a tutti quei precari che avessero riscontrato irregolarità nei loro contratti a tempo determinato e avessero deciso di impugnarli. Quella scadenza viene cancellata e, sulla base dell’emendamento approvato ieri, spostata al 31 dicembre 2011. C’è dunque quasi un anno di tempo per riverificare le varie situazioni e decidere se ricorrere in giudizio.
Il “collegato lavoro” aveva stabilito, nell’articolo 32, un termine di 60 giorni (al posto di cinque anni) per impugnare un contratto di lavoro a tempo determinato giudicato irregolare. Lo stesso “collegato”, però, aveva determinato una specie di tagliola imponendo gli stessi termini, sessanta giorni cioè il 23 gennaio 2011, anche per tutti quei contratti scaduti alla data di approvazione della legge. La misura è stata oggetto di furiose polemiche da parte del sindacato, anche da quelli (come la Cisl) che hanno approvato il Collegato, perché il termine di sessanta giorni è stato giudicato troppo stretto e perché al governo si è rimproverata l’assoluta mancanza di pubblicità alla nuova norma. Nonostante questa “segretezza” il 23 gennaio scorso le domande di impugnazione sono state diverse decine di migliaia.
Fulvio Fammoni, della segreteria nazionale della Cgil, spiega al Fatto che solo la Cgil ne ha raccolte 30 mila, di cui 20 mila provenienti dal mondo della scuola pubblica. “Ma noi stimiamo – spiega Fammoni – che siano almeno 150 mila i lavoratori coinvolti perché i contratti a tempo determinato, non rinnovati e quindi impugnabili, sono cresciuti esponenzialmente tra il 2009 e il 2010, cioè gli anni della crisi”.
La dimensione del problema, in effetti, non deve essere sfuggita nemmeno al governo visto che l’emendamento è stato approvato all’unanimità e con il parere favorevole del rappresentante del governo. “Anche perché era presente un vizio di costituzionalità” spiega ancora Fammoni.
Il senatore del Pd, Passoni, con un lungo curriculum nella Cgil, è molto soddisfatto: “Finalmente si riesce ad approvare una norma che tutela chi lavora” aggiungendo che “se finora sono stati migliaia coloro che hanno aperto delle vertenze entro la scadenza stabilita dal “collegato lavoro”, ora, grazie a questa norma, saranno molti di più”.
Ovviamente, l’emendamento incide solo sulla situazione retroattiva, cioè quella già in essere al momento del varo della legge – e ha comunque bisogno dell’approvazione definitiva da parte delle Camere per entrare in vigore – ma non modifica il termine di sessanta giorni per l’impugnazione di tutti i contratti stipulati da qui in avanti. Un termine che resta ancora esiguo perché corrisponde proprio al periodo che intercorre tra la possibilità di avere il rinnovo del contratto e la fine del contratto stesso. “Il lavoratore alla scadenza del contratto spera che, dopo qualche mese, il datore di lavoro glielo rinnovi. Cosa questa che induce a non agire per vedersi stabilizzato il contratto da un giudice, ma di attendere nella speranza di un rinnovo” dice ancora Passoni.
L’allungamento dei termini fa comunque sperare alla Cgil di poter intervenire ancora sul Collegato lavoro. “Agiremo anche contro le altre norme sbagliate e incostituzionali come la certificazione, l’arbitrato di equità, l’apprendistato a 15 anni” specifica Fammoni.
Sul decreto “milleproroghe” che continua lentamente il suo iter al Senato (ma che deve essere approvato in via definitiva, quindi anche alla Camera, entro il mese di febbraio) pende però l’ipotesi di un maxi-emendamento del governo con apposizione della fiducia. Ma sia il dirigente della Cgil che il senatore Pd tendono a escludere che il governo possa rimangiarsi la novità dopo averla approvata in Commissione. “Se accadesse si tratterebbe di un vero golpe”, dice Passoni.
Il “collegato lavoro” aveva stabilito, nell’articolo 32, un termine di 60 giorni (al posto di cinque anni) per impugnare un contratto di lavoro a tempo determinato giudicato irregolare. Lo stesso “collegato”, però, aveva determinato una specie di tagliola imponendo gli stessi termini, sessanta giorni cioè il 23 gennaio 2011, anche per tutti quei contratti scaduti alla data di approvazione della legge. La misura è stata oggetto di furiose polemiche da parte del sindacato, anche da quelli (come la Cisl) che hanno approvato il Collegato, perché il termine di sessanta giorni è stato giudicato troppo stretto e perché al governo si è rimproverata l’assoluta mancanza di pubblicità alla nuova norma. Nonostante questa “segretezza” il 23 gennaio scorso le domande di impugnazione sono state diverse decine di migliaia.
Fulvio Fammoni, della segreteria nazionale della Cgil, spiega al Fatto che solo la Cgil ne ha raccolte 30 mila, di cui 20 mila provenienti dal mondo della scuola pubblica. “Ma noi stimiamo – spiega Fammoni – che siano almeno 150 mila i lavoratori coinvolti perché i contratti a tempo determinato, non rinnovati e quindi impugnabili, sono cresciuti esponenzialmente tra il 2009 e il 2010, cioè gli anni della crisi”.
La dimensione del problema, in effetti, non deve essere sfuggita nemmeno al governo visto che l’emendamento è stato approvato all’unanimità e con il parere favorevole del rappresentante del governo. “Anche perché era presente un vizio di costituzionalità” spiega ancora Fammoni.
Il senatore del Pd, Passoni, con un lungo curriculum nella Cgil, è molto soddisfatto: “Finalmente si riesce ad approvare una norma che tutela chi lavora” aggiungendo che “se finora sono stati migliaia coloro che hanno aperto delle vertenze entro la scadenza stabilita dal “collegato lavoro”, ora, grazie a questa norma, saranno molti di più”.
Ovviamente, l’emendamento incide solo sulla situazione retroattiva, cioè quella già in essere al momento del varo della legge – e ha comunque bisogno dell’approvazione definitiva da parte delle Camere per entrare in vigore – ma non modifica il termine di sessanta giorni per l’impugnazione di tutti i contratti stipulati da qui in avanti. Un termine che resta ancora esiguo perché corrisponde proprio al periodo che intercorre tra la possibilità di avere il rinnovo del contratto e la fine del contratto stesso. “Il lavoratore alla scadenza del contratto spera che, dopo qualche mese, il datore di lavoro glielo rinnovi. Cosa questa che induce a non agire per vedersi stabilizzato il contratto da un giudice, ma di attendere nella speranza di un rinnovo” dice ancora Passoni.
L’allungamento dei termini fa comunque sperare alla Cgil di poter intervenire ancora sul Collegato lavoro. “Agiremo anche contro le altre norme sbagliate e incostituzionali come la certificazione, l’arbitrato di equità, l’apprendistato a 15 anni” specifica Fammoni.
Sul decreto “milleproroghe” che continua lentamente il suo iter al Senato (ma che deve essere approvato in via definitiva, quindi anche alla Camera, entro il mese di febbraio) pende però l’ipotesi di un maxi-emendamento del governo con apposizione della fiducia. Ma sia il dirigente della Cgil che il senatore Pd tendono a escludere che il governo possa rimangiarsi la novità dopo averla approvata in Commissione. “Se accadesse si tratterebbe di un vero golpe”, dice Passoni.
1 commento:
GRANDE PD...........AMO SOLO IL PD!!!!ZAN ZAN
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