A distanza di un secolo, sarà di nuovo un imprenditore piemontese a "salvare" le porcellane Ginori. Nel 1896 toccò ad Augusto Richard comprare la manifattura fiorentina fondata dal marchese Carlo Ginori nel 1737, dando così vita al marchio Richard-Ginori arrivato ai giorni nostri carico di prestigio, nonostante le numerose crisi aziendali.
Ora saranno i fratelli Pierluigi e Franco Coppo, titolari delle posate Sambonet, a rilevare la storica Richard-Ginori chiusa dal 31 luglio scorso ( produzione ferma e tutti i 337 dipendenti in cassa integrazione) e sull'orlo del fallimento.
Due giorni fa il collegio dei liquidatori guidato da Marco Milanesio ha presentato domanda di concordato preventivo al tribunale di Firenze, corredata da due proposte irrevocabili d'acquisto: di Sambonet e della multinazionale americana Lenox. Ma – come anticipato dal Sole 24 Ore il 13 luglio scorso e come sarà evidente domani nell'incontro istituzionale convocato dalla Regione Toscana – l'offerta destinata a concretizzarsi è quella dei fratelli Coppo, "specialisti" nei salvataggi aziendali dopo aver rilevato tre aziende in fallimento: alla fine degli anni Settanta la Paderno (ora leader mondiale nelle pentole professionali), nel 1997 la Sambonet (oggi leader mondiale nell'alberghiero) e nel 2009 la tedesca Rosenthal, in utile dal 2011.
La proposta di Sambonet (170 milioni di ricavi, 1.200 dipendenti tra Italia e Germania) è preferita dai liquidatori non solo per il valore economico, ma per le garanzie di mantenimento della produzione nello stabilimento di Sesto Fiorentino (Firenze), anche se i Coppo s'impegnano, nell'immediato, a riassorbire solo un terzo dei lavoratori.
Il nodo ancora da sciogliere riguarda la disponibilità dello stabilimento, nel quale Richard-Ginori opera in affitto a un canone considerato "fuori mercato", con un contratto che scadrà nel 2016. I Coppo hanno manifestato interesse ad acquistarne la proprietà (al 50% di una cordata di immobiliaristi), oppure a sottoscrivere un nuovo contratto di affitto meno oneroso, escludendo tassativamente l'ipotesi di costruire una nuova fabbrica. «La soluzione del problema è sul tavolo», si sbilancia Milanesio.
Vicino alla chiusura è poi l'accordo con lo Stato, ai sensi della legge Guttuso, per "compensare" una ventina di milioni di debiti fiscali dell'azienda attraverso la cessione della proprietà del museo di Doccia, prezioso scrigno della produzione aziendale. Solo la "cancellazione" di questo debito, unita ai soldi pagati da Sambonet, permetterebbe di raggiungere i 40-45 milioni necessari per far omologare il concordato.
Serve infine l'accordo con i sindacati che potrebbero comunque "preferire" le certezze di Sambonet piuttosto che le incognite legate a Lenox, inizialmente interessata solo a Richard-Ginori anche se in extremis ha rilanciato impegnandosi a riassumere il 90% dei dipendenti.
Il piano industriale di Sambonet prevede di mantenere gran parte della produzione a Sesto Fiorentino, concentrandosi sul decoro classico e sui disegni a mano. In Germania verrebbe trasferita solo la produzione dei piatti bianchi.
13 settembre 2012
Silvia Pieraccini
il Sole 24 Ore
Nessun commento:
Posta un commento