04 novembre 2012

IL DRAMMA DEI LAVORATORI EX UNICOOP TIRRENO DELLA CAMPANIA IN UNA LETTERA

Riceviamo e pubblichiamo un'accorata e addolorata lettera di un ex dipendente del l'ex negozio di Unicoop Tirreno di Nocera Inferiore





Il calvario per questi nostri colleghi inizia nell'aprile del 2009 con una lettera di licenziamento che fa seguito alla cessione di ramo aziendale da parte di Unicoop Tirreno ad una società campana, la Cavamarket, che ne avrebbe dovuto assicurare la continuità lavorativa. Non sarà così.


Mi chiamo Vincenzo Granito e sono stato dipendente della COOP di Nocera Inferiore per 18 anni.
Scrivo questa lettera per descrivere, almeno in parte, la terrificante situazione in cui io e la mia famiglia siamo costretti a vivere a causa delle scelte aziendali della UNICOOP TIRRENO.


Ho 50 anni,una moglie casalinga (non per scelta ma perché è stato impossibile trovare lavoro), 3 figli che ancora vanno a scuola (tra cui una bimba di appena 5 anni), un mutuo da pagare e tante spese che non riesco più fronteggiare da quando, dall’oggi al domani, sono rimasto disoccupato.


Ho lavorato per quest’azienda sempre con puntualità e coscienza, fiero di essere riuscito a far parte della grande famiglia che pensavo fosse la COOP, rispettando i colleghi e l’azienda stessa che mi aveva permesso a trent’anni, di guardare finalmente con fiducia al futuro.


Ero orgoglioso, dicevo. Orgoglioso di far parte di un’azienda che da sempre si muove nel campo del sociale attraverso iniziative benefiche, tenendo ben presente anche l’aspetto etico nella scelta dei prodotti a marchio Coop. Ora mi sembra così incredibile pensare ad un società che si vanta di fare del bene e che non è, però, riuscita a pensare a tutte le famiglie che all’improvviso si sono trovate a vivere nel peggiore degli incubi: quello di dover negare ai propri figli le più semplici cose, dire "non so se domani avremo i soldi per mangiare"!


Non ho vergogna ad esprimere la mia disperazione, un malessere interiore sempre più grande, sempre più profondo, il terrore del domani perché so che per me, ormai cinquantenne, sarà quasi impossibile trovare un lavoro che mi possa permettere almeno di non far soffrire la fame a mia figlia di 5 anni, che sicuramente, come i tanti bambini sfortunati degli altri paesi che la coop cerca di aiutare, ha diritto di crescere nel migliore dei modi.


Il mio sogno più grande, quello che faccio ogni volta che riesco a dormire un po', è quello di poter continuare a lavorare con la COOP e poter guardare, senza dover abbassare gli occhi, la mia famiglia, fiducioso.



La vicenda riassunta in un articolo di Antonella Beccaria dal quale riprendiamo i passaggi principali:

Quattro supermercati: un ramo d’azienda da vendere 

Ma come si è arrivati a questa situazione? Per raccontarla, questa storia, occorre fare un passo indietro e tornare al 1999 quando la Coop Campania, dopo un breve transito sotto la Coop Toscana-Lazio, passa in un piano di riorganizzazione territoriale sotto la Unicoop Tirreno, che ha sede a Piombino e che al suo attivo ha 111 punti vendita di varie dimensioni, 820 mila soci e 6.300 dipendenti. Tra il 2008 e il 2009, però, iniziano a percepirsi i primi problemi: per ragioni di bilancio, quattro supermercati campani devono essere ceduti come ramo d’azienda. Una volontà ufficializzata il 19 aprile 2009 con la lettera di licenziamento recapitata a una sessantina di lavoratori. Ma non c’era da preoccuparsi, dicevano in azienda, perché sarebbero stati assorbiti dalla nuova società.

Tutto a posto, dunque? Mica tanto perché il primo acquirente a farsi avanti è l’azienda Cavamarket di Antonio Della Monica, a cui in Campania è demandata la gestione del marchio Despar. La Filcams Cgil si oppone, i dipendenti rumoreggiano e inizia un braccio di ferro contro la cessione perché il timore è che i contratti di lavoro non vengano rispettati, una volta perfezionata la vendita. La situazione viene resa pubblica e un volantinaggio organizzato dai sindacati attira l’attenzione al punto che la Cavamarket, dopo una serie di incontri napoletani e romani tra le aziende, si tira indietro. Il suo posto viene preso da un imprenditore di Castellammare di Stabia, Michele Apuzzo, che gestisce il marchio Sunrise e che, visure camerali alla mano, risultava proprietario della Immobilmare Srl (dalla cui compagine societaria la Cavamarket è passata uscendone quasi subito). Si tratta di una società creata nel 2003 e con un capitale sociale di 95 mila euro interamente versati, ma che fino al 2009 non risultava aver gestito attività economiche né aver fatturato alcunché.

Insomma, la storia aziendale della Immobilmare inizierebbe con i supermercati di Solofra, Castellammare di Stabia, Soccavo e Nocera e i suoi primi dipendenti sarebbero proprio quelli che giungono dalla Unicoop Tirreno. Sessanta persone in tutto, a cui era stato chiesto per il tramite del sindacato se fossero disposti ad andarsene. In caso affermativo sarebbero stati messi in mobilità per un periodo variabile tra i tre e i quattro anni, a seconda dell’età. «Il suggerimento del sindacato è stato quello di accettare la proposta perché, in caso contrario, i dipendenti avrebbero potuto fare una brutta fine con la nuova azienda», dice Carlo Vuolo, ex dipendente della Unicoop Tirreno e rappresentante sindacale del punto vendita di Nocera Inferiore. Ma Vuolo, 46 anni, residente a Sarno e con tre figli da mantenere, ha fatto quello che diversi colleghi hanno deciso: in diciassette rifiutano l’opzione di abbandonare il campo e vanno avanti nella battaglia per un posto di lavoro.

E arrivano i licenziamenti per tutti
.
Di fronte a questa scelta, però, la Filcams locale e nazionale si tirano indietro e il matrimonio-cessione tra Unicoop Tirreno e Immobilmare prosegue. Di questi diciassette dipendenti, riuniti intorno a un comitato sindacale di base (con cui successivamente l’Immobilmare non vorrà trattare perché – scriverà l’azienda – non appartiene alle associazioni che hanno firmato i contratti collettivi), inizia un tour de force tra carte bollate, avvocati, querele e trattative (o presunte tali). Se all’inizio, per esempio, i dieci di Nocera prendono servizio, il rapporto con la nuova azienda va avanti per poco, fino a giugno 2010, in condizioni in cui si lamenta un crescente precariato. Poi arriva il licenziamento. Ma va ancora peggio ad altri esercizi commerciali. Il magazzino di Soccavo, sottoposto a lavori di ristrutturazione, non apre perché i lavoratori sono finiti in cassa integrazione. Invece a Solofra, quello delle cause vinte dalle due dipendenti, non solo non si inizia alcuna attività commerciale, ma il locale che dovrebbe diventare il nuovo supermercato va a fuoco senza che si sia capito come e perché. Il risultato, per tutti, non cambia: perdita del posto di lavoro.

Michele Apuzzo, amministratore della Immobilmare, nel frattempo si è sfilato. È l’agosto 2010 e il suo incarico è stato assunto da un uomo di Pignataro Interamna, provincia di Frosinone, che si chiama Renzo Iannattone. I lavoratori non si lasciano tuttavia disorientare da questi cambiamenti, cui si aggiunge il trasferimento della sede legale a Pompei, ma quando Vuolo e altri suoi colleghi vi si recano trovano solo un’abitazione privata. Inoltre gli ex dipendenti di Nocera Inferiore si presentano a più riprese dal giudice del lavoro per veder riconosciuti i propri diritti. E si presentano anche quando, dopo la metà di novembre, vengono invitati a lavorare in un altro punto vendita Immobilmare, ma il 29 novembre – riporta una recente cronaca del quotidiano Il Mattino – trovano solo un locale fatiscente. E chiuso.

Tra rassicurazioni a tutt’oggi senza esito, i lavoratori si difendono da soli
.
Sul versante “tribunale del lavoro”, le ultime udienze sono dell’autunno 2010 e il procedimento di fronte al giudice del lavoro è stato rinviato al 13 gennaio 2011 per consentire la raccolta di ulteriori elementi sulla società e sul suo proprietario (nello specifico è stato chiesto alla guardia di finanza di verificare se risultino a suo carico atti come protesti o istanze di fallimento). In tutto questo baillame c’è anche un contatto tra i lavoratori di Nocera e la direzione del personale di Unicoop Tirreno, che a parole manifesta l’intenzione di risolvere il problema, ma tutto finisce qui, non succederà più niente. Nel frattempo l’azienda toscana, interpellata in merito, si dimostra fiduciosa verso una felice risoluzione della controversia e chiede una serie di domande scritte a cui, finora, non è tuttavia giunta risposta.

«Siamo disponibili a trasferirci, ad andare al Nord, in Croazia o dove ci collocano», prosegue Vuolo riferendosi al vecchio datore di lavoro, Unicoop Tirreno, a cui viene imputato l’inizio della fine della vita professionale dei lavoratori campani. «In cooperativa ho lavorato venticinque anni e anche gli altri hanno più o meno la mia stessa esperienza nel settore. Un bagaglio che però sembra non valere niente, in barba a qualsiasi dichiarata solidarietà sbandierata in campagne pubblicitarie». Anche in questo senso si inquadrerebbe un accordo stipulato ai tempi della cessione dei supermercati. Un accordo con Cavamarket – nel frattempo fallita – che prevedeva una fidejussione: quindicimila euro per ogni lavoratore da corrispondere al venditore in caso di licenziamento. Inutile dire che, ai dipendenti e per l’avvenuto fallimento, di questo denaro non è mai arrivato neanche un centesimo. E nemmeno un centesimo i lavoratori di Nocera hanno visto a tutt’oggi dell’ultimo mese di stipendio loro dovuto, quello di giugno 2010, così come di liquidazione e ferie non godute.

In proposito commenta Sergio Caserta, ex presidente dell’associazione delle Coop di consumatori in Campania e della Coop Campania, che proprio al consolidamento di quei supermercati aveva lavorato negli anni Ottanta: «Mai nella storia della Coop un processo di ristrutturazione aziendale in Toscana e in Emilia ha comportato il licenziamento dei dipendenti, essendo nei suoi territori tradizionali ben attenta ai legami sociali e alla sua immagine di impresa mutualistica. Al contrario lo sviluppo cooperativo al Sud, realizzato con mentalità “coloniale e padronale” e con evidenti obiettivi di mero profitto economico, senza consolidare una rete associativa locale, ha comportato già in precedenti esperienze (come nel settore edilizio) errori imprenditoriali, incontri con la malavita economica locale e conseguenti gravi danni all’immagine dell’intero movimento cooperativo».

Articolo completo



1 commento:

Anonimo ha detto...

i lavoratori cooperatori campani sono gente seria...non si meritavano una classe dirigente avvitata sola sul proprio ego e dei "compagni di merenda". Dirigenti e direttori cresciuti all'ombra di una corrente politica amicale e comoda, senza veri confronti competitivi, avidi del loro orticello provinciale. Prestateci 6 mesi Turiddo!!! (ho esagerato?)