18 dicembre 2014

MAFIA CAPITALE E LA MUTAZIONE GENETICA DELLE COOP



Nelle vicende di Mafia Capitale che gettano una luce pessima sul mondo cooperativo, Mario Frau, ex dirigente Coop, vede una continuità in quella che nel suo libro La Coop non sei tu, definì la mutazione genetica delle
Cooperative





Il post che segue è un insieme di riflessioni sul mondo Coop di Mario Frau dopo lo scandalo Mafia Capitale. Frau è stato Direttore alla programmazione e sviluppo di Novacoop e membro della Direzione dell'Associazione Nazionale Cooperative di Consumo. Lo abbiamo conosciuto nel 2010, dopo aver letto il suo libro La Coop non sei tu dal significativo sottotitolo: La mutazione genetica delle Coop, dal solidarismo alle scalate bancarie. Su quel libro il blog intervistò l'autore
 
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Nel mio saggio La Coop non sei tu ho più volte usato il termine mutazione genetica riferendomi ai cambiamenti che hanno coinvolto le grandi coop. Che ci sia stata tale trasformazione - meglio sarebbe usare il termine degenerazione - che ha investito diffusamente alcune grandi Coop che operano in una pluralità di settori dell’economia, lo confermano i fatti di questi giorni emersi a Roma. Tale mia convinzione è supportata anche dalla progressiva finanziarizzazione di tutto il sistema cooperativo e l’affermazione al proprio interno di una casta autoreferenziale di intoccabili, l’assenza di adeguati controlli democratici da parte dei soci, che sono stati emarginati ed esclusi da qualsiasi processo decisionale. Il modello solidaristico è stato abbandonato, per sposare tout court la logica del profitto, omologandosi alle imprese capitalistiche. Si è così affermato una sorta di organismo geneticamente modificato che, godendo di molti privilegi, crea una distorsione del mercato e anziché distinguersi dalle imprese di capitali, ha finito per scimmiottarle, omologandosi ad esse. Dopo la nascita del PD, che ha indubbiamente affievolito il collateralismo, alcune coop hanno cominciato a intessere rapporti anche con gli altri partiti.

Il verminaio che sta uscendo dallo scandalo di Mafia Capitale dà idea di un malcostume diffuso e tollerato. Non credo che sia un fenomeno isolato, come dimostra anche la recente vicenda dell’Expo, ma è presumibile che abbia investito anche altre grandi cooperative. Ho letto un interessante articolo a firma di Andrea Cangini, che merita essere riportato in parte: Ad esempio Salvatore Buzzi, protagonista dello scandalo Mafia Capitale si sapeva che aveva precedenti per truffa e omicidio, fondatore di una cooperativa di ex detenuti e da lì divenuto membro, a Bologna, del consiglio di sorveglianza del Consorzio nazionale servizi (Cns). «Ti presento il capo delle cooperative rosse di Roma», disse Alemanno a Berlusconi mentre Buzzi gli tendeva la mano. «In Cns sono riverito», ha detto Buzzi in un’intercettazione. E l’incarico di sorvegliante che gli è stato affidato dimostra che non ha detto il falso. Ora, pur evitando facili moralismi, è chiaro che la parola «valori» esibita da Legacoop sul proprio sito s’è persa. Si è persa perché si è persa l’identità di un’associazione di lavoratori nata per nobili ideali, ma cresciuta male. La base, ancora popolata di persone che ci credono, è sconcertata. E non se ne esce costituendosi parte civile nel processo capitolino. Se ne esce affrontando la realtà. La realtà di un’associazione di imprese perfettamente calata nella logica capitalista. Urge metter mano, se non alla Costituzione, almeno allo statuto.

Qualche giorno fa che Poletti ha rilasciato una intervista a Repubblica, sostenendo che era assolutamente normale partecipare a quella cena (quella con Buzzi e esponenti del clan dei Casamonica), dichiarando testualmente: come presidente di Legacoop ho partecipato sempre alle iniziative ed alle assemblee delle cooperative aderenti. Era dunque assolutamente normale che partecipassi alla cena organizzata dalla cooperativa sociale 29 giugno, che aveva per obiettivo il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti e delle persone più deboli. Fa presente Poletti che quando si vive in questo mondo e si vede come lavorano le cooperative sociali, non si pensa che possano esistere comportamenti come quelli che oggi vengono alla luce. Mi permetto solo di fare qualche osservazione. Tutto bene, Poletti, ma chi aveva il compito di controllare la correttezza di Buzzi e della cooperativa associata 29 giugno? In primis lo aveva il servizio revisioni di Legacoop, in secundis l'associazione di appartenenza, deputata a controllare e a vigilare, come prevede la legge.

Anche in questa circostanza torna alla mente quello che ebbe a dire un grande sindacalista e uomo di cultura come Bruno Trentin, che dopo la fallita scalata alla BNL da parte di Unipol: le Coop hanno perso l’anima inseguendo ad ogni costo il profitto e l’arricchimento a scapito dei propri valori originari.
 
La mutazione genetica consiste nel fatto che i vari supermercati e ipermercati coop sono diventati le filiali di una grande Banca, senza tuttavia soggiacere ai vincoli e ai controlli imposti alle Banche dalla Banca d’Italia, con la messa a rischio del prestito sociale e dei posti di lavoro come è accaduto recentemente alla coop in Friuli. Tali attività finanziarie, svolte in modo talvolta spregiudicato, spostano ingenti risorse dagli investimenti produttivi sui mercati che non si conciliano con le finalità sociali, etiche e mutualistiche che ne dovrebbero guidare l’attività.

Dopo le vicende di Mafia Capitale viene da chiedersi se ci sia ancora spazio per una realtà cooperativa sana. Credo che ci siano oggi molti spazi per lo sviluppo e il rilancio di un modello cooperativo sano, in grado di offrire alle giovani generazioni una alternativa al precariato e alla disoccupazione, riempiendo gli spazi che le grandi imprese di capitali non riescono ad occupare. Penso che una organizzazione di persone che si mettono assieme per dotarsi di servizi o di un posto di lavoro a condizioni più vantaggiose rispetto al mercato in un momento di generale impoverimento, come accade in questo periodo, sia di estrema attualità. Per fortuna non tutto il sistema cooperativo è composto da coop degenerate e corrotte, governate da caste autoreferenziali che non rispondono mai a nessuno del loro operato e meno che mai ai propri soci. Il problema della partecipazione dei soci alla vita sociale delle cooperative ha assunto negli ultimi anni, a causa della diffusa disaffezione, un aspetto molto preoccupante, per non dire patologico. Di norma alle assemblee separate di bilancio partecipa una percentuale bassissima degli aventi diritto e approvano ad occhi chiusi qualsiasi decisione, molto spesso non comprendendo neppure il significato di ciò che vanno ad approvare. Nell’ultimo decennio sono nate cooperative di ogni genere che praticano salari da fame, non pagano i contributi previdenziali ed evadono le imposte. Esse agiscono ai margini della legalità, facendo concorrenza sleale alle imprese e alle cooperative sane e solo in qualche occasione finiscono nelle maglie della giustizia. Vengono chiamate cooperative spurie, sono cooperative controllate da pochi capi bastone (i negrieri del terzo millennio) dediti alla intermediazione di manodopera, sia Italiana che straniera che svolge lavori dequalificati, con turni e ritmi di lavoro massacranti, come nel caso della logistica. Anche questo fenomeno, da combattere con ogni mezzo, è la prova di come la mutazione genetica delle coop si sia spinta molto avanti, direi quasi tollerata.

Diversa è per fortuna la situazione di molte piccole e medie cooperative, dove spesso il presidente è realmente espressione dei soci e vive del proprio lavoro partecipando onestamente al successo del sodalizio. La partecipazione e il controllo da parte dei soci si sviluppa in modo libero e senza ostacoli, in nome della trasparenza e del rispetto delle regole statutarie e democratiche condivise. Ciò detto, occorrono urgenti provvedimenti legislativi per arginare fenomeni come quelli accaduti nella Coop 29 giungo di Roma e in altre cooperative. 

Per concludere, ritengo indispensabile una riforma organica della legislazione sulla cooperazione in modo da garantire maggiormente i soci circa il rispetto dei principi solidaristici e mutualistici, della correttezza amministrativa ed etica dei propri manager.

 
Mario Frau

18 dicembre 2014
 


17 dicembre 2014

PROCESSO UNICOOP FIRENZE TRE ANNI DI UDIENZE MA ERA TUTTO INUTILE

In sei sotto accusa per non aver valutato i rischi per i dipendenti

Reati prescritti prima del rinvio a giudizio

La rabbia degli operai


«NON contesto niente. Ma chiedo di capire come sia stato possibile fare un processo per malattie professionali che all'ultimo momento, dopo parecchie udienze, d'improvviso sono state dichiarate prescritte. Prescritte addirittura in data precedente al rinvio a giudizio, anzi prima ancora dell'avvio dell'inchiesta».

Giorgio Stefanini è un dipendente di Unicoop Firenze ed è un cittadino che non riesce a comprendere come la giustizia possa essere tanto contraddittoria. Con il collega Luigi Del Prete si era costituito parte civile in un processo nel quale due dirigenti di Unicoop Firenze e quattro medici erano accusati di lesioni colpose aggravate per non aver valutato i rischi legati alla movimentazione manuale dei carichi da parte degli addetti al magazzino di Scandicci e per non aver attuato le necessarie misure di prevenzione. Stefanini e Del Prete lavoravano su muletti privi di servosterzo, con i quali dovevano sollevare pancali, talvolta pesantissimi, facendo leva sui manubri. Ad ambedue, come ad altri colleghi, sono state diagnosticate anni fa ernia del disco e lesioni alle braccia, «con aumento all'insorgenza di nuove patologie». Stefanini lavora ancora oggi sui muletti. Del Prete è in pensione. Insieme sono tornati in tribunale per esprimere il loro sconcerto sull'esito del processo. Al loro fianco c'è Gabriele Rinaldi dell'Unione sindacale di base, a cui si deve - spiegano - un miglioramento delle condizioni di lavoro.

La denuncia della Asl - ricordano - risale al 2004. Il fascicolo d'inchiesta porta la data del 2008. Il 30 giugno 2010 la procura cita a giudizio per lesioni colpose due dirigenti Unicoop e quattro medici. Il processo parte a singhiozzo. Prima finisce davanti a un giudice onorario, poi viene assegnato al giudice Breggia che fissa un fitto calendario ma poi passa ad altro incarico, infine approda davanti al giudice Francesco Maradei. Si tengono varie udienze, vengono sentiti molti testimoni. il 26 giugno 2014 il processo è alle battute finali. In udienza arriva, al posto del collega Paolo Canessa, il pm Massimo Bonfiglio, che prende la parola per sostenere che tutte le accuse sono ormai prescritte. «Il mio avvocato - ricorda Stefanini - ha obiettato che nel 2007 mi era stata diagnosticata una nuova patologia alle braccia, e infatti nel 2010 mi è stata riconosciuta un'altra malattia professionale. Non è servito a nulla. Il giudice si è ritirato e poi ha dichiarato prescritte tutte le accuse». Nella motivazione ha spiegato che la data di consumazione del reato va fissata al momento dell'insorgenza della malattia, e nel caso di Stefanini ha ritenuto «addirittura inverosimile che da un infortunio patito nel 1998 possa essere insorta nuova malattia agli arti superiori nel 2007, per cui tale patologia deve essere considerata solo come un aggravamento della prima, conseguente all'unico infortunio contestato, quello del 1998». Stefanini commenta: «Spiegatemi perché ci sono voluti tanti anni per dirci che il processo era del tutto inutile».


16 dicembre 2014

Franca Selvatici

La Repubblica


14 dicembre 2014

LE COOP RIPARTANO DAL MONDO DI TOLMEZZO

Forse Legacoop dovrebbe fare un congresso straordinario a Tolmezzo. La piccola cittadina della Carnia rappresenta simbolicamente tutto quello che nel mondo Coop non funziona, da Carminati e Mafia Capitale al crac di CoopCa, passando per quello di Coop Operaie


Tolmezzo è un paese di 10.000 abitanti in provincia di Udine, nel cuore della Carnia. Il caso ha voluto che due vicende che impattano fortemente col mondo Coop, diverse per importanza e motivi, abbiano a che fare con questo paese a pochi chilometri dal confine austriaco. Anche il mondo delle Coop è arrivato ad un confine: quello tra legalità e malaffare e tra opacità e trasparenza.

A Tolmezzo, per l'esattezza nel carcere di massima sicurezza, sono stati trasferiti Massimo Carminati e gran parte degli arrestati nell'inchiesta Mafia Capitale che ruota intorno agli affari della famigerata Coop 29 Giugno e al suo presidente, Salvatore Buzzi.

A Tolmezzo si sta affannosamente cercando di salvare CoopCa, Coop Carnica, che ha richiesto il concordato preventivo. La prossima settimana potrebbe essere decisiva con l'incontro tra il vice presidente della Regione Friuli, Sergio Bolzonello, per capire se ci sono i presupposti per un salvataggio. In ballo ci sono 650 dipendenti e 30 milioni di prestito sociale versati da 3.000 soci. La vicenda di CoopCa segue a breve il disastro dell'altra storica coop friulana della distribuzione, più grande nelle dimensioni e nel tonfo, le Coop Operaie di Trieste e Istria, anno di nascita 1903. Anche qui a ballare sono i 600 dipendenti e oltre 100 milioni di prestito di 17.000 soci. La Procura di Trieste ha chiesto al tribunale civile di dichiarare il fallimento delle Coop Operaie e l'immediata adozione di provvedimenti atti a tutelare il patrimonio con nomina di un ufficiale giudiziario. Questo dopo la scoperta di un'enorme bolla finanziaria costituita da cessioni di immobili a società controllate dalle stesse Cooperative Operaie.

Il Prestito Sociale rappresenta da sempre per le Coop più strutturate, ma anche per quelle di minori dimensioni, una risorsa importantissima. Le Coop della grande distribuzione, le cosiddette 9 sorelle (Unicoop Firenze, Coop Adriatica, Coop Consumatori Nordest, Coop Estense, Unicoop Tirreno, Coop Liguria, Coop Lombardia, Novacoop e Coop Centro Italia) raccolgono complessivamente 11 miliardi di risparmi dei soci prestatori. Una potenza di fuoco impressionante. La gestione e i controlli che attengono al prestito sociale sono oggetto di critiche da tempo. In particolare si punta il dito su un sistema dove i controlli sono scarsi e affidati alle stesse coop che non sempre brillano per trasparenza. Un mondo autoreferenziale che non viene sottoposto al vaglio di organismi esterni come invece sarebbe d'uopo. Il prestito sociale delle Coop poggia fondamentalmente su tanta fiducia e poche tutele. Abbiamo scritto più volte della disinvoltura con cui alcuni colossi Coop si lanciano in operazioni finanziarie discutibili, come l'acquisto di Fondiaria-Sai da parte di Unipol o del disastro della partecipazione di Unicoop Firenze in Monte Paschi, costata almeno 400 milioni, dilapidazione di risorse che non ha avuto nessuna conseguenza sui dirigenti responsabili.

Dall'altra parte lo scandalo Mafia Capitale mette il carico da undici su un sistema in cui anche in questo caso controlli e trasparenza paiono lontani come Plutone dalla Terra. E non è certo un fulmine a ciel sereno. Nel tempo ne abbiamo viste purtroppo di vicende torbide. Basti pensare al Mose o all'Expo. E Legacoop? Come al solito balbetta, proprio ora che ha un suo uomo in un ministero chiave. Anzi, balbetta pure lui. Le frasi sono sempre le solite. Ecco cosa dichiarava nel giugno scorso il presidente di Legacoop Veneto, Adriano Rizzi, dopo lo scandalo Mose: «Bene le dimissioni dei coinvolti, cooperazione in campo per il cambiamento». E ora dopo la vicenda della Coop 29 giugno ecco che di nuovo si fa la faccia feroce. Parla Mauro Lusetti, neo presidente di Legacoop nazionale che ha sostituito Poletti: «Fuori subito chi tradisce i nostri valori». Ora, quel subito induce quantomeno a qualche sorriso, se non ad un ghigno. Anche uno dei più apprezzati cooperatori, Adriano Turrini presidente di Coop Adriatica, fa sentire la sua voce: «Tolleranza zero e rinnovamento». Vedremo. Tutto questo invocare misure drastiche quando sotto il naso ti hanno fatto passare di tutto, lascia qualche comprensibile riserva. Ci limitiamo a constatare che finora si è ignorato per negligenza o per altro, il Problema, mentre la slavina via via assumeva dimensioni sempre più preoccupanti.

Il ministro Poletti ha poco da indignarsi per la nota foto in cui è ritratto a cena con i sodali che sappiamo. E' stato a capo di Legacoop per ben 12 anni. Dovrebbe rispondere non della singola cena, ma di come funziona il mondo Coop. Ecco cosa dovrebbe spiegare Giuliano Poletti. Legacoop vuol fare finalmente un'operazione di profonda pulizia e trasparenza? Prenda coraggio e proceda davvero e celermente, altrimenti la slavina sarà un'enorme valanga e sbandierare il mondo valoriale Coop a quel punto non servirà.


14 dicembre 2014