31 luglio 2010

CASO MANUTENCOOP: LA CGIL CHIEDE PRESA DI POSIZIONE ALLA COOP ADRIATICA

Continua la polemica sindacale contro la società che gestisce l'appalto di pulizie al centro commerciale Porto Grande


SAN BENEDETTO DEL TRONTODopo che il tribunale di Ascoli ha dato ragione alle tre lavoratrici della Manutencoop che rifiutavano il trasferimento a L’Aquila, la Cgil e la Cisl chiedono una presa di posizione chiara anche alla Coop Adriatica. La Manutencoop, infatti, è impegnata nell’appalto di pulizia presso l’Ipercoop Porto Grande di San Benedetto.

Afferma Alessandro Pompei della Filcams Cgil. «Il Tribunale di Ascoli Piceno nella persona del Giudice del Lavoro Emilio Pocci ha reputato la condotta della Manutencoop Facility Management Spa antisindacale ed idonea a limitare la libertà sindacale sia violando il diritto attribuito al sindacato sia violando le posizioni soggettive. Noi e la Cisl abbiamo chiesto a Coop Adriatica una presa di posizione pubblica sulla vicenda e l’azienda si è limitata ad affermare semplicemente che sono le sedi opportune quelle deputate a dirimere la controversia. Ci sembra un atteggiamento volto ad eludere quelle che sono le responsabilità solidali di Coop Adriatica nell’appalto in oggetto».

L’esponente Cgil aggiunge poi: «La Manutencoop Facility Management Spa inoltre ha rincarato la dose attraverso una disdetta unilaterale dell’accordo di cambio di appalto adducendo come motivazione che “..il provvedimento è gravatorio e che l’accordo di cambio di appalto in questione vincoli in modo perpetuo l’azienda a tenere fermi per tutti gli addetti orario e sede di lavoro a prescindere da ogni necessità organizzativa sopravvenuta…”.

Così facendo la Manutencoop – afferma Pompei – intende, in un certo qual modo, sconfessare la vera natura dei trasferimenti e si colloca al di fuori del Contratto collettivo di settore che con l’articolo 4 disciplina i cambi di appalto nei servizi di pulizia. Di fronte a ciò Coop Adriatica non può, come ha fatto finora, girare la testa dall’altra parte. Ci aspettiamo qualcosa di più di un attestato di riconoscenza circa l’operato della Giustizia, che non fa mai male, ma che arrivati a questo punto non è più sufficiente».

30 luglio 2010

RIVIERA oggi

CHIUDE LA COOP DI NARNI (TERNI) GRUPPO GESTINCOOP DI UNICOOP TIRRENO

Chiude il punto vendita di Narni, in provincia di Terni, gestito da una società di Unicoop Tirreno. Al suo posto dovrebbe aprire un discount.

I consiglieri di maggioranza del Comune hanno sottoscritto il seguente documento


Su proposta dei consiglieri Morelli (SEL) e Novelli (PSI) tutti i consiglieri di maggioranza hanno sottoscritto il seguente ordine del giorno presentato il 29/07/10 ieri in consiglio comunale su recenti vicende COOP Narni.

Lo scorso 22/7 all'assemblea dei soci della Coop di Narni il Gruppo Gestincoop di Unicoop Tirreno ha ufficialmente comunicato la chiusura del punto vendita di Narni.

Ciò avverrà entro l'inizio del prossimo autunno. Sono già stati fissati appuntamenti ufficiali con le rappresentanze sindacali e pare che addirittura il sito che attualmente occupa il supermercato sia già stato impegnato per impegnare un discount. Tutto questo ci preoccupa enormemente.

Non si tratta solo della chiusura di un supermercato. In tempi di sviluppo commerciale sfrenato (sulle cui responsabilità ognuno, noi compresi, farebbe bene ad interrogarsi) la Coop in questi anni ha rappresentato spesso una eccezione.

Il movimento cooperativo dagli albori ad oggi è stato una preziosa risorsa, nel nostro paese come in larga parte d'Italia, capace di coniugare sviluppo economico e solidarietà; consentendo alle masse contadine prima ed ai piccoli produttori locali poi di poter competere quasi alla pari con la grande produzione assai più organizzata; offrendo ai soci consumatori un ventaglio di scelte capaci di garantire un prezioso equilibrio tra qualità e prezzo dei prodotti; tutelando e difendendo la permanenza e l'espansione di nicchie di mercato equo e solidale con importantissime campagne e, non ultimo, dando a centinaia di cittadini la possibilità di mettere i loro risparmi al servizio del nostro territorio e della nostra comunità.

Dopo l'industria, dopo la banca, ora un'altro pezzo della nostra storia recente se ne va senza clamore. Per un amaro scherzo del destino ciò accade nel momento in cui la nostra Città pensava e pensa di destinare a questo tipo di attività una vetrina di eccellenza come quella della nuova realizzazione che interesserà il parcheggio del suffragio .

Chiediamo al Consiglio di dare al Sindaco e alla Giunta il più ampio mandato al fine di mettere in atto immediatamente ogni iniziativa utile a contrastare questa politica aziendale e a garantire la permanenza di questo pezzo del movimento cooperativo nella nostra Città, a tutelare il personale dipendente oggi impiegato.

30 luglio 2010

Alfonso Morelli

SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - Narni



30 luglio 2010

IPERCOOP SESTO FIORENTINO: GRAVE UN OPERAIO CADUTO DA UN'IMPALCATURA



Il giovane marocchino, residente a Pistoia, è in coma




Ilprecedente incidente fu mortale durante la costruzione dell'Ipercoop di Sesto Fiorentino, il 17 aprile 2003: Domenico Maione, operaio edile di appena 25 anni alle dipendenze della Nuova Edil srl, morì schiacciato dal carrello elevatore che stava manovrando e che si ribaltò.

Due anni fa i rappresentanti del lavoratori alla sicurezza di Unicoop Firenze, sollecitavano maggiori controlli. Ecco il loro documento di allora.

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Un operaio marocchino residente a Pistoia è stato vittima mercoledì di un grave infortunio sul lavoro a Sesto Fiorentino cadendo da un’impalcatura. L’incidente è avvenuto presso i magazzini dell’Ipercoop di Sesto Fiorentino, in via Petrosa. L’operaio, M.E.A. 23 anni, regolare in Italia, stava lavorando per una ditta edile che ha in appalto la realizzazione di un sistema di drenaggio del magazzino.

Da capire l’esatta dinamica dell’infortunio, sulla quale stanno facendo accertamenti i tecnici del dipartimento di igiene e sicurezza del lavoro della Asl. Pare comunque che l’uomo stesse allestendo, insieme ad alcuni colleghi, un’impalcatura necessaria a eseguire i lavori all’interno di un seminterrato. Qualcosa però sarebbe andato storto, facendo precipitare a terra da circa due metri. Nonostante l’altezza non particolarmente elevata, l’urto sarebbe stato violento e l’uomo avrebbe battuto con forza la testa, riportando un grave trauma cranico.

Inizialmente non avrebbe perso conoscenza, ma le sue condizioni sarebbero successivamente peggiorate. Soccorso dal personale del 118, il 23enne è stato portato all’ospedale di Careggi, dove è ora ricoverato in coma farmacologico. Il pm ha disposto il sequestro del cantiere in attesa dell’esito degli accertamenti.

30 luglio 2010

La Nazione



29 luglio 2010

VERTENZA ITALCARNI: LA DIREZIONE DELLA COOPERATIVA TENTA DI AGGIRARE L'ACCORDO SINDACALE DEL 25 GIUGNO


La direzione della cooperativa procede a convocare un'assemblea dei lavoratori di un reparto per convincerli a passare sotto ad una cooperativa.


COSI’ NON VA BENE!!!!!

Senza nessuna informazione preventiva alle organizzazioni sindacali o alle RSU alcuni dirigenti della cooperativa ITALCARNI hanno organizzato, nella mattinata di giovedì 15 luglio, presso l’albergo My Hotel di Carpi, una riunione con tutti i lavoratori del reparto “macello sporco”.

Nessun problema se la cooperativa ha la necessità di parlare con i suoi dipendenti. L’obiettivo della riunione di giovedì era, però, di convincere i lavoratori ad entrare in una cooperativa.
Infatti, a questa riunione, era presente un rappresentante di un non meglio precisato consorzio, interessato all’affitto del reparto “macello sporco”.

Così non va bene! Così siamo lontani anni luce da quel confronto che, insieme, avevamo deciso di iniziare a perseguire.
Come abbiamo più volte detto, il sindacato e i rappresentanti sindacali, non hanno chiusure ideologiche nei confronti degli appalti, ma come abbiamo convenuto nell’accordo quadro, siglato dopo oltre 84 ore di sciopero, questo deve essere condiviso tra le parti.
Non va bene che qualche dirigente pensi di percorrere scorciatoie, senza rispettare l’accordo quadro sottoscritto il 25 giugno 2010.

Il sindacato non vuole solo intervenire nel merito della legittimità dell’affitto o dell’appalto, ma vuole anche discutere dei salari che questi lavoratori avrebbero, se accettassero di andare in una nuova impresa o cooperativa. Il sindacato vuole anche conoscere che tipo di contratto verrebbe applicato, così che tipo di regolamento avrebbe la nuova impresa se è una cooperativa. Non sono cose di poco conto, sono cose che intervengono direttamente sulle condizioni di vita e di lavoro delle persone.

Le OOSS e le RSU ITALCARNI nel rimarcare la necessità di aprire il prima possibile un confronto trasparente sul nuovo piano industriale, chiedono alla Direzione ITALCARNI di cessare immediatamente queste iniziative unilaterali che non aiutano un sereno e costruttivo confronto.

Se si tornasse a verificare un simile comportamento, RSU e OOSS, assumeranno le opportune decisioni ed iniziative del caso.

Carpi, 21 luglio 2010

CASO CONAD MONTOPOLI IN CONSIGLIO PROVINCIALE



Quattro partiti si schierano per garantire i diritti


Il caso del grande magazzino Conad di Montopoli (in appalto alla società di gestione Alma Group) approda al consiglio provinciale di Pisa: i gruppi di maggioranza (Partito Democratico, Italia dei Valori, Sinistra Ecologia Libertà) e quello di Rifondazione Comunista-Comunisti Italiani hanno presentato sulla vicenda una mozione urgente che l’assemblea discuterà in occasione della prossima seduta. I contenuti del documento sono stati illustrati dai capogruppo delle forze politiche promotrici, Manolo Panicucci (Pd), Michele Curci (Idv), Massimiliano Casalini (Sel) e Andrea Corti (Rc-Pdci), alla presenza del presidente della Provincia Andrea Pieroni, della presidente del consiglio Consuelo Arrighi e dei consiglieri di maggioranza espressione dell’area del Valdarno: Francesco Giani, Alessandra Starnini, Linda Vanni (tutti del Pd).

“In merito alla questione – dicono – abbiamo voluto affermare una posizione chiara e decisa. Gli elementi sul tavolo sono ben noti: la denuncia della Cgil (datata 30 giugno) circa condizioni di sfruttamento di lavoratori extracomunitari da parte di Alma Group; i saldi negativi nelle loro buste paga; la rotazione continua di 20-30 dipendenti per non più di 20 giorni all'interno del magazzino. Ebbene, tutto ciò fa desumere di trovarsi in presenza di una nuova forma di schiavismo, inaccettabile ed intollerabile”.

Il documento sottolinea poi altri aspetti rilevanti. “Già in passato il magazzino era stato sanzionato dalla Direzione provinciale del lavoro per violazioni amministrative varie; e l’ultima verifica ispettiva, il 27 maggio scorso, ha confermato tali elementi di criticità. Per giunta, si è appreso dai giornali che gli amministratori di Alma Group sono stati coinvolti in processi di mafia”.

Un quadro, insomma, insostenibile. Tanto che l’8 luglio scorso, nel corso di un tavolo al quale ha preso parte anche il sindaco di Montopoli, Alessandra Vivaldi, i vertici Conad hanno comunicato la risoluzione del rapporto di lavoro con Alma Group; e le organizzazioni sindacali hanno posto alla stessa Conad la richiesta di riassunzione di tutti i lavoratori impiegati al magazzino, alle condizioni contrattuali acquisite, da parte del nuovo gruppo che subentrerà ad Alma Group. E il giorno dopo Conad si è impegnata formalmente a inserire, nel nuovo capitolato di gara per l’appalto dello stabilimento, la clausola di salvaguardia dell’occupazione richiesta dai sindacati.

“Ora – proseguono i consiglieri provinciali di Pd, Idv, Sel e Rc-Pdci – occorre tenere fermi alcuni punti”. Per questo il documento che hanno presentato, oltre a condannare lo sfruttamento del personale extracomunitario (“che si può configurare anche in questo caso come tratta di esseri umani”), fissa due obiettivi operativi. “Primo: che tutti i lavoratori siano assunti dal futuro soggetto gestore del magazzino Conad; e quindi anche i cittadini extracomunitari coinvolti nella vicenda possano vedere riconosciuti pienamente i loro diritti al pari di tutti gli altri. Secondo obiettivo: impegnare tutte le parti sociali, istituzionali e il sistema delle imprese alla massima responsabilità e vigilanza. Per evitare il rischio di infiltrazioni mafiose nel territorio provinciale; e a garantire le necessarie politiche d’integrazione per gli immigrati, sottraendoli al ricatto dell’economia sommersa illegale, il cui riferimento culturale è la legge Bossi-Fini”.

28 luglio 2010

gonews.it


28 luglio 2010

COOP, MANAGER PENTITO SVELA GLI STIPENDI D'ORO

Caso Unipol, speculazioni, corsa al profitto: l’ex dirigente Mario Frau rende pubblici in un libro i segreti dell’organizzazione dove ha lavorato per 25 anni.
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I presidenti delle grandi sedi guadagnano fino a un milione l’anno e non vanno in pensione


Le coop sono organismi geneticamente modificati, centri di potere politico ed economico lontanissimi dai principi ispiratori, governati da una casta oligarchica slegata dai soci e alla ricerca del profitto a tutti i costi, al pari di una qualsiasi altra società. Non lo scrive Bernardo Caprotti, patron di Esselunga, in una riedizione di Falce e carrello ma un ex manager coop, Mario Frau, in un libro appena pubblicato dagli Editori Riuniti intitolato La coop non sei tu.

Frau ha lavorato nel movimento cooperativo per 25 anni, è stato consigliere delegato della piemontese Novacoop e membro della Direzione nazionale dell’Ancc, il massimo organo di governo del sistema. Nel 2006 ha dato le dimissioni, nauseato - spiega - da «una gestione troppo personalistica del presidente», da «operazioni immobiliari di stampo speculativo come la Spina 3 di Torino» e dall’assalto alla Bnl condotto dall’Unipol di Giovanni Consorte assieme ai «furbetti del quartierino».

Frau parla di contraddizioni, trasformazioni e degenerazioni avviate negli Anni ’80, gli anni degli spot con il Tenente Colombo, dei primi ipermercati e della finanziarizzazione del sistema. In origine, le coop garantivano ai soci servizi e prodotti a prezzi bassi e se chiudevano i bilanci in utile ne distribuivano loro una parte. Oggi invece questo «ristorno» è quasi inesistente (nel 2007 Coop Adriatica e Coop Estense hanno restituito lo 0,3 per cento del fatturato), gli utili vengono incamerati per aumentare il patrimonio e raramente i prezzi sono più bassi rispetto alla concorrenza.

Con il «prestito sociale», certifica Frau, nel 2009 le «nove sorelle» coop hanno raccolto 12 miliardi e 110 milioni di euro, una somma quasi pari al giro d’affari complessivo: l’attività finanziaria ha raggiunto quella della distribuzione alimentare. I supermercati sono filiali di una banca mai autorizzata da Bankitalia, sottratta ai relativi controlli e soggetta a un regime fiscale di favore, con investimenti in prodotti finanziari e partecipazioni in società del sistema Legacoop. La cosiddetta tutela del risparmio è in realtà un’attività finanziaria a fini di lucro, che distribuisce briciole ai soci e determina un sistema di concorrenza sleale verso le banche e le altre catene distributive, le quali per crescere devono indebitarsi a costi largamente superiori.

«Lo spirito di solidarietà e mutualità è stato sacrificato per sposare la logica del mercato, della competizione e del profitto alla pari delle imprese di capitale - dice Frau - con la differenza che queste ultime pagano le tasse sul 100 per cento degli utili, mentre le coop soltanto sul 55 per cento. Nonostante la Costituzioni tuteli la «funzione sociale» e il «carattere di mutualità e senza fine di speculazione privata», le coop non svolgono più da tempo tali funzioni avendo scelto di operare sul mercato inseguendo il profitto e la speculazione in tutti i campi dell’economia: dalle assicurazioni (Unipol e Aurora) alla grande distribuzione (marchi Coop e Conad), dal settore immobiliare e abitativo a quello delle grandi opere infrastrutturali, fino alla raccolta del risparmio su vasta scala».

Il collateralismo con Pci-Psi-Pds-Ds con le annesse corsie preferenziali nell’ottenere le autorizzazioni ha garantito privilegi e creato una distorsione del mercato, «muri antistorici» e «barriere all’entrata». Collateralismo politico, riduzione dei benefici per i soci, vantaggi fiscali, raccolta del risparmio, regole interne che blindano contro qualsiasi ipotesi di scalata: ecco i pilastri che hanno consentito alle coop di occupare grandi spazi commerciali, sfruttando sia i vantaggi dell’economia di mercato sia quelli esclusivi delle società cooperative.

A ciò si aggiunge la casta degli intoccabili formata dai manager, con relativi stipendi: i presidenti delle grandi coop stanno nella fascia tra i 500mila e il milione di euro annuali, più i bonus che loro stessi si sono attribuiti come indennità di uscita. Anche se, invece di andare in pensione, spesso restano alla guida di società minori che assicurano gettoni e benefit vari.


28 luglio 2010

Stefano Filippi

Il Giornale

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25 luglio 2010

MACELLAZIONE CARNI, FLAI CGIL: SERVE UN PIANO STRATEGICO PER CONTRASTARE L'ILLEGALITA'

LA CGIL SI ACCORGE CHE IL PROBLEMA DELLE INFILTRAZIONI CRIMINALI, DEL CAPORALATO E DELLE FALSE COOP, IN PARTICOLAR MODO IN SETTORI COME QUELLI DELLA LAVORAZIONE DELLE CARNI, NECESSITA DI SOLUZIONI IMMEDIATE....


“Occorre attivare quanto prima un piano strategico per contrastare l’illegalità nel settore della macellazione delle carni e dare vita ad una maggiore e migliore attività di controllo dei processi produttivi” è quanto dichiara il Segretario nazionale della FLAI CGIL Mauro Macchiesi.

Nel settore, infatti, si registra la costante presenza di fenomeni illegali che interessano tutta la filiera, dagli allevamenti fino alla macellazione. “Molto diffuse – afferma il dirigente sindacale - sono le frodi ai consumatori attraverso la sofisticazione dei prodotti e l’immissione sul mercato di carni di dubbia provenienza”.

Macchiesi spiega inoltre che “l’attività di controllo da parte delle autorità competenti è stata finora del tutto irrisoria ed ha interessato solo lo 0,5% dei bovini macellati, lo 0,005% dei suini e lo 0,003% dei volatili", smentendo nei fatti il Sottosegretario alla Salute Francesca Martini che ha recentemente definito assoluta la sicurezza della filiera delle carni.

Dilagante è anche il ricorso all’intermediazione di manodopera da parte dei caporali, al lavoro nero, alla non applicazione dei contratti e allo sfruttamento dei lavoratori. “Si segnala, inoltre, - prosegue il Segretario nazionale FLAI CGIL - la sparizione nell’ultimo anno di circa 200mila capi bovini, destinati ai macelli clandestini presenti su tutto il territorio nazionale, che sono gestiti direttamente dalle organizzazioni malavitose di stampo mafioso e che rappresentano una vera e propria concorrenza sleale nei confronti di quelli legali e autorizzati”.

“Tutti questi elementi – conclude Macchiesi - impoveriscono un settore che ha sempre basato la sua competitività sulla qualità e sulla certificazione dei prodotti, mettono a repentaglio la salute dei consumatori e scoraggiano tutte quelle aziende che operano rispettando leggi e contratti di lavoro”.


23 luglio 2010

CGIL.it
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ESSELUNGA RIAPRE IL CASO LIVORNO

Il padre padrone di Esselunga continua a togliersi veri e propri sassoloni dalle scarpe

Dopo l'attacco contro Coop Estense e il comune di Modena, è la volta di Livorno

Caprotti contesta la cessione dell'area commerciale Fremura ad Unicoop Tirreno, nonostante un'offerta superiore.



Alla faccia della libera concorrenza: «Vi posso assicurare che a Livorno siamo determinati a non lasciare un solo metro quadro alla concorrenza» ( Sergio Costalli, 23 febbraio 2008);

«l'importante è che non si insedi la concorrenza» (ancora Costalli, 21 febbraio 2009)»;

«Livorno è nostra, Coop non molla» (Marco Lami, presidente di Unicoop Tirreno, 20 febbraio 2010).

Dov'era Catricalà, Presidente dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, non lo sappiamo, ma sappiamo dove va.

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LIVORNO. Esselunga non molla. Dopo Modena, Livorno.
Domenica scorsa il gruppo di Bernardo Caprotti ha pubblicato una pagina a pagamento sui principali quotidiani per accusare il Comune di Modena di averla intralciata nel progetto di un'area commerciale, trasformata dall'amministrazione comunale in area residenziale. Domani tornerà all'attacco con un altro annuncio a pagamento. E nel mirino stavolta c'è Livorno, dove Esselunga non è mai riuscita a sbarcare.

Nuovo Centro
. Esselunga aveva già accusato l'amministrazione comunale livornese di ostacolarla nei propri progetti e il caso dell' ex Fiat di viale Petrarca - dove non ha mai potuto aprire il supermercato - era stato accennato nel libro del patron Caprotti «Falce e Carrello». Ma dopo che l'ultima area disponibile per la grande distribuzione, i 2.550 mq di vendita autorizzati nel futuro Nuovo Centro, sono finiti alla concorrente Coop, il gruppo milanese è ripartito all'attacco.

Il prezzo giusto
. Fremura ha venduto l'area commerciale a Unicoop Tirreno per 31 milioni di euro, in presenza di un'offerta presentata da Esselunga da 40 milioni di euro. Offerta che però - secondo la proprietà livornese - era arrivata in ritardo. Una spiegazione che non ha mai del tutto convinto Esselunga, che tuttavia non è mai voluta scendere in polemica con Marcello Fremura.

Coop nel mirino. L'attacco è contro la Coop e contro il sistema di potere e di condizionamenti che - secondo il gruppo milanese - ha «impedito al venditore di scegliersi il cliente perchè "noi a Livorno ci viviamo e ci lavoriamo"» frase attribuita ai Fremura riportata dal Tirreno del 19 aprile. E a sostegno della tesi che non si è voluto che il Nuovo Centro finisse in mano ad Esselunga, il gruppo milanese cita interviste a manager di Unicoop Tirreno pubblicate dal nostro giornale. «Vi posso assicurare che a Livorno siamo determinati a non lasciare un solo metro quadro alla concorrenza» (Sergio Costalli, 23 febbraio 2008); «l'importante è che non si insedi la concorrenza» (ancora Costalli, 21 febbraio 2009)»; «Livorno è nostra, Coop non molla» (Marco Lami, presidente di Unicoop Tirreno, 20 febbraio 2010).

Lupi e agnelli
«Esselunga non intende attaccare nessuno, aggredire nessuno, calunniare nessuno - si legge in una nota del gruppo - Esselunga non ha mai parlato di illeciti o di atti illegittimi. Tutto può essere assolutamente legale, però inconsueto, singolare». E per chiudere, il gruppo cita la favola di Fedro: il lupo e l'agnello che si abbeverano allo stesso torrente, il lupo sta più in alto ma accusa l'agnello di sporcargli l'acqua, poi trova altre ragioni pretestuose per contestarlo, infine lo attacca e lo mangia. Il lupo Coop e l'agnello Esselunga.

24 luglio 2010

C.M.

IL TIRRENO

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MAGAZZINO CONAD MONTOPOLI, FIT-CISL: "VOGLIAMO RESTARE CON ALMA GROUP"

La Filt- Cisl protesta per il probabile passaggio dell'appalto del magazzino Conad di Montopoli da Almagroup a CFT.

Infuria la polemica con la Filt-Cgil.


Il problema però, prima che sindacale, sembra di ripristino della legalità contro le infiltrazioni mafiose negli appalti.


Negli ultimi giorni, ci siamo occupati spesso di vicende opache che parrebbero collegare cooperative che gestiscono in appalto magazzini, anche di grandi marchi, con le attività mafiose. Conviene ribadire a tal proposito la gravità dei retroscena che emergerono dall' omicidio di Pasquale Maglione, l'avvocato ucciso a Rodano (MI) il 16 luglio scorso e che avrebbero orientato i carabinieri ad indagare in partico­lare sui rapporti del professionista con il mondo della cooperazione, fortemente permeato dalla malavita organizzata.

In questo contesto sono illuminanti le dichiarazioni del sindacalista dello S.I. Cobas Fulvio Di Giorgio che conclude la sua intervista con una frase alquanto efficace: «In un sistema senza regole, dove vince il più forte, arriva il far west. E nel far west si spara».

Se partiamo da questa premessa, la querelle che si è innescata tra Filt-Cgil e Fit-Cisl (di cui da ampio riferimento l'articolo che segue) sulla vicenda della cooperativa Almagroup che gestiva il magazzino Conad di Montopoli, pare risibile. In quella circostanza infatti, sembrano questioni secondarie o forse derivate da un retroterra di grave illegalità, quelle puramente sindacali, quando pochi giorni fa l'assessore provinciale alla legalità, Gabriele Santoni, si esprimeva con questi termini: «Conad deve chiarire perché la gestione del magazzino è stata affidata al consorzio Almagroup di Milano, il cui riferimento è Natale Sartori, già condannato nel 2001 a 4 anni e 9 mesi per "corruzione continuata", intimo di Marcello Dell'Utri e Vittorio Mangano».

Ad arricchire le informazioni su questo argomento, ci aiuta un nostro attento ed acuto lettore, che ci ha inviato nei commenti un sintomatico stralcio dalla relazione del Consiglio Superiore della Magistratura approvata all'unanimità il 24 luglio 2002: "La costituzione di queste ultime società (si parla di società operanti nel milanese, che per legami, provenienza di capitali, ecc. possono definirsi mafiose - nota blog) ha avuto inizio nei primi anni Ottanta ad opera di esponenti di spicco della ndrangheta calabrese e della mafia siciliana, tra cui in particolare Pasquale Latella, Gaetano Coppola, Antonino Currò, Natale Sartori, Giuseppe Porto, Daniele Formisano (nipote di Vittorio Mangano), Cinzia e Loredana Mangano (figlie dello stesso Mangano), Enrico Di Grusa (genero del Mangano). Dette cooperative, prevalentemente appoggiate presso alcuni studi di commercialisti milanesi (tra cui in particolare lo studio Selma di Maurizio Pierro, assassinato nel 1997), furono costituite inizialmente con funzioni di mera copertura e con ruoli del tutto secondari rispetto ad ulteriori e diverse attività criminali, quali rapine e traffico di sostanze stupefacenti. Sono poi diventate, però, un formidabile strumento di creazione e moltiplicazione di ricchezza illegale che via via ha determinato la distribuzione del mercato tra pochi consorzi di cooperative, con estromissione delle cooperative di servizi vere, che operavano in modo legale". I personaggi citati

Chi vuole consultare il testo integrale del CSM, trova il passaggio riportato a pagina 10.
Forse, non farebbe male dargli un'occhiata anche da parte di qualche sindacalista che si è occupato della vertenza Almagroup-Conad.
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Lo scorso lunedì un presidio a Pistoia sotto la Conad, indetto dalla Cisl, per "testimoniare la volontà di alcuni lavoratori di rimanere con Alma". La Cisl esprime inoltre preoccupazioni sul nuovo appalto, nonostante da Conad siano giunte ancora rassicurazioni sui livelli occupazionali e le retribuzioni. Per la Filt-Cgil, quello della Cisl "è un tentativo grave e strumentale di creare falsi allarmi tra i lavoratori che chiedono garanzie"
La vicenda dell'Almagroup, l'azienda oggetto di pesanti accuse da parte della Cgil in merito allo sfruttamento di lavoratori migranti nel magazzino Ce.di. di Montopoli, non accenna a placarsi. Se da un lato infatti sembra chiuso il capitolo fra questa azienda e la Conad, dall'altro c'è ancora chi tenta di difendere Almagroup e di salvare un appalto ormai dato per finito.

Due giorni fa la Cisl ha indetto un presidio di fronte alla Conad di Pistoia, al quale hanno partecipato, secondo la stessa Cisl, un centinaio di lavoratori, che chiedevano "di poter restare con Alma".
Una posizione con cui di fatto prendono definitivamente le distanze sia dalle accuse mosse dalla Cgil, sulle quali sia Cisl che Uil si erano già espresse, sia dalle dichiarazioni della stessa Direzione Provinciale del Lavoro, che confermava l'esistenza di indagini in corso e l'accertamento di irregolarità emerse dall'altra indagine già conclusa.

Ignazio Re della Fit-Cisl, ha voluto commentare così il presidio di lunedì: "Molti lavoratori dipendenti di Alma hanno voluto fare un presidio di fronte a Conad per rendere noto a tutti che quello che era stato denunciato dalla Cgil non rispondeva al vero. Noi in effetti abbiamo fatto solo da sostegno, loro hanno espresso questa volontà. Tra i presenti c'erano anche diversi iscritti alla Cgil, per testimoniare il fatto che tutto ciò che è stato scritto, ossia che l'azienda facesse schiavismo, non è vero."
Una posizione viene espressa dal sindacalista anche sulle buste paga in negativo, che Re reputa "non anomale". "Si trattava di quote d'affitto che i lavoratori pagavano all'azienda - dichiara - dato che questa si faceva garante verso i proprietari, che altrimenti non avrebbero mai affittato a immigrati. Anzi, così facendo l'azienda agevolava i dipendenti."

Di fronte a buste paga in cui non solo veniva conteggiato l'affitto, ma questo superava la stessa cifra dello stipendio, la Fit-Cisl non rileva nessun problema: "Non è strano se l'azienda fa pagare l'affitto e lo toglie dalla busta paga. Non c'è nessuna anomalia, vorrò vedere queste buste paga di cui si parla, a noi non risultano casi di questo tipo."

Ma al di là della difesa incondizionata alla Alma, alla Cisl non piace la possibilità che sia la cooperativa Cft a riprendere in mano l'appalto.
"Prima dell'Alma c'era la cooperativa Cft di Firenze che applicava il contratto multiservizi - afferma - poi la Alma è subentrata e ha applicato il contratto della logistica e merci, tant'è che noi possiamo seguire i lavoratori come Fit e non come commercio." Sul contratto applicato da Cft, la Cisl non è in grado di fornire prove immediate a sostegno di questa dichiarazione: "Proveremo a recuperare vecchie buste paga".
Cita come una conquista della Cisl il "contratto integrativo con Alma, mirato sulla produttività" e sostiene che la maggior parte dei lavoratori "ora si trova ad aver perso l'azienda di provenienza e vogliono che la Alma rimanga."

Nemmeno le dichiarazioni della Direzione Provinciale del Lavoro fanno cambiare il giudizio della Cisl sull'operato della Alma: "Sulle cose dette dalla Direzione Provinciale del Lavoro non ho dati sicuri, ho letto solo le dichiarazioni sui giornali. Prendo atto di quello che viene detto, ma non posso né confermare né smentire. Come sindacato dico che abbiamo intorno ai 150 iscritti nell'ambito di Alma, e da quello che ci risulta, non abbiamo trovato irregolarità, buste paga che non tornavano o eventuali carenze da parte dell'azienda."

Infine, sulle clausole poste da Conad che verranno inserite nel prossimo capitolato d'appalto, clausole di garanzia sul mantenimento degli attuali livelli occupazionali, anzianità, retribuzioni ecc, alla Cisl non sembrano sufficienti: "Essendo la Cft una cooperativa, i lavoratori sono preoccupati per il ritiro della quota sociale di 74 euro dalla busta paga. Si può superare questo problema?"
"Abbiamo apprezzato la posizione di Conad - prosegue Re - nell'incontro che abbiamo avuto il 19 luglio con l'Amministratore delegato di Conad, che si è dimostrato essere una persona comprensiva. Alla fine chi patisce di più questa situazione è il cliente, l'amministratore delegato è stato disponibile e ha confermato le clausole dell'appalto. Le informazioni che abbiamo dagli incontri avuti fra Cft e segreterie regionali, sembra che non sia del tutto vero che la Cft assumerà la totalità dei lavoratori e garantirà lo stesso trattamento finanziario. Da parte nostra permangono dubbi".

Nella giornata del 16 luglio intanto sono giunte nuove rassicurazioni da parte di Conad del Tirreno, circa il nuovo contratto di appalto. Nella lettera inviata a tutte le organizzazioni sindacali, Conad dichiara: "L'inclusione nel nuovo contratto di appalto di un'espressa clausola volta a garantire da parte del nuovo appaltatore i livelli occupazionali esistenti e le condizioni economiche e normative acquisite dai lavoratori occupati alle dipendenze dell'attuale soggetto appaltatore e impiegati presso il magazzino di Montopoli, risponde ad una volontà di Conad del Tirreno di rassicurare i lavoratori e i sindacati."
"In particolare - prosegue il testo - con riferimento al mantenimento dei livelli occupazionali esistenti, si precisa che le previsioni del nuovo contratto di appalto stabiliranno l'obbligo da parte dell'appaltatore di mantenere l'occupazione di tutti i lavoratori", e nello specifico, "il contratto nazionale applicato alla Logistica e Trasporti, l'anzianità, il livello di inquadramento, la tipologia di rapporto, gli accordi integrativi esistenti, l'orario settimanale".
Infine, "in materia di trasferimenti la normativa impone che gli stessi possano essere disposti solo in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Pertanto, resta inteso che sotto questo profilo l'appaltatore sarà tenuto ad osservare le disposizioni normative vigenti".

Sulle posizioni espresse dalla Fit-Cisl, la Filt-Cgil ha emesso un comunicato con cui chiede di interrompere "ogni strumentalizzazione".
"Prima dell'intervento della Filt - si legge nella nota - la situazione era caratterizzata dalla totale violazione dei più elementari diritti da parte di Almagroup."
"Appaiono gravi e strumentali i tentativi di Filt-Cisl e Uilt-Uil di creare falsi allarmi tra i lavoratori che, giustamente, chiedono garanzie per il loro futuro. E' falso infatti, quanto affermato dalla Fit-Cisl che Cft applica il contratto del multiservizio. Non è vero. Il contratto applicato da questo gruppo è quello del trasporto merci e logistica. Condizione comunque, presente nella clausola".

"E' patetico tra l'altro - proseguono dalla Filt - che la Fit-Cisl si attribuisca l'acquisizione di un accordo integrativo conquistato, insieme ad altri risultati importanti, dalla Filt-Cgil ed i suoi delegati il 10 luglio 2009. Possiamo capire il livello di frustrazione di organizzazioni sindacali che vedono l'azienda 'amica' abbandonare il campo, ma un po' di ritegno non guasterebbe."

"Noi della Filt - concludono - non abbiamo mai avuto aziende amiche. Abbiamo fatto accordi con Alma quando a gestire le relazioni sindacali c'era un soggetto responsabile e corretto. Abbiamo mobilitato i lavoratori quando i 'nuovi responsabili' hanno scelto la linea dello scontro e dello sfruttamento di lavoratori stranieri sottoposti a ricatti inaccettabili".

21 luglio 2010

Cinzia Colosimo

PISAnotizie.it


Vedi anche:

"FALSE COOP" E MALAVITA ORGANIZZATA: UN BINOMIO FREQUENTE

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24 luglio 2010

FUSIONE A NORD-OVEST TRA I GRANDI SOCI COOP

Le Coop del "distretto nord ovest", Coop Liguria, Coop lombardia e NovaCoop (piemonte) starebbero per fondersi in un'unica cooperativa, dando vita così al 5° gruppo nazionale nella grande distribuzione ed al 1° tra le Coop
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La fusione porterebbe la nuova Coop a diventare il primo azionista di Holmo, la holding che controlla Unipol, con oltre il 15%



MILANO- I tempi delle nozze stanno maturando rapidamente. E già in autunno potrebbe arrivare il triplo "sì" a sancire la nascita della più grande cooperativa di consumo in Italia, nonché dell'azionista di riferimento di Holmo, la holding che controlla Unipol.

Protagoniste della storia, d'affari più che d'amore, sono Coop Liguria, Coop Lombardia e l'omologa piemontese NovaCoop, tre soggetti molto diversi tra loro che da soli oggi lottano per tenere le posizioni sul mercato della grande distribuzione nelle rispettive regioni, ma che insieme - forti di una rete di 153 punti vendita, tra super e ipermercati, 11.709 addetti e un fatturato che nel 2009 ha superato 2,7 miliardi di euro - potrebbero raggiungere una soglia dimensionale paragonabile a quella delle grandi multinazionali leader in Italia.

Per le tre realtà, di fatto, si tratterebbe di un'accelerazione del percorso di integrazione già avviato nel 2003, quando hanno affidato al Consorzio Nord-Ovest le attività di logistica, i servizi informativi e gli acquisti. Una convergenza non facile, ma che in questi anni ha dato i primi risultati in termini di economie di scala. Proprio di qui, sull'onda di una concorrenza sempre più serrata, è nata l'idea di «valutare la possibilità di una vera e propria fusione», come spiega il presidente di NovaCoop, Ernesto Dalle Rive.

Nei mesi scorsi è arrivato il primo semaforo verde da parte dei tre consigli di amministrazione, e adesso la palla è in mano a dieci gruppi di lavoro misti, chiamati a confrontare pezzo per pezzo come sono e agiscono le tre cooperative: «Finora non sono emerse differenze così significative da escludere la possibilità di una completa integrazione» anticipa il numero uno di Coop Lombardia, Silvano Ambrosetti. Conclusa questa fase di due diligence comparata, a settembre il dossier tornerà sul tavolo dei cda, ai quali spetta l'ultima parola. Il flirt sembra ormai approdato a un punto in cui tornare indietro potrebbe costare più che arrivare fino in fondo, ma i nodi da sciogliere non sono pochi.

Nodi in larga parte collegati alla diversa fisionomia dei tre soggetti: Coop Liguria, leader in regione, ma imprigionata in un distretto angusto e per di più saturo; NovaCoop alla ricerca di nuovi sbocchi dove proseguire un percorso di espansione che l'ha vista aprire otto punti vendita in due anni; Coop Lombardia alle prese con uno dei mercati più competitivi d'Europa.

Così si spiega perché a tirare la volata siano la sponda lombarda e quella piemontese, mentre dalla Liguria si ragiona con una certa cautela: «Di per sé non siamo contrari, ma tutto dipenderà dai margini di efficienza e dalle conseguenti riduzioni dei costi che potrebbero arrivare dall'unificazione» dice chiaramente Francesco Berardini, presidente di Coop Liguria. Che ribadisce: «Più che gli aspetti formali, ci interessano quelli sostanziali. Sarà fondamentale mettere a fuoco un'integrazione operativa funzionale ed efficace».

Se l'operazione dovesse andare in porto, a Nord-Ovest nascerebbe il quinto operatore nazionale della grande distribuzione, oltre alla prima coop italiana. «Sappiamo di avere davanti una sfida ambiziosa, non solo per noi ma per tutto il mondo cooperativo italiano – aggiunge Dalle Rive –. Le nostre tre realtà, forti della loro vantaggiosa posizione di mercato, potrebbero diventare motore di rilancio per l'intero sistema», dove, a ruota, c'è chi vede all'orizzonte altre potenziali integrazioni.

Anche perché, per restare ai contraccolpi sui delicati equilibri che governano la galassia coop, c'è la questione partecipazioni: raccogliendo le quote che oggi fanno capo ai tre promessi sposi, il nuovo ente si troverebbe con un portafoglio capace di renderlo azionista di riferimento di Holmo (con il 15,6%), la holding che controlla Unipol, di Sviluppo Discount (300 punti vendita, tra diretti e affiliati) e Librerie Coop.

Un patrimonio fatto di onori (vedi Unipol) ma anche di oneri, che - una volta radunato - «potrebbe dare il là a qualche possibile alleggerimento», ragiona ancora Berardini, e «liberare risorse utili per il nostro core business commerciale» aggiunge Dalle Rive.

Se matrimonio sarà, comunque, «le novità saranno tante – conclude Ambrosetti – anzitutto per i nostri soci e clienti. Avere le spalle più larghe ci consentirà di essere più efficaci nello sviluppo della rete, nella sperimentazione di nuovi servizi e, perché no, nei prezzi».

24 luglio 2010

Marco Ferrando

Il Sole 24 ORE

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L'APPELLO, "NO AL BAVAGLIO PER IL WEB"

Il ddl intercettazioni stabilisce l'obbligo di rettifica anche per i blog con multe fino a 12.500 euro. La lettera alla Camera.

“Stiamo per diventare il primo e l’unico paese al mondo nel quale un blogger rischia più di un giornalista ma ha meno libertà”



Qualche ritocco, e ammorbidimento, alla libertà per giornalisti ed editori di pubblicare intercettazioni. Ma una stretta confermata sui blog, sottoposti a obbligo di rettifica e multe salate. Oltre ai limiti e ostacoli all'attività di indagine dei magistrati, che restano sempre - è bene ricordarlo - l'aspetto più grave di tutta la vicenda. Il ddl intercettazioni (vedi la scheda) approvato dalla Commissione Giustizia della Camera continua a fare scandalo. Per quanto riguarda i blog, pubblichiamo e sottoscriviamo l'appello lanciato, tra gli altri, da Guido Scorza e Valigia Blu. Insomma, non si smobilita. (D.O.)

Al Presidente della Camera, On. Gianfranco Fini
Al Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati On. Giulia Bongiorno
Ai Capi-gruppo alla Camera dei Deputati
A tutti i Deputati

La decisione con la quale, lo scorso 21 luglio, il Presidente della Commissione Giustizia della Camera, On. Giulia Bongiorno, ha dichiarato inammissibili gli emendamenti presentati dall’On. Roberto Cassinelli (PDL) e dall’On. Roberto Zaccaria (PD) al comma 29 dell’art. 1 del c.d. ddl intercettazioni costituisce l’atto finale di uno dei più gravi – consapevole o inconsapevole che sia – attentati alla libertà di informazione in Rete sin qui consumati nel
Palazzo.

La declaratoria di inammissibilità di tali emendamenti volti a circoscrivere l’indiscriminata, illogica e liberticida estensione ai gestori di tutti i siti informatici dell’applicabilità dell’obbligo di rettifica previsto dalla vecchia legge sulla stampa, infatti, minaccia di fare della libertà di informazione online la prima vittima eccellente del ddl intercettazioni, eliminando alla radice persino la possibilità che un aspetto tanto delicato e complesso per
l’informazione del futuro venga discusso in Parlamento.

Tra i tanti primati negativi che l’Italia si avvia a conquistare, grazie al disegno di legge, sul versante della libertà di informazione, la scelta dell’On. Bongiorno rischia di aggiungerne uno ulteriore: stiamo per diventare il primo e l’unico Paese al mondo nel quale un blogger rischia più di un giornalista ma ha meno libertà.

Esigere che un blogger proceda alla rettifica entro 48 ore dalla richiesta – esattamente come se fosse un giornalista – sotto pena di una sanzione fino a 12 e 500 mila euro, infatti, significa dissuaderlo dall’occuparsi di temi suscettibili di urtare la sensibilità dei poteri economici e politici.

Si tratta di uno scenario anacronistico e scellerato perché l’informazione in Rete ha dimostrato, ovunque nel mondo, di costituire la migliore – se non l’unica – forma di attuazione di quell’antico ed immortale principio, sancito dall’art. 19 della dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo e del cittadino, secondo il quale “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la
propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.

Occorre scongiurare il rischio che tale scenario si produca e, dunque, reintrodurre il dibattito sul comma 29 dell’art. 1 del ddl nel corso dell’esame in Assemblea, permettendo la discussione sugli emendamenti che verranno ripresentati. L’accesso alla Rete, in centinaia di Paesi al mondo, si avvia a divenire un diritto
fondamentale dell’uomo, non possiamo lasciare che, proprio nel nostro Paese, i cittadini siano costretti a rinunciarvi.

Guido Scorza, Presidente Istituto per le politiche dell'innovazione

Tra i primi firmatari: Vittorio Zambardino, Scene Digitali; Alessandro Gilioli, Piovono Rane; Arianna Ciccone, Festival Internazionale del Giornalismo e Valigia Blu; Filippo Rossi Direttore Ffwebmagazine e Caffeina magazine; Luca Conti, Pandemia; Fabio Chiusi, Il Nichilista; Daniele Sensi, L'AntiComunitarista; Wil Nonleggerlo, Non leggere questo Blog!


» IL LINK PER FIRMARE L'APPELLO

23 luglio 2010

rassegna.it

22 luglio 2010

OMICIDIO DELL'AVVOCATO MAGLIONE: PARLA FULVIO DI GIORGIO DEI COBAS


Per il sindacalista dello S.I. Cobas «le motivazioni dell’omicidio Maglione vanno ricercate nel sistema delle cooperative» e aggiunge «in un sistema senza regole, dove vince il più forte, arriva il far west.
E nel far west si spara».



Quella che segue è l'intervista a Fulvio Di Giorgio, coordinatore dello
S.I. Cobas di Cremona. Di Giorgio fu arrestato in seguito allo sciopero iniziato il 30 dicembre 2009 alla Fiege Borruso di Brembio, per essere poi rilasciato il giorno seguente.

Ciò che dice in questa intervista, lascia pochi dubbi sull'origine dell'omicidio dell'avvocato Maglione e ripropone con forza il tema della legalità nelle cooperative sociali, specialmente in quelle di facchinaggio, dove l’infiltrazione malavitosa - vedi caso magazzino Conad Montopoli - e l’assenza di controlli sembrano essere sempre più ricorrenti.

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Pasquale Maglione, l’avvocato ucciso a colpi di pistola venerdì sera a Rodano, era pressato tra interessi delle cooperative e proteste dei lavoratori. A far luce su tutto questo è Fulvio Di Giorgio, il leader nazionale dei Cobas che si ricorda molto bene di Maglione.

Quando si contatta Di Giorgio, non c’è bisogno di dirgli che si vuole sapere se lui, per caso, conoscesse l'avvocato. Inizia lui a parlare in tema. «Ma lo sai chi era Pasquale Maglione, il legale freddato nel milanese?» Poi il suo racconto a fiume. «Per noi Maglione era l’uomo che rappresentava Dhl quando i lavoratori bloccavano i cancelli per rivendicare diritti salariali. Più volte ci è stato detto anche che era colui dal quale dipendeva l’ingaggio di una cooperativa piuttosto che di un’altra ma anche i tempi di ingaggio delle diverse cooperative, da sei mesi in su. Per periodi minori solo nel caso in cui si trattasse di realtà usa e getta, che nascono e muoiono in pochi giorni».

«Lo conoscevo dagli scioperi alla Dhl di Corteolona - continua il leader dei Cobas -. Noi arrivavamo la sera, bloccavamo i cancelli, i camion in entrata e in uscita. E lui veniva tirato giù dal letto di notte. Più di una volta l’abbiamo visto ai cancelli, qualche ora dopo, a tentare di trattare con i “caporali”. L’idea personale che c’eravamo fatti di lui, era quella di un “traccheggione”. La giacca, secondo me, tentavano di tirargliela le cooperative quanto i lavoratori. Maglione era “l’uomo del sistema”. Ma così, spesso, si faceva due nemici: lavoratori, ma anche cooperative escluse, di volta in volta, dall’affidamento degli incarichi».

Le cooperative: realtà spesso e volentieri al centro di indagini per collusioni con la malavita organizzata, riciclaggio quando non lavoro nero. A volte solo società cartiere, spesso con prestanome.

Ma Di Giorgio vuole dire di più. Spiega, infatti: «Non abbiamo incontrato Maglione solo a Corteolona, per Dhl, ma anche nelle proteste a San Giuliano Milanese e altrove. E sia chiaro che, ancora attualmente, tra Dhl e Cobas, che rappresentano i lavoratori, ci sono vertenze aperte in tribunale. E l’avvocato che avrebbe dovuto rappresentare Dhl in sede giudiziaria avrebbe dovuto essere sempre Maglione».

Insomma: il ritratto che viene tracciato di questo avvocato dalle parole di Di Giorgio è quello di un professionista tra due fuochi: lavoratori e cooperative. Mentre le aziende che lo ingaggiavano come consulente tributario, oltre che esperto in diritto del lavoro, ovviamente si aspettavano curasse i loro interessi.

Ma poi lo stesso Di Giorgio dice: «Le motivazioni dell’omicidio Maglione, per noi, vanno ricercate nel sistema delle cooperative». Esattamente quel che gli inquirenti stanno facendo. «Perché - conclude Di Giorgio - in un sistema senza regole, dove vince il più forte, arriva il far west. E nel far west si spara».

19 luglio 2010

Flavia Mazza Catena

il Giornale.it

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20 luglio 2010

"FALSE COOPERATIVE" E MALAVITA ORGANIZZATA: UN BINOMIO SEMPRE PIU' FREQUENTE

Occorre un'attento monitoraggio del sindacato e delle autorità competenti sulle cooperative che operano negli appalti della logistica e delle pulizie.
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Le aziende commitenti tacciono per una presunta convenienza, rischiando la reputazione.

I recenti fatti di cronaca (vedi post precedenti) ci portano sempre più spesso ad occuparci di cooperative sociali che svolgono servizi conto terzi nel settore della logistica (magazzini di corrieri, alimentari, ecc.) che sfruttano in maniera selvaggia i soci-lavoratori, quasi tutti extracomunitari, a volte addirittura senza regolare permesso di soggiorno, quindi ancor di più ricattabili e vittime di datori di lavoro senza scrupoli.

L'assoluta carenza di controlli da parte sindacale, delle strutture preposte e la silente compiacenza delle aziende committenti l'appalto, hanno creato l'ambiente ideale affinché la malavita organizzata, in particolare la camorra, abbia, con estrema facilità, costituito varie coop sociali prendendo gli appalti di magazzini anche di marchi importanti.

Quello che segue è quanto scrive sull'argomento Umberto Franciosi, un sindacalista della FLAI-Cgil di Modena che conosce bene la questione.

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COOPERATIVE E CAPORALATO

Articolo 45 della Costituzione italiana

La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata.

La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e neassicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità.

La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato.


Immaginiamo una cooperativa con quasi un centinaio di soci lavoratori che eseguono "ufficialmente" lavori di facchinaggio nelle imprese delle lavorazione delle carni e dei salumi, ma nella realtà eseguono lavori del ciclo produttivo. Viene naturale pensare ad impresa con una struttura che sostiene una sede, se non prestigiosa almeno dignitosa con computer telefoni e fax, un apparato di dirigenti con impiegati e segretarie. Ci possiamo immaginare, insomma, di avere di fronte un impresa a tutti gli effetti.
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Niente di tutto questo. La cooperative di cui sopra, che possiamo benissimo definire falsa cooperativa, è un esempio che può rappresentare benissimo altre imprese del genere. Queste false cooperative spesso hanno formalmente la loro sede legale presso l’abitazione del presidente, a volte un semplice prestanome extracomunitario, oppure, per dare una parvenza di legalità, presso un polveroso ufficio di pochi metri quadrati che funge da ripostiglio, in cui manca la strumentazione minima per qualsiasi impresa: fax, telefono e computer, oltre che il personale che vi lavori dentro.

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Capita anche che la sede legale sia anche in luoghi remoti dell’Italia meridionale, presso la sede di qualche commercialista e che, la posta inviata a quegli indirizzi postali, ritorni indietro per compiuta giacenza.

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Gli unici recapiti di queste imprese fantasma, in maggioranza false cooperative, sono anonimi cellulari. Un esercito di false cooperative che gestiscono lavoratori stranieri grazie al prezioso lavoro di consulenti, o commercialisti, delle imprese committenti. Imprese committenti cha attraverso pseudo appalti di servizi, ne utilizzano la manodopera.

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Consulenti che gestiscono decine di false cooperative, uno di questi è addirittura un ex ispettore del lavoro ora in pensione. Cooperative che cambiano nome repentinamente, per sfuggire ai controlli. Consulenti che spesso sono gli stessi consulenti dell’impresa committente. Consulenti che si sono creati in famiglia la loro cooperativa di facchinaggio per somministrare manodopera nelle aziende dei loro clienti. Ma non è tutto! Associazioni degli imprenditori che di giorno predicano bene contro l’illegalità del lavoro, ma di notte razzolano male perché, attraverso società terze direttamente controllate, gestiscono decine di false cooperative.

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Al peggio però non c’è mai fine: imprese committenti che si costruiscono la propria cooperativa in casa con presidente familiari dell’amministratore delegato dell’impresa committente, oppure lo stesso amministratore delegato della cooperativa che è lo stesso dell’azienda committente.

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Non stiamo parlando della “new economy” o di imprese di servizi futuribili legati all’informatica, ma ad “aziende” che forniscono ad altre lavoratori per la lavorazione delle carni e dei salumi.

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E’ il mondo delle cooperative “furbe”, o meglio delle cooperative fasulle, che operano nel grigio ma anche nel nero, che somministrano illegalmente manodopera non rispettando le leggi della Repubblica: dalla Costituzione, passando dalla famosa legge 30, arrivando ai contratti nazionali di lavoro.

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E’ il mondo di chi, operando nell’indifferenza politica ed istituzionale, vuole rivestire un ruolo moderno e competitivo riconducibile però sempre ad un vecchio termine: caporalato!

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Umberto Franciosi

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NuovoCAPORALATO.it

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19 luglio 2010

UN NO ALLA PERSONA SBAGLIATA E' COSTATO LA VITA ALL'AVVOCATO

Le indagi­ni dei carabinieri sono orientate nell’ambito delle sue atti­vità professionali, in partico­lare nei suoi rapporti con il mondo della cooperazione, fortemente permeato dalla malavita organizzata


L’unica cosa certa è che, a meno di un insperato col­po di fortuna, l’inchiesta sul delitto Maglione sarà lunga. Ci vorrà tempo infatti per ve­rificare tutti i suoi rapporti di lavoro, analizzare società e titolari, alla ricerca di un inte­resse tanto forte da portare a un omicidio.

Perché su una cosa sembrano esserci po­chi dubbi: l’avvocato è stato ammazzato nell’ambito di un vertenza professionale. Lo fanno sospettare i suoi principali campi di azione: i rapporti con le cooperative e il recupero crediti. Ma an­che la sua origine campana che l’avrebbe portato, maga­ri involontariamente, a con­tatto con qualche ambiente malavitoso.

Pochi dubbi infatti che si tra­t­ti di una esecuzione in pieno stampo mafioso. Venerdì se­ra verso le 22, Pasquale Ma­glione, 56 anni, è stato aspet­tato nel parcheggio della sua abitazione-studio in via Ga­ribaldi a Rodano da due mo­tociclisti. Appena l’uomo è sceso dalla sua Mercedes, i killer gli si sono affiancati e senza neppure fermarsi gli hanno sparato quattro colpi di calibro 7.65 al petto.

Esclu­so il movente passionale, Maglione era felicemente sposato, e lo scambio di per­sona, i carabinieri di Cassa­no d’Adda sembrano abbia­no subito orientato le indagi­ni nell’ambito delle sue atti­vità professionali, in partico­lare nei suoi rapporti con il mondo della cooperazione, fortemente permeato dalla malavita organizzata. Nella mappa criminale na­zionale infatti, sembra che in particolare i clan camorri­stici abbiano sviluppato una grossa attenzione nei con­fronti di questo settore.

Sia per far transitare e riciclare soldi provenienti da attività illecite, sia come forma di guadagno in sé. Che può es­sere consistente, soprattut­to se non si hanno scrupoli. Vista la particolare tutela giu­ridica prevista dal nostro or­dinamento, queste società possono venire aperte senza troppe difficoltà di tipo buro­cratico. Ma anche chiuse, senza pagare i contributi e talvolta neppure gli stipendi ai lavoratori. E una volta ces­sata l’attività, Ispettorato del lavoro e Guardia di finan­za hanno un bel cercare: le sedi sociali risultano inesi­stenti, oppure uffici vuoti, e i soci prestanome ottuagena­ri.

E Maglione come consu­l­ente di diverse grosse azien­de si occupava appunto del­l’aspetto contrattuale con questi interlocutori. Originario della provincia di Benevento, dopo la laurea in legge aveva esercitato co­me avvocato giuslavorista, vice pretore onorario e giudi­ce tributario, per poi appen­dere la toga al chiodo nel 1998.

Dodici anni fa infatti aveva lasciato la moglie e i due figli nella bella villa di Moiono, dove per altro tor­nava quasi tutti i fine settima­na, e si era trasferito al nord, a Rodano, consulente dalla Faustfarm di Caleppio di Set­tala e della Polifarma. La pri­ma ­azienda è stata poi assor­bita dal gigante Dhl, la secon­da rientra nel gruppo Final Angelini.

In altri termini due realtà molto importanti nel settore dei trasporti e della logistica dei farmaci. En­trambe le società hanno da tempo scelto di appoggiarsi a cooperative di servizi che si occupano di facchinag­gio, magazzino e pulizie. Si­tuazione che ha spesso por­ta­to in passato a vertenze an­che piuttosto aspre. Che Ma­glione cercava puntualmen­te di mediare.

L’avvocato inoltre si occupa di un altro settore molto deli­cato: il recupero crediti. Al­tro mondo popolato di per­sonaggi equivoci e privi di scrupoli, se non dei veri e propri delinquenti che non guardano certo ai metodi pur di raggiungere i loro sco­pi. Uno sgarbo o un compor­tamento poco acquiescente nei loro confronti, potrebbe essere costato la vita al tran­quillo professionista tutto casa e lavoro.

19 luglio 2010

Enrico Silvestri

il Giornale.it

Leggi anche:

E' caccia al killer dell'avvocato: spunta la pista delle cooperative


Conad magazzino Montopoli, assessore Romei: "Si alza il velo sulle infiltrazioni mafiose"

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UN POSTO DI GOVERNO PER BONANNI

Crescono le quotazioni del segretario della CISL per il dopo Scajola o all'Inps

Tremonti lo loda all'assemblea di Confcooperative: un uomo che ha il senso della responsabilità politica


Si parla anche della possibilità per Angeletti, segretario generale UIL, della presidenza del
Cnel


Per il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, sembra proprio essere arrivato il tempo di un cambio di poltrona. Per lui, leader del sindacato «bianco» dal 2006, da qualche settimana si sta vociferando di un possibile incarico come ministro dello sviluppo economico, al posto del dimesso Claudio Scajola, o come presidente dell'Inps.

A confortare indirettamente questa possibilità è stato ieri anche il ministro dell'economia, Giulio Tremonti, che, intervendo all'assemblea romana di Confcooperative, ha rivolto al segretario della Cisl qualcosa di più di un'attestazione di stima: «È un uomo di Stato. Un uomo che ha un profondo senso della responsabilità politica».

Un riconoscimento che il titolare del dicastero di via XX Settembre ha tributato al segretario della Cisl, scusandosi per l'imbarazzo che questa cosa gli avrebbe provocato, per come ha saputo gestire l'organizzazione sindacale nelle difficili giornate della manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro.

E con Bonanni, Tremonti ha anche voluto ringraziare «quanti nel disegno della manovra hanno con forte senso di responsabilità condiviso il senso e la logica di quel cambiamento, di quel passaggio».

Ma per il segretario della Cisl, seduto in prima fila all'assise della confederazione delle cooperative guidata da Luigi Marino, quel riconoscimento, oltre che un attestato di stima, è suonato come una sorta di via libera a un giro di poltrone che il governo ha in serbo da qualche settimana.

Le dimissioni del ministro Scajola dal dicastero dello sviluppo economico infatti hanno solo dato un colpo di acceleratore a un valzer di poltrone che inevitabilmente sarebbe dovuto partire in questi mesi. Una sorta di rimpastone delle sempre meno poltrone che, anche grazie alla manovra, sono rimaste da coprire nei cda, e sulle quale giustamente l'esecutivo vuole mettere uomini «fidati».

Quella che avrebbe dovuto aprire le danze, prima delle dimissioni di Scajola, doveva essere quella del presidente del Cnel. Il mandato di Antonio Marzano a Villa Lubin è infatti in scadenza e in molti hanno pensato a lui per la poltrona di ministro dello sviluppo economico. D'altronde si tratterebbe solo di un ritorno, visto che lo era già stato nel passato governo Berlusconi. E poi qualche avvisaglia di questa possibilità si era avuta anche per il fatto che da maggio a fare da ufficiale di coordinamento con il ministro ad interim Silvio Berlusconi c'è quel Sestino Giacomoni, che era stato braccio destro, nel ruolo di capo della segreteria e di portavoce proprio di Marzano a via Veneto (si veda ItaliaOggi del 6 maggio).

Se però sarà Marzano a tornare al ministero, per Bonanni potrebbe aprirsi un'altra porta, quella cioè dell'Inps. L'ente di previdenza pubblico, uscito «rafforzato» dalla manovra grazie all'ingresso, per accorpamento, dell'Ipsema (un assaggino di quel grande progetto, di cui si parla da anni, di realizzare un Super Inps inteso come grande casa della previdenza italiana, separata dalle funzioni di assistenza, da delegare invece all'Inail), potrebbe ben adattarsi alle vesti di un sindacalista. Bonanni andrebbe a prendere il posto di Massimo Sarmi, fino a qualche settimana dato in pole position per il ministero dello sviluppo economico, ma congelato a causa delle tensioni interne alla maggioranza (Sarmi infatti è in quota ex-An, per i rapporti stretti con Gianfranco Fini e Maurizio Gasparri, e quindi per il momento è nel purgatorio del Pdl).

Per la poltrona di presidente del Cnel, invece, si starebbe ragionando su un'altra candidatura sindacale, quella cioè del segretario generale della Uil, Luigi Angeletti. La doppia e contemporanea uscita dei due numero uno delle maggiori organizzazioni sindacali, però, visto anche il sostanziale isolamento poltico della Cgil, non verrebbe vista molto bene dai loro iscritti, che contesterebbero la deriva politica dei due segretari. È probabile, quindi, che nel grande valzer delle poltrone, qualcuno, per opportunità, decida di fermarsi un giro. Nelle prossime torride giornate estive si deciderà chi.

15 luglio 2010

Roberto Milacca

ItaliaOggi

18 luglio 2010

ESSELUNGA CONTRO COMUNE DI MODENA E COOP ESTENSE

L'Esselunga di Bernardo Caprotti sferra un nuovo attacco alle Coop: due pagine a pagamento sui quotidiani intitolate Concorrenza e libertà, per denunciare un presunto "patto occulto" tra Coop Estense e Comune per impedire la costruzione di un supermercato


L'Esselunga di Bernardo Caprotti, come aveva annunciato due giorni fa, sferra un nuovo attacco contro le Coop (già nel mirino con il libro 'Falce e carrello' edito nel settembre 2007 da Marsilio) con due pagine a pagamento su diversi quotidiani nazionali. Al centro c'é un presunto 'patto occulto' tra Coop Estense e Comune di Modena per impedire la costruzione di un supermercato della catena milanese a Modena, in via Canaletto, su un terreno acquistato da Esselunga ma mai edificato per mancanza di permessi dall'amministrazione comunale. Accuse già smentite venerdì dal sindaco Giorgio Pighi e dal presidente di Coop Estense, Mario Zucchelli, che hanno annunciato ricorsi all'autorità giudiziaria.

"Concorrenza e libertà" titola Esselunga le due pagine sui quotidiani, che riportano le dichiarazioni rese al Resto del Carlino il 6 luglio dall'assessore Pd all'Urbanistica Daniele Sitta, secondo cui "Coop ed Esselunga per tanti anni non sono riuscite a trovare una soluzione condivisa", e dopo l'estate il Comune disporrà un cambio di destinazione d'uso per quel terreno, che sarà disponibile solo per residenze e terziario.

Esselunga spiega, con foto dell'area, che "nel marzo 2000 acquistò per 24 miliardi di lire il lotto 'A' (44.820 mq pagati 540.000 lire al mq) del comparto, facendo affidamento sul Programma di riqualificazione urbana (Pru) approvato dal Comune di Modena il 12 aprile '99 e sulla scheda di Piano regolatore. Il successivo progetto di Piano particolareggiato di iniziativa privata allora in corso di approvazione prevedeva, fra l'altro, un supermercato con il fronte su via Canaletto, proprio sull'area di proprietà Esselunga. All'asta giudiziale del febbraio 2001, Coop Estense - aggiudicandosi per 23 miliardi di lire il lotto 'B' (8.834 mq pagati 2.600.000 al mq) - divenne partecipe del comparto e poté così opporsi all'attuazione di quanto già programmato".

Il 24 novembre 2008 - prosegue Esselunga - l'assessore proponeva ancora una volta ai rappresentanti di Caprotti di insediarsi in un altro luogo e di cedere a Coop Estense il proprio lotto in via Canaletto. "In mancanza di ciò, o di un accordo fra Esselunga e Coop Estense per realizzare qualcosa, il Comune - dichiarò Sitta - avrebbe cambiato le 'destinazioni d'usò, cancellando 'l'uso commercialé. Esselunga rispose seduta stante che non avrebbe rinunciato al suo supermercato, che non si sarebbe ritirata, che prima o poi anche a Modena sarebbe arrivato il libero mercato". Il 4 maggio 2009 Pighi (Pd) ribadiva pubblicamente che, in mancanza di un accordo tra Coop Estense ed esselunga, il Comune avrebbe annullato il 'commerciale'".

"Questa decisione può sembrare equanime, imparziale: tra i due litiganti nessuno fa niente", afferma Esselunga, che sottolinea: "Non è così. Il lotto 'A' ha tutti i requisiti per il commerciale, la dimensione, l'affaccio sulla via e le previsioni di Piano del Comune. Nel lotto 'B', piccolo, irregolare e 'messo la' dietrò, come chiunque può ben capire, é impensabile piazzare un supermercato che funzioni. Pertanto l'esborso di 23 miliardi da parte di Coop Estense nel febbraio 2001, per assicurarsi un pezzo di terra affacciato sulla ferrovia ove l'insediamento di un supermercato non era neppure immaginabile, evidenzia chiarissimamente il suo intendimento originario. Nei fatti: l'eliminazione del commerciale da via Canaletto da parte del Comune significa l'eliminazione dell' unico supermercato possibile, quello di Esselunga. L'altro non c'é, non ci sta. Noi non accetteremo questa condotta senza farne un caso nazionale. Lealmente già abbiamo espresso, e qui confermiamo, questa nostra determinazione".

Il sindaco Giorgio Pighi già venerdì si era rivolto alla Procura della Repubblica e aveva affermato che "al Comune di Modena risulta solo che Bernardo Caprotti ha perso il ricorso contro l'Amministrazione comunale sulla vicenda del terreno acquistato da Esselunga". "Siamo curiosi di leggere - aveva detto Mario Zucchelli (Coop Estense) - se Caprotti se la prenderà anche con quei giudici penali, civili e amministrativi che nelle cause da lui intentate contro Coop Estense ed il Comune sino ad ora gli hanno sempre dato torto".

Bondi: documento impressionante "E' impressionante il documento pubblicato dalla società Esselunga sui maggiori quotidiani italiani": lo afferma il coordinatore del Pdl Sandro Bondi in una nota nella quale sottolinea che "si tratta di una vicenda che per l'appunto chiama in causa la concorrenza e la libertà, aprendo uno squarcio sul sistema di potere delle Regioni del centro Italia". Secondo Bondi "se è vero che la questione morale affonda le proprie radici nell'occupazione delle istituzioni da parte dei partiti, allora la vera questione morale emerge proprio dove l'alternanza fisiologica al potere locale è assente da decenni e dove l'intreccio tra potere politico e mondo economico è così compenetrato da risultare quasi un blocco unico. Non oso pensare - conclude - che cosa risulterebbe se la magistratura si rivolgesse a scandagliare anche questo sistema di potere".

18 luglio 2010

il Giornale.it


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