18 dicembre 2014

MAFIA CAPITALE E LA MUTAZIONE GENETICA DELLE COOP



Nelle vicende di Mafia Capitale che gettano una luce pessima sul mondo cooperativo, Mario Frau, ex dirigente Coop, vede una continuità in quella che nel suo libro La Coop non sei tu, definì la mutazione genetica delle
Cooperative





Il post che segue è un insieme di riflessioni sul mondo Coop di Mario Frau dopo lo scandalo Mafia Capitale. Frau è stato Direttore alla programmazione e sviluppo di Novacoop e membro della Direzione dell'Associazione Nazionale Cooperative di Consumo. Lo abbiamo conosciuto nel 2010, dopo aver letto il suo libro La Coop non sei tu dal significativo sottotitolo: La mutazione genetica delle Coop, dal solidarismo alle scalate bancarie. Su quel libro il blog intervistò l'autore
 
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Nel mio saggio La Coop non sei tu ho più volte usato il termine mutazione genetica riferendomi ai cambiamenti che hanno coinvolto le grandi coop. Che ci sia stata tale trasformazione - meglio sarebbe usare il termine degenerazione - che ha investito diffusamente alcune grandi Coop che operano in una pluralità di settori dell’economia, lo confermano i fatti di questi giorni emersi a Roma. Tale mia convinzione è supportata anche dalla progressiva finanziarizzazione di tutto il sistema cooperativo e l’affermazione al proprio interno di una casta autoreferenziale di intoccabili, l’assenza di adeguati controlli democratici da parte dei soci, che sono stati emarginati ed esclusi da qualsiasi processo decisionale. Il modello solidaristico è stato abbandonato, per sposare tout court la logica del profitto, omologandosi alle imprese capitalistiche. Si è così affermato una sorta di organismo geneticamente modificato che, godendo di molti privilegi, crea una distorsione del mercato e anziché distinguersi dalle imprese di capitali, ha finito per scimmiottarle, omologandosi ad esse. Dopo la nascita del PD, che ha indubbiamente affievolito il collateralismo, alcune coop hanno cominciato a intessere rapporti anche con gli altri partiti.

Il verminaio che sta uscendo dallo scandalo di Mafia Capitale dà idea di un malcostume diffuso e tollerato. Non credo che sia un fenomeno isolato, come dimostra anche la recente vicenda dell’Expo, ma è presumibile che abbia investito anche altre grandi cooperative. Ho letto un interessante articolo a firma di Andrea Cangini, che merita essere riportato in parte: Ad esempio Salvatore Buzzi, protagonista dello scandalo Mafia Capitale si sapeva che aveva precedenti per truffa e omicidio, fondatore di una cooperativa di ex detenuti e da lì divenuto membro, a Bologna, del consiglio di sorveglianza del Consorzio nazionale servizi (Cns). «Ti presento il capo delle cooperative rosse di Roma», disse Alemanno a Berlusconi mentre Buzzi gli tendeva la mano. «In Cns sono riverito», ha detto Buzzi in un’intercettazione. E l’incarico di sorvegliante che gli è stato affidato dimostra che non ha detto il falso. Ora, pur evitando facili moralismi, è chiaro che la parola «valori» esibita da Legacoop sul proprio sito s’è persa. Si è persa perché si è persa l’identità di un’associazione di lavoratori nata per nobili ideali, ma cresciuta male. La base, ancora popolata di persone che ci credono, è sconcertata. E non se ne esce costituendosi parte civile nel processo capitolino. Se ne esce affrontando la realtà. La realtà di un’associazione di imprese perfettamente calata nella logica capitalista. Urge metter mano, se non alla Costituzione, almeno allo statuto.

Qualche giorno fa che Poletti ha rilasciato una intervista a Repubblica, sostenendo che era assolutamente normale partecipare a quella cena (quella con Buzzi e esponenti del clan dei Casamonica), dichiarando testualmente: come presidente di Legacoop ho partecipato sempre alle iniziative ed alle assemblee delle cooperative aderenti. Era dunque assolutamente normale che partecipassi alla cena organizzata dalla cooperativa sociale 29 giugno, che aveva per obiettivo il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti e delle persone più deboli. Fa presente Poletti che quando si vive in questo mondo e si vede come lavorano le cooperative sociali, non si pensa che possano esistere comportamenti come quelli che oggi vengono alla luce. Mi permetto solo di fare qualche osservazione. Tutto bene, Poletti, ma chi aveva il compito di controllare la correttezza di Buzzi e della cooperativa associata 29 giugno? In primis lo aveva il servizio revisioni di Legacoop, in secundis l'associazione di appartenenza, deputata a controllare e a vigilare, come prevede la legge.

Anche in questa circostanza torna alla mente quello che ebbe a dire un grande sindacalista e uomo di cultura come Bruno Trentin, che dopo la fallita scalata alla BNL da parte di Unipol: le Coop hanno perso l’anima inseguendo ad ogni costo il profitto e l’arricchimento a scapito dei propri valori originari.
 
La mutazione genetica consiste nel fatto che i vari supermercati e ipermercati coop sono diventati le filiali di una grande Banca, senza tuttavia soggiacere ai vincoli e ai controlli imposti alle Banche dalla Banca d’Italia, con la messa a rischio del prestito sociale e dei posti di lavoro come è accaduto recentemente alla coop in Friuli. Tali attività finanziarie, svolte in modo talvolta spregiudicato, spostano ingenti risorse dagli investimenti produttivi sui mercati che non si conciliano con le finalità sociali, etiche e mutualistiche che ne dovrebbero guidare l’attività.

Dopo le vicende di Mafia Capitale viene da chiedersi se ci sia ancora spazio per una realtà cooperativa sana. Credo che ci siano oggi molti spazi per lo sviluppo e il rilancio di un modello cooperativo sano, in grado di offrire alle giovani generazioni una alternativa al precariato e alla disoccupazione, riempiendo gli spazi che le grandi imprese di capitali non riescono ad occupare. Penso che una organizzazione di persone che si mettono assieme per dotarsi di servizi o di un posto di lavoro a condizioni più vantaggiose rispetto al mercato in un momento di generale impoverimento, come accade in questo periodo, sia di estrema attualità. Per fortuna non tutto il sistema cooperativo è composto da coop degenerate e corrotte, governate da caste autoreferenziali che non rispondono mai a nessuno del loro operato e meno che mai ai propri soci. Il problema della partecipazione dei soci alla vita sociale delle cooperative ha assunto negli ultimi anni, a causa della diffusa disaffezione, un aspetto molto preoccupante, per non dire patologico. Di norma alle assemblee separate di bilancio partecipa una percentuale bassissima degli aventi diritto e approvano ad occhi chiusi qualsiasi decisione, molto spesso non comprendendo neppure il significato di ciò che vanno ad approvare. Nell’ultimo decennio sono nate cooperative di ogni genere che praticano salari da fame, non pagano i contributi previdenziali ed evadono le imposte. Esse agiscono ai margini della legalità, facendo concorrenza sleale alle imprese e alle cooperative sane e solo in qualche occasione finiscono nelle maglie della giustizia. Vengono chiamate cooperative spurie, sono cooperative controllate da pochi capi bastone (i negrieri del terzo millennio) dediti alla intermediazione di manodopera, sia Italiana che straniera che svolge lavori dequalificati, con turni e ritmi di lavoro massacranti, come nel caso della logistica. Anche questo fenomeno, da combattere con ogni mezzo, è la prova di come la mutazione genetica delle coop si sia spinta molto avanti, direi quasi tollerata.

Diversa è per fortuna la situazione di molte piccole e medie cooperative, dove spesso il presidente è realmente espressione dei soci e vive del proprio lavoro partecipando onestamente al successo del sodalizio. La partecipazione e il controllo da parte dei soci si sviluppa in modo libero e senza ostacoli, in nome della trasparenza e del rispetto delle regole statutarie e democratiche condivise. Ciò detto, occorrono urgenti provvedimenti legislativi per arginare fenomeni come quelli accaduti nella Coop 29 giungo di Roma e in altre cooperative. 

Per concludere, ritengo indispensabile una riforma organica della legislazione sulla cooperazione in modo da garantire maggiormente i soci circa il rispetto dei principi solidaristici e mutualistici, della correttezza amministrativa ed etica dei propri manager.

 
Mario Frau

18 dicembre 2014
 


17 dicembre 2014

PROCESSO UNICOOP FIRENZE TRE ANNI DI UDIENZE MA ERA TUTTO INUTILE

In sei sotto accusa per non aver valutato i rischi per i dipendenti

Reati prescritti prima del rinvio a giudizio

La rabbia degli operai


«NON contesto niente. Ma chiedo di capire come sia stato possibile fare un processo per malattie professionali che all'ultimo momento, dopo parecchie udienze, d'improvviso sono state dichiarate prescritte. Prescritte addirittura in data precedente al rinvio a giudizio, anzi prima ancora dell'avvio dell'inchiesta».

Giorgio Stefanini è un dipendente di Unicoop Firenze ed è un cittadino che non riesce a comprendere come la giustizia possa essere tanto contraddittoria. Con il collega Luigi Del Prete si era costituito parte civile in un processo nel quale due dirigenti di Unicoop Firenze e quattro medici erano accusati di lesioni colpose aggravate per non aver valutato i rischi legati alla movimentazione manuale dei carichi da parte degli addetti al magazzino di Scandicci e per non aver attuato le necessarie misure di prevenzione. Stefanini e Del Prete lavoravano su muletti privi di servosterzo, con i quali dovevano sollevare pancali, talvolta pesantissimi, facendo leva sui manubri. Ad ambedue, come ad altri colleghi, sono state diagnosticate anni fa ernia del disco e lesioni alle braccia, «con aumento all'insorgenza di nuove patologie». Stefanini lavora ancora oggi sui muletti. Del Prete è in pensione. Insieme sono tornati in tribunale per esprimere il loro sconcerto sull'esito del processo. Al loro fianco c'è Gabriele Rinaldi dell'Unione sindacale di base, a cui si deve - spiegano - un miglioramento delle condizioni di lavoro.

La denuncia della Asl - ricordano - risale al 2004. Il fascicolo d'inchiesta porta la data del 2008. Il 30 giugno 2010 la procura cita a giudizio per lesioni colpose due dirigenti Unicoop e quattro medici. Il processo parte a singhiozzo. Prima finisce davanti a un giudice onorario, poi viene assegnato al giudice Breggia che fissa un fitto calendario ma poi passa ad altro incarico, infine approda davanti al giudice Francesco Maradei. Si tengono varie udienze, vengono sentiti molti testimoni. il 26 giugno 2014 il processo è alle battute finali. In udienza arriva, al posto del collega Paolo Canessa, il pm Massimo Bonfiglio, che prende la parola per sostenere che tutte le accuse sono ormai prescritte. «Il mio avvocato - ricorda Stefanini - ha obiettato che nel 2007 mi era stata diagnosticata una nuova patologia alle braccia, e infatti nel 2010 mi è stata riconosciuta un'altra malattia professionale. Non è servito a nulla. Il giudice si è ritirato e poi ha dichiarato prescritte tutte le accuse». Nella motivazione ha spiegato che la data di consumazione del reato va fissata al momento dell'insorgenza della malattia, e nel caso di Stefanini ha ritenuto «addirittura inverosimile che da un infortunio patito nel 1998 possa essere insorta nuova malattia agli arti superiori nel 2007, per cui tale patologia deve essere considerata solo come un aggravamento della prima, conseguente all'unico infortunio contestato, quello del 1998». Stefanini commenta: «Spiegatemi perché ci sono voluti tanti anni per dirci che il processo era del tutto inutile».


16 dicembre 2014

Franca Selvatici

La Repubblica


14 dicembre 2014

LE COOP RIPARTANO DAL MONDO DI TOLMEZZO

Forse Legacoop dovrebbe fare un congresso straordinario a Tolmezzo. La piccola cittadina della Carnia rappresenta simbolicamente tutto quello che nel mondo Coop non funziona, da Carminati e Mafia Capitale al crac di CoopCa, passando per quello di Coop Operaie


Tolmezzo è un paese di 10.000 abitanti in provincia di Udine, nel cuore della Carnia. Il caso ha voluto che due vicende che impattano fortemente col mondo Coop, diverse per importanza e motivi, abbiano a che fare con questo paese a pochi chilometri dal confine austriaco. Anche il mondo delle Coop è arrivato ad un confine: quello tra legalità e malaffare e tra opacità e trasparenza.

A Tolmezzo, per l'esattezza nel carcere di massima sicurezza, sono stati trasferiti Massimo Carminati e gran parte degli arrestati nell'inchiesta Mafia Capitale che ruota intorno agli affari della famigerata Coop 29 Giugno e al suo presidente, Salvatore Buzzi.

A Tolmezzo si sta affannosamente cercando di salvare CoopCa, Coop Carnica, che ha richiesto il concordato preventivo. La prossima settimana potrebbe essere decisiva con l'incontro tra il vice presidente della Regione Friuli, Sergio Bolzonello, per capire se ci sono i presupposti per un salvataggio. In ballo ci sono 650 dipendenti e 30 milioni di prestito sociale versati da 3.000 soci. La vicenda di CoopCa segue a breve il disastro dell'altra storica coop friulana della distribuzione, più grande nelle dimensioni e nel tonfo, le Coop Operaie di Trieste e Istria, anno di nascita 1903. Anche qui a ballare sono i 600 dipendenti e oltre 100 milioni di prestito di 17.000 soci. La Procura di Trieste ha chiesto al tribunale civile di dichiarare il fallimento delle Coop Operaie e l'immediata adozione di provvedimenti atti a tutelare il patrimonio con nomina di un ufficiale giudiziario. Questo dopo la scoperta di un'enorme bolla finanziaria costituita da cessioni di immobili a società controllate dalle stesse Cooperative Operaie.

Il Prestito Sociale rappresenta da sempre per le Coop più strutturate, ma anche per quelle di minori dimensioni, una risorsa importantissima. Le Coop della grande distribuzione, le cosiddette 9 sorelle (Unicoop Firenze, Coop Adriatica, Coop Consumatori Nordest, Coop Estense, Unicoop Tirreno, Coop Liguria, Coop Lombardia, Novacoop e Coop Centro Italia) raccolgono complessivamente 11 miliardi di risparmi dei soci prestatori. Una potenza di fuoco impressionante. La gestione e i controlli che attengono al prestito sociale sono oggetto di critiche da tempo. In particolare si punta il dito su un sistema dove i controlli sono scarsi e affidati alle stesse coop che non sempre brillano per trasparenza. Un mondo autoreferenziale che non viene sottoposto al vaglio di organismi esterni come invece sarebbe d'uopo. Il prestito sociale delle Coop poggia fondamentalmente su tanta fiducia e poche tutele. Abbiamo scritto più volte della disinvoltura con cui alcuni colossi Coop si lanciano in operazioni finanziarie discutibili, come l'acquisto di Fondiaria-Sai da parte di Unipol o del disastro della partecipazione di Unicoop Firenze in Monte Paschi, costata almeno 400 milioni, dilapidazione di risorse che non ha avuto nessuna conseguenza sui dirigenti responsabili.

Dall'altra parte lo scandalo Mafia Capitale mette il carico da undici su un sistema in cui anche in questo caso controlli e trasparenza paiono lontani come Plutone dalla Terra. E non è certo un fulmine a ciel sereno. Nel tempo ne abbiamo viste purtroppo di vicende torbide. Basti pensare al Mose o all'Expo. E Legacoop? Come al solito balbetta, proprio ora che ha un suo uomo in un ministero chiave. Anzi, balbetta pure lui. Le frasi sono sempre le solite. Ecco cosa dichiarava nel giugno scorso il presidente di Legacoop Veneto, Adriano Rizzi, dopo lo scandalo Mose: «Bene le dimissioni dei coinvolti, cooperazione in campo per il cambiamento». E ora dopo la vicenda della Coop 29 giugno ecco che di nuovo si fa la faccia feroce. Parla Mauro Lusetti, neo presidente di Legacoop nazionale che ha sostituito Poletti: «Fuori subito chi tradisce i nostri valori». Ora, quel subito induce quantomeno a qualche sorriso, se non ad un ghigno. Anche uno dei più apprezzati cooperatori, Adriano Turrini presidente di Coop Adriatica, fa sentire la sua voce: «Tolleranza zero e rinnovamento». Vedremo. Tutto questo invocare misure drastiche quando sotto il naso ti hanno fatto passare di tutto, lascia qualche comprensibile riserva. Ci limitiamo a constatare che finora si è ignorato per negligenza o per altro, il Problema, mentre la slavina via via assumeva dimensioni sempre più preoccupanti.

Il ministro Poletti ha poco da indignarsi per la nota foto in cui è ritratto a cena con i sodali che sappiamo. E' stato a capo di Legacoop per ben 12 anni. Dovrebbe rispondere non della singola cena, ma di come funziona il mondo Coop. Ecco cosa dovrebbe spiegare Giuliano Poletti. Legacoop vuol fare finalmente un'operazione di profonda pulizia e trasparenza? Prenda coraggio e proceda davvero e celermente, altrimenti la slavina sarà un'enorme valanga e sbandierare il mondo valoriale Coop a quel punto non servirà.


14 dicembre 2014



26 novembre 2014

"UNICOOP TIRRENO CANCELLA LE TUTELE": E' STATO DI AGITAZIONE

La decisione presa dopo l’esito negativo della trattativa tra Unicoop Tirreno e le organizzazioni sindacali. La privatizzazione dei magazzini di Vignale e Anagni prevedeva accordi di tutela per i lavoratori, garanzie che ora si vogliono cancellare. Unicoop Tirreno ha dato infatti solo una risposta, ed è la peggiore mai data: disdire tutti gli accordi sottoscritti dal 2000 ad oggi. L’etica che professa l’azienda non è che uno slogan. Efficace all’esterno, forse, ma con i lavoratori usa due pesi e due misure”.


 
Riotorto (Livorno), 25 novembre 2014 - Le organizzazioni sindacali, in testa la UilTucs, proclamano lo stato di agitazione dei lavoratori della Coop di Riotorto.
"Fallita la trattativa, e in assenza di tutele, non resta che proclamare lo stato di agitazione. E, se le garanzie non vengono ripristinate, arrivare allo sciopero. E’ la decisione presa dopo l’esito negativo della trattativa tra Unicoop Tirreno e le organizzazioni sindacali, in testa la UilTucs (Unione italiana lavoratori del turismo, commercio e servizi) di Livorno rappresentata dal segretario territoriale Sabina Bardi. La trattiva riguarda i lavoratori della sede di Vignale Riotorto, uno dei centri di distribuzione più importanti di tutta la Toscana, fallita dopo anni di difficoltà e “scelte molto discutibili”.

Parola della UilTucs, che spiega come già nel 2000 la Cooperativa iniziò la privatizzazione dei magazzini di Vignale (Livorno) e Ariccia (Roma), successivamente diventato Anagni (Frosinone). “Solo dopo anni– specifica il segretario UilTucs di Livorno Sabina Bardi – vennero raggiunti degli accordi fra le parti sociali e l'azienda, salvaguardando i lavoratori della Coop. Il primo passo dell'azienda fu quello di aprire procedura di mobilità, successivamente furono raggiunti accordi globali, dapprima nei singoli reparti e poi per ogni singolo lavoratore. In ogni tipo di stesura venivano sottoscritte dalla Cooperativa le garanzie che sarebbero state inviolabili e irrinunciabili nei confronti dei lavoratori dipendenti Coop, qualora avessero aderito alla privatizzazione. Garanzie che ora si vogliono cancellare. Coop ha dato solo una risposta, ed è la peggiore mai data: disdire tutti gli accordi sottoscritti dal 2000 ad oggi. L’etica che professa l’azienda non è che uno slogan. Efficace all’esterno, forse, ma con i lavoratori usa due pesi e due misure”.

"Altro aspetto da non sottovalutare - continua il comunicato - poi, è il fatto che spesso le garanzie non siano state applicate neanche dalle aziende appaltatrici. L’ennesimo mancato rispetto di garanzie, e di dignità, che ha spinto la UilTucs a prendere decisioni drastiche e interrompere il tavolo di negoziazione proclamando lo stato di agitazione. Ma non solo. “Se Coop non ritira la disdetta degli accordi – conclude Bardi – siamo pronti a indire uno sciopero. Anche se questo comporterebbe magazzini e negozi bloccati con una perdita di incasso di svariati milioni di euro”. Una cifra da capogiro rispetto alle poche centinaia di euro che, paradossalmente, sarebbero sufficienti a mantenere in vita gli accordi.




25 novembre 2014

La Nazione


 

08 novembre 2014

UNICOOP FIRENZE E' USCITA DA MPS, MA NESSUN DIRIGENTE HA PAGATO



Unicoop Firenze è uscita definitivamente da Mps, ma come si è arrivati a questo disastro?

Una ricostruzione storica che ne ripercorre le tappe principali, il contesto e i gravi danni






Giovedì 6 novembre scorso, il presidente del consiglio di gestione di Unicoop Firenze, Golfredo Biancalani, ha confermato che Unicoop Firenze è uscita completamente e "definitivamente" da Mps. Per noi - ha detto - Mps è un capitolo chiuso, siamo usciti nel secondo semestre 2013 ed è una scelta definitiva.

E fa bene a chiarirlo, Biancalani, dopo le tante reticenze sulla vicenda della partecipazione della coop fiorentina nella "più antica banca del mondo" e le ingenti perdite riportate e quantificabili in circa 400 milioni di euro. Fa bene perché Mps si trova di nuovo ad affrontare i marosi della finanza e in prossimità dell'ennesimo aumento di capitale che avrebbe costretto anche Unicoop, se fosse rimasta nell'azionariato, a mettere nuovamente mano al portafoglio. Inutile ricordare che siamo stati da sempre critici su questa operazione finanziaria e alla luce dei fatti, a ragione. Ai colleghi e ai soci prestatori sarà utile per una riflessione sapere che nessuno dei dirigenti apicali e non, responsabili di questo immane disastro, ha pagato in termini di carriera per quello che è stato il più grande depauperamento di risorse della storia di Unicoop Firenze. Anzi, Campaini, il presidente storico che ha seduto a lungo del Cda di Monte Paschi insieme a Mussari e Vigni è stato nominato, nel giugno scorso,  presidente onorario di Unicoop Firenze, carica creata ad hoc per lui, non si sa con che remunerazione. A questo punto la Coop Fiorentina ha presidenti ad abundantiam, ben tre. Il già citato Biancalani quale presidente del consiglio di gestione, Daniela Mori presidente del consiglio di sorveglianza al posto di Campaini che diventa presidente onorario.

Sarà però utile un riassunto cronologico di come siamo arrivati a mettere la parola fine alla partecipazione di Unicoop in Mps tanto discutibile più che discussa, visto che la Coop fiorentina ne ha sempre parlato solo quando costretta dalle pressioni giornalistiche, evitando con cura l'argomento.

Com'è cominciata

Unicoop Firenze comincia ad investire nella banca senese tra il 2002 e il 2003. Negli anni successivi la partecipazione salirà fino ad assestarsi attorno ad una quota di poco inferiore al 3%. L'intenzione era quella di sostenere la Fondazione MPS creando uno zoccolo duro nell'azionariato nel tentativo di vincolare la banca al territorio e offrire servizi finanziari ai soci. Dice Campaini: L'ingresso risale al 2002-2003, periodo in cui era forte il timore che gli istituti bancari diventassero preda dei concorrenti stranieri. In più si stava discutendo di introdurre una norma che imponesse alle fondazioni bancarie di scendere sotto il tetto del 30% nella proprietà degli istituti: in sostanza si voleva ridimensionare il ruolo delle Fondazioni e permettere l'ingresso di nuovi soggetti nel mondo bancario. Decidemmo di fare l'operazione sulla base di due considerazioni. Primo, ci interessava garantire la permanenza del momento decisionale della banca sul territorio toscano.[...] In Toscana non sarebbe rimasta una banca vera e propria se anche il Monte fosse stato inglobato nel gioco delle compravendite bancarie. Diventando soci del Monte, puntavamo a potenziare la componente toscana della banca [...] La seconda considerazione che ci ha mosso è stata il desiderio di creare con il Monte nuovi servizi finanziari per i nostri soci a condizioni vantaggiose. Va reso noto un altro pensiero di Campaini per cui la borsa è sinonimo di speculazione e incompatibile con la cooperativa, egli sostiene infatti: Per quanto mi riguarda, sono del parere che la Borsa sia assolutamente incompatibile con la società cooperativa, sono due cose agli antipodi. La Borsa è fatta esclusivamente di capitali, le cooperative sono società di persone. Poi, come ho già detto in precedenza, Borsa è sinonimo di speculazione, acquisto azioni perché voglio guadagnarci sopra. Come potete notare siamo in un gorgo di contraddizioni, ma volendo tracciare un esile ponte tra affermazioni così antitetiche si può cercare affannosamente di interpretare che obtorto collo Campaini e Unicoop Firenze abbiano superato antiche remore puntando ad un investimento in borsa che non si stancheranno mai di definire strategico. E' una paroletta che non significa un gran che, borsa e Coop sono concettualmente agli antipodi, ma in buona sostanza si vuol sostenere che l'investimento in Mps non è di tipo strettamente finanziario, quindi speculativo, ma stabile e tende a rafforzare la toscanità della banca. Con questa lunga, ma doverosa premessa passiamo alle date successive.

Le tappe successive dell'investimento strategico e un pizzico di trading

Fino al 23/12/2005 risultava in Consob una
comunicazione (si veda sotto la colonna "situazione precedente") per cui la quota di Unicoop Firenze era del 2,427%.

Tra l'aprile del 2009 e il maggio del 2011 il numero delle azioni possedute è di 185.176.232, come si può verificare a pag. 29 di questo documento e a pag. 3 di quest'altro, pari al 2,76%.

Al 29 marzo 2012 la quota risulta essere del 2,727% come si può leggere dal prospetto Consob sotto la colonna "situazione precedente". 

Al 27 aprile 2012 le azioni, dopo l'adesione all'aumento di capitale della banca, salgono a 318.503.114 come si può leggere a pag. 44 del documento di registrazione depositato presso la Consob. La quota è del 2,73%

Al 29 aprile 2013 però le azioni salgono inaspettatamente a 430.403.114 pari al 3,68%.
Si veda pag. 53 del documento di registrazione depositato presso la Consob. Quindi Unicoop Firenze ha acquistato un ulteriore pacchetto di 111.900.000 azioni, come si può leggere in questo articolo.

Al 18 luglio 2013 però, Unicoop risulta aver già rivenduto le 111.900.000 azioni, tornando al precedente quantitativo di 318.503.114, come si può leggere a pag. 51 del documento di registrazione depositato presso la Consob. La quota è di nuovo al 2,73%. In pratica Unicoop Firenze ha effettuato attività di trading comprando e rivendendo quel pacchetto di azioni. Alla faccia della borsa che è speculazione, oppure proprio per questo. Al 26 novembre 2013 Unicoop Firenze risulta scesa al 1,776%, come da prospetto Consob.

Siamo all'epilogo. Le quote sotto il 2%, non rilevanti, scompaiono dai prospetti della Consob. Biancalani dichiara che l'uscita completa è stata effettuata nel corso del secondo semestre del 2013. Bisogna ritenere che il 1,776% sia stato venduto entro il 31/12/2013, visto che a fine novembre risultava ancora.

Le perdite riportate a bilancio

Finora Unicoop Firenze ha svalutato le azioni Mps una prima volta nel bilancio del 2008 per 189 milioni e in seguito nel bilancio 2012 per 197,9 milioni per un totale di 387 milioni. Va inoltre aggiunto il pasticcio del cosiddetto prestito Fresh, per il quale rimandiamo a
questo articolo
.

Il prestito sociale di Unicoop Firenze

Ha risentito molto del clima di sfiducia generato dal coinvolgimento della Coop fiorentina nell'azionariato di Mps. Basti pensare che esso ammontava a ben 2,814 miliardi di euro alla fine del 2010 ed è sceso a 2,229 miliardi alla fine del 2013. E' ovvio che sul decremento del prestito abbia influito anche la crisi, ma basta un raffronto con il prestito sociale delle altre grandi Coop per rendersi conto che la fuga dai libretti in Unicoop Firenze è stata di misura ampiamente più marcata, e spiegabile in queste proporzioni solo con l'effetto negativo della partecipazione in Mps.

A futura memoria

In conclusione di quella che rimane forse la pagina più nera di Unicoop Firenze, la cooperativa ha tradito un mandato etico investendo i soldi dei soci in attività finanziarie rischiose che nulla hanno a che vedere coi valori mutualistici; ha depauperato enormi risorse che potevano essere investite altrimenti; ha fallito nel progetto dell'investimento strategico che mirava a vincolare, a fianco della Fondazione Mps, la banca al territorio. Ha inoltre danneggiato la propria immagine e procurato giustificati motivi di preoccupazione nei soci prestatori e nei dipendenti. A fronte di tutto questo disastro nessuno ha pagato.


26 ottobre 2014

PRESTITI SOCIALI COOP, TANTA FIDUCIA E POCA VIGILANZA


Le regole sono lasciate all'autodeterminazione del sistema cooperativo ma il crack di Tieste mostra che non bastano


 

Alla luce della recente richiesta di fallimento delle Cooperative Operaie di Trieste, Istria e Friuli avanzata dalla Procura, il giornalista Gianfranco Ursino per l'inserto Plus24 de Il Sole 24 Ore, torna ad occuparsi del mondo del risparmio Coop che nonostante coinvolga 1,2 milioni di soci e raccolga 10,86 miliardi di risparmio, soffre di evidenti mancanze di controlli e garanzie, di opacità e di scarsa trasparenza informativa. Ursino ha già scritto vari articoli sull'argomento, sempre pubblicati dalla medesima testata. Quelli ripresi dal blog sono leggibili qui.  Di seguito è possibile leggere gli articoli e l'intervista al presidente di Legacoop, comparsi sull'edizione del 25 ottobre 2014. Questo corsivo è del blog.

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Gli stress test condotti ormai con cadenza periodica sulle banche dalle autorità di vigilanza andrebbero estesi al sistema delle cooperative. Anche perché ormai sono delle vere e proprie banche: l'aggregato delle nove grandi cooperative di consumatori rientra tranquillamente tra le prime 30 posizioni se inserite nella graduatoria dei depositi da clientela. Molte coop sono anche attive nella vendita di servizi finanziari alla clientela, mutui immobiliari, polizze assicurative e carte di credito.

Ma in un contesto di persistente crisi economica, negli ultimi anni la redditività delle cooperative di consumo è stata messa a dura prova, ponendo sempre con maggiore insistenza alcuni interrogativi sui rischi che corrono i soci nel versare i propri risparmi nei libretti di prestito sociale. Un fenomeno che nonostante coinvolga 1,2 milioni di soci e raccolga 10,86 miliardi di risparmio (solo considerando cooperative di risparmio che operano col marchio Coop) non è presidiato da Bankitalia, né assistito dai fondi di garanzia che proteggono la clientela bancaria fino a 100mila euro per depositante.

Le regole che lo disciplinano sono lasciate all'autodeterminazione delle singole Coop e le verifiche affidate al controllo interno. Anche i criteri suggeriti dal livello associativo (Ancc-Legacoop) per il momento sono insufficienti per vincolare policy d'investimento che restano sconosciute ai soci, costretti a rilasciare una delega che lasci ampi margini di manovra a chi gestisce i loro risparmi dirottandoli in gran parte in investimenti in gruppi finanziari.

Prestito sociali, quindi, che dovrebbero essere destinati al conseguimento dell'oggetto sociale e che, invece, producono "finanza per la finanza" più che per l'impresa cooperativa. La richiesta di fallimento delle Cooperative Operaie evidenzia che non ci sono prestiti sociali sicuri, perché non esistono Coop troppo grandi da non poter fallire. sulla scia della crisi dei consumi, ma anche della cosiddetta "finanza strategica". Quest'ultima negli anni ha in più occasioni imposto alle Coop di svalutare le partecipazioni detenute nelle varie Unipol, Carige, Mps. In particolare l'attuale disciplina dei prestiti sociali dispone che, le Coop con più di 50 soci, devono contenere l'ammontare dei prestiti entro il triplo (il quintuplo in presenza di costose garanzia suppletive) del patrimonio formato dal capitale sociale, riserva legale e riserve disponibili, anche se indivisibili, risultanti dall'ultimo bilancio approvato.

La delibera Cicr del 19 luglio 2005 e le istruzioni di Banca d'Italia disciplinano il requisito patrimoniale, ma non specificano se considerare il patrimonio netto civilistico o consolidato. Finora le associazioni di categoria hanno dato indicazioni alle associate di considerare il valore indicato nel bilancio civilistico, ma la vicenda delle Coop Operaie, con operazioni infragruppo realizzate per aumentare il patrimonio netto civilistico a discapito di quello consolidato dovrebbe suggerire qualche accorgimento.

Per il momento è rimasta lettera morta la stessa disposizione che attribuisce alle associazioni del movimento cooperativo un ruolo promozionale per avviare uno schema di tutela sul modello  dei fondi di tutela interbancari. Ma come spiega il presidente di Legacoop nell'intervista di seguito qualcosa si sta muovendo. Ed anche il Governo nel decreto competitività ha fatto una prima mossa. Il crack annunciato delle Coop operaie di Trieste  forse aiuterà a introdurre le attese maggiori tutele per i soci prestatori.

In arrivo obblighi e trasparenza

Oggi nemmeno tutte le grandi cooperative pubblicano i bilanci sul web
 
La centralità del socio è un dichiarato punto fermo delle cooperative. Eppure non tutte le Coop pubblicano sul loro sito web, per trasparenza e correttezza informativa nei riguardi dei soci, i bilanci civilistici consolidati, il regolamento del prestito, i relativi fogli informativi e le linee guida cui deve attenersi nell'investire i risparmi dei soci. Anche perché ad oggi l'unica tutela per i prestatori risiede nella solidità patrimoniale delle Coop e quindi devono essere messi nelle condizioni di verificare lo stato di salute delle loro imprese a cui prestano i soldi.

Dall'ormai consueta ricognizione condotta da Plus24 tra le nove grandi Coop, rispetto allo scorso anno hanno pubblicato i bilanci sui loro siti Coop Liguria e Unicoop Firenze, mentre ha fatto retromarcia Coop Nordest (o perlomeno al momento sul sito non è stato pubblicato il bilancio 2013). Novità su questo fronte potrebbero però arrivare a giorni. L'art. 17bis del decreto competitività approvato lo scorso agosto, prevede che il Ministro dello sviluppo economico (Mise) deve definire con un decreto attuativo le misure che le cooperative al consumo con più di 100mila soci dovranno adottare per migliorare i livelli di coinvolgimento dei soci nei processi decisionali.

E tra le misure suggerite è previsto anche l'aumento di trasparenza dei dati finanziari e di bilancio della cooperativa, inclusa la nota integrativa, anche attraverso la loro pubblicazione integrale sul sito della società. i 30 giorni di tempo che aveva il Mise sono già trascorsi, ma contattati da Plus24 dal Ministero fanno sapere che il decreto è stato adottato ma è in corso di pubblicazione. Dove non è arrivata l'autoregolamentazione, forse arriverà la nuova norma.

Quei rendimenti azzoppati dal fisco

Le offerte attuali
I tassi pagati dai libretti sono compresi tra lo 0,65% e il 3,1% annuo lordo
 
Per disporre della liquidità necessaria per realizzare il proprio oggetto sociale, le Coop nel corso degli anni si sono impegnate a garantire ai soci prestatori una remunerazione sostenibile e in linea con il mercato dei titoli di stato a breve termine. Ma negli ultimi anni hanno dovuto fronteggiare sempre di più le offerte lanciate dalle banche con i conti deposito vincolati ad alta remunerazione.

Attualmente i rendimenti offerti dai libretti di risparmio Coop uscirebbero spesso perdenti dall'analisi rischio-rendimento con altri prodotti finanziari. Per giocare ad armi pari con le banche, alcune cooperative hanno deciso di affiancare alla storica offerta dei libretti di risparmio liberi (con somme che il socio può disporre in qualsiasi momento) anche i prestiti sociali vincolati. I tassi attuali riconosciuti ai soci prestatori si collocano, a seconda della Coop e dell'importo, fra lo 0,65% e il 3,1% al lordo della ritenuta fiscale.

Di recente i prestiti sociali hanno anche perso il loro appeal fiscale della ritenuta al 12,5% che invece non è cambiata per strumenti finanziari concorrenti come i titoli di stato e i Buoni fruttiferi postali. In più, l'aumento dell'aliquota al 26% sugli interessi corrisposti ai soci prestatori, varato con la legge 89 del 23 giugno 2014, si applica sugli interessi divenuti esigibili dal primo luglio 2014, ma anche con effetto retroattivo su quelli maturati in precedenza.
 
A dicembre una proposta per rafforzare le tutele

Intervista a Mauro Lusetti presidente Legacoop
 
«La vicenda delle Coop operaie è certamente seria e traumatica in sé e non è nostra intenzione sottovalutarla». Esordisce così Mauro Lusetti, presidente di Legacoop, che prosegue: «Dobbiamo però sottolineare che i singoli casi come questo, per quanto gravi, sono una netta minoranza rispetto a un sistema cooperativo che nelle sue articolazioni ha affrontato questi anni di crisi, tenendo sul piano dell'occupazione e delle capacità di generare valore. A partire dal sistema delle coop di consumo, che a fronte di una drammatica caduta dei consumi, ancora nel 2013, ha registrato nella sua generalità risultati di bilanci positivi»

Ma anche in passato singole Coop per ragioni di mercato o per scelte imprenditoriali si sono trovate in difficoltà?

Il sistema cooperativo ha saputo esprimere sostegno, solidarietà ai soci  e quando possibile, supporto ai piani di rilancio.

E nel caso di Coop Operaie?

Data la caratteristica del provvedimento del Tribunale di Trieste, è nell'ambito delle nuove condizioni che i soggetti cooperativi interessati (in primis Coop Nordest, ndr) valuteranno se e cosa fare al fine di recuperare un quadro sociale ed economico sostenibile.

Riconosce che devono essere fatti passi in avanti sul fronte delle tutele? A che punto è l'attivazione di uno "schema di garanzia dei prestiti sociali" che Bankitalia già affida alle associazioni di categoria?

Da tempo Legacoop ha deciso di introdurre rigorose norme di autodisciplina obbligatorie per le proprie associate. In particolare le regole sulle quali abbiamo lavorato riguardano i principi di trasparenza, informazione ai soci, responsabilità degli amministratori e, qualora necessario, di intervento nei confronti delle coop inadempienti. Fino a prevedere sanzioni molto severe, proprio a tutela dei soci prestatori.
 
Tempi previsti?

Già nell'imminente congresso di Legacoop del prossimo dicembre porteremo una proposta organica sulla materia.

E sul rapporto prestito soci/patrimonio netto?

Questo sarà uno dei punti che verrà attentamente verificato nel nuovo impianto regolamentare.




25 ottobre 2014

Gianfranco Ursino

Plus24 - Il Sole 24 Ore



A RISCHIO 103 MILIONI DI 17MILA SOCI DELLE COOP OPERAIE



La Procura di Trieste ha chiesto il fallimento e punta il dito sulle operazioni immobiliari infragruppo  




 «Passaggi di immobili infragruppo, per gonfiare il patrimonio netto e rientrare - solo fittiziamente - nei parametri per il prestito sociale, la cui entità non deve superare il quintuplo del patrimonio netto stesso». Con questo incipit la Procura della Repubblica di Trieste ha chiesto al Tribunale civile il fallimento delle Cooperative Operaie di Trieste, Istria e Friuli.
 
Nel contempo è stato nominato un amministratore giudiziario che, «per salvare la società e conservarne il patrimonio», come prima misura ha disposto la sospensione dei rimborsi del prestito sociale, ovvero dei soldi che i soci hanno prestato alla Cooperativa e che, almeno per il momento (si spera), non possono ritirare. Oltre 100 milioni di euro, di proprietà di 17mila piccoli risparmiatori, «serviti in questi anni - continua la Procura - come una stampella per reggere tutta la struttura. Soldi che di fatto non esistono più». Un artifizio contabile, per il quale al momento risulta unico indagato per falso in bilancio l'ex presidente Livio Marchetti e, secondo le indagini condotte dai Pm Federico Frezza e Matteo Trapani, è stato messo in atto «per tamponare una gestione in perdita costante e irreversibile da ben più di un quinquennio».

Ma la gravità della situazione, legata alle pesantissime perdite di esercizio, e le irregolarità erano evidenti da tempo. «Le perdite per complessivi 12,1 milioni di euro, prodotte dalla gestione commerciale delle Cooperative Operaie di Trieste, sono state coperte nei bilanci grazie alla contabilizzazione di plusvalenze di 15 milioni su vendite di immobili ceduti internamente a società controllate al 100%». E' quanto sosteneva Plus24 il 26 gennaio 2013, nell'ambito delle ampie inchieste che questo giornale da anni dedica alla carenza di tutele per i soci prestatori delle cooperative di consumo. In quell'occasione veniva anche sottolineato a Pier Paolo Della Valle, ex direttore generale Coop Operaie (silurato pochi giorni fa da Marchetti) che, alla luce delle operazioni infragruppo, il rapporto con i prestiti sociali se si fosse preso come riferimento il patrimonio netto consolidato sarebbe stato pari a 8,2 volte, più del quintuplo del massimo consentito. A questa osservazione Della Valle rispondeva questo punto è stato «già affrontato con la vigilanza cooperativa e ormai è acclarato che il patrimonio da considerare è quello civilistico e non consolidato. Tuttavia, vorrei sottolineare che le operazioni immobiliari non sono altro che l'emersione di una riserva occulta. Potevamo fare anche una rivalutazione dei valori immobiliari iscritti a bilancio e non sarebbe cambiato nulla». Dichiarazioni che, rilette oggi, lasciano ulteriormente con l'amaro in bocca i malcapitati 17mila cittadini che si fidavano molto di più delle Coop sotto casa che delle banche.

Adesso è emersa la totale mancanza di una reale azione di vigilanza che, in questo caso, poiché il Friuli Venezia Giulia è Regione a statuto speciale, viene esplicata non solo attraverso le associazioni di rappresentanza del movimento cooperativo, ma anche da parte della Regione, in virtù della legge regionale 27/2007. «Tutte le revisioni effettuate dal 2007 al 2013 dai revisori su incarico di Confcooperative o della Lega delle Cooperative - afferma Sergio Bolzonello, assessore alle Attività produttive e vicepresidente della Giunta regionale - si sono concluse con la mancata emersione di irregolarità o di rilievi sulla situazione contabile e gestionale della società, tali da indurre ad adottare eventuali provvedimenti sanzionatori da parte dell'Amministrazione regionale».

Ma anche alla Regione spettano specifici compiti e funzioni di vigilanza sull'operato delle cooperative. «Nella revisione straordinaria effettuata nel 2012 - continua Bolzonello -, laddove il revisore ha verificato la regolarità della globale situazione patrimoniale della società, seppur in presenza di una sofferenza dell'attività caratteristica, si è rilevata comunque la sussistenza di un patrimonio netto positivo e il rientro del prestito sociale nei limiti e nel rispetto delle condizioni previste dalla normativa di riferimento. Né il collegio sindacale, né la società di revisione incaricata hanno evidenziato alcuna irregolarità nella gestione patrimoniale della cooperativa». Solo la recente azione della Procura è stata determinante per dare una svolta al caso.
 
 
 
25 ottobre 2014
 
 
Plus24 - Il Sole 24 Ore
 
 
 

21 ottobre 2014

LA DURA VIA PER LA DEMOCRAZIA SINDACALE IN UNICOOP FIRENZE


I rappresentanti alla sicurezza sono un elemento essenziale di democrazia sindacale, ma la vicenda verificatasi in Unicoop Firenze dimostra quanto sia stato difficile veder riconosciuto il diritto a questa basilare delega





Avevamo già scritto di quanto fosse difficile vedere riconosciuti diritti elementari di democrazia sindacale in Unicoop Firenze. Questi si esplicitano principalmente nella possibilità di eleggere i propri rappresentanti, che siano delegati o alla sicurezza. Se non fosse che nel luglio del 2011, all'interno dei magazzini Unicoop di Scandicci, si è verificato il primo infortunio mortale in una piattaforma logistica italiana, la vicenda che andiamo a raccontare avrebbe talmente del surreale da apparire comica. Invece non lo è.

Stiamo parlando della nomina e/o elezione dei Rappresentanti alla Sicurezza per il Lavoratori (RLS) in Unicoop Firenze, un gruppo che conta quasi 8.000 dipendenti dislocati in ben oltre 100 unità produttive. Una nomina che sarebbe dovuta avvenire nel periodo immediatamente successivo alle elezioni RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie) avvenute nel maggio del 2013 e che invece ha avuto luogo solo nei giorni scorsi. Infatti solo adesso si stanno effettuando i corsi obbligatori per la formazione degli RLS presso gli uffici di Scandicci.

Andiamo per ordine:
Nel settembre 2012 viene sottoscritto il Verbale di Accordo del nuovo Contratto Integrativo Aziendale. Tutti sanno che, come da tradizione, contemporaneamente si arriva ad una intesa tra Organizzazioni Sindacali Confederali ed Unicoop Firenze sulla rappresentanza sindacale all'interno del gruppo. Vengono indicati i criteri elettivi, il numero dei delegati, la composizione degli organismi interni e soprattutto le ore di "agibilità sindacale", ovvero le ore di permesso retribuite che l'azienda mette a disposizione. Questo vale non solo per le RSU ma anche per gli RLS, per i quali deve essere indicato il numero e la dislocazione all'interno delle varie Unità Produttive, oltre a stabilirne i criteri di eleggibilità.

Questo è l'accordo che regola l'elezioni RSU che, con indecente ritardo, si sono svolte nel maggio 2013. Ma questo è anche l'accordo che nessuno pare conoscere o avere. Il sindacato di base USB ne fa formale richiesta ad azienda e sindacati anche prima di partecipare al suddetto rinnovo elettorale, ma il fantomatico accordo viene negato. Successivamente i delegati eletti della USB ne chiedono conto in via informale anche al Segretario Regionale Uiltucs, ad un membro dell'Esecutivo aziendale Filcams ed anche all'ex delegato rsu/rls dei magazzini per la Uiltucs. Tutti negano di aver mai sottoscritto tale accordo (anche se in seguito le loro firme risulteranno esserci).

Nel marzo del 2014 sempre la USB promuove una vertenza per "comportamento antisindacale" (ex-art.28) nei confronti di Unicoop Firenze. Lo fa per molteplici motivi. L'azienda le sta negando la stanza spettante alle RSU dei magazzini e si rifiuta di consegnarle l'Accordo sulle Rsu/Rls sottoscritto con le OO. SS. confederali. Unicoop viene condannata e dunque si vede costretta a rendere noto il famigerato accordo (e a concedere la stanza, ovviamente).

Si scopre che è datato 5 settembre 2012, perciò di poco antecedente alla sottoscrizione dell'Integrativo. Tutto come da antica e consolidata tradizione. Gli RLS previsti per l'intero gruppo Unicoop sono scandalosamente pochi. Non si capisce neanche se siano 43 o 48 perchè c'è addirittura un evidente errore di calcolo nell'attribuzione degli stessi. Poco cambia in effetti, visto l' esiguità del numero. Per il magazzino di Scandicci, quasi 300 dipendenti divisi in vari reparti e in tre turni di lavoro, è previsto un solo delegato alla sicurezza! Dopo la morte del nostro collega la Direzione Aziendale e i vertici delle Organizzazioni Sindacali di categoria si erano impegnati ad un cambio di passo  in materia di sicurezza sul lavoro e mai avremmo potuto immaginare che queste parole si sarebbero potute tradurre in un atteggiamento talmente irresponsabile e beffardo.

Fortunatamente i delegati RSU dei magazzini non erano stati con le mani in mano nell'attesa di ottenere l'accordo e stante l'immobilismo delle OO.SS. confederali avevano indetto nel gennaio del 2014 delle elezioni che indicassero un terzo membro RLS che andasse ad aggiungersi ai due RSU, così come previsto dal Dlgs 81 del 2008. Esso indica infatti un minimo di tre RLS come spettanti alle Unità Produttive con più di 200 addetti. Ma la Direzione di Unicoop Firenze ha insistito nel non riconoscere la legittimità di tale elezione citando per l'appunto un diverso accordo intercorso fra Unicoop e le OO.SS. Filcams-Cgil, Uiltucs-Uil e Fisascat-Cisl. L'accordo è quello del 5 settembre e non viene mostrato, forse per vergogna. Ce ne sono tutti i motivi.

I delegati USB non mollano. Insistono per essere riconosciuti e come detto vengono finalmente in possesso dell'accordo. A questo punto qualcosa improvvisamente cambia. Unicoop pare ravvedersi anche dopo che USB minaccia una campagna stampa che denunci l'accaduto. Convoca al tavolo i sindacati firmatari dell'accordo del 5 settembre in modo da poterlo migliorare. L'iniziativa aziendale però incontra un comportamento inspiegabilmente ostruzionistico da parte sindacale che  si traduce in un nulla di fatto. Pazzesco. Nel luglio di quest'anno Unicoop si vede costretta ad un'azione unilaterale che implementa di ben 16 unità gli RLS previsti e, manco a dirlo, riconosce tutti e tre i RLS del magazzino di Scandicci.

Sappiamo che la vicenda potrà risultare talmente ingarbugliata e grottesca da apparire inverosimile. Ma questi sono i fatti per come li abbiamo visti e per come li conosciamo e se qualcuno avrà avuto l'interesse e la pazienza necessari alla lettura di questo resoconto, non potrà che essersi convinto, così come noi, dell'atteggiamento deficitario da parte di Unicoop Firenze, ma soprattutto del comportamento dei Sindacati Confederali estremamente superficiale ed omissivo.

Di seguito potrete trovare il link all'intero Accordo RSU/RLS del 5 settembre 2012. Vi troverete anche il monte ore di "agibilità sindacale" concessa da Unicoop Firenze: 36.140 ore annue di permessi in gran parte riservate ai membri degli organismi sindacali.

Accordo RSU/RLS del 5 settembre 2012


20 settembre 2014

UNICOOP FIRENZE PUNTO VENDITA PRATO PLEIADI, E' POLEMICA SULL'APERTURA DEL 1° NOVEMBRE

Per i lavoratori Unicoop Firenze del punto vendita di via delle Pleiadi a Prato l'apertura per la festività del 1° novembre appare pesante. Nello stesso mese infatti il supermercato sarà aperto anche domenica 9 e 23 come da programma oltre che domenica 30 novembre, prima domenica del periodo natalizio
 
Questa è la posizione almeno della Cgil, mentre Cisl (minoritaria) la pensa diversamente

Tra malintesi più o meno involontari con Unicoop, si è svolta anche un'assemblea di cui viene dato resoconto parziale dalla componente Rsu della Cgil
 
C’è dissenso tra i lavoratori della Coop del Parco Prato per l’apertura straordinaria del primo novembre: per la prima volta in un giorno di festività il supermercato di via delle Pleiadi terrà il bandone alzato per i suoi clienti. Inoltre, secondo il calendario, verranno mantenute invariate le aperture del 9 e del 23 novembre – seconda e quarta domenica del mese – aggiungendo poi domenica 30 novembre, la prima del periodo di aperture natalizie.

Proprio da questo nasce la polemica della Cgil, che non ci sta, a fronte delle normali due festività di lavoro, a far lavorare i suoi iscritti tra gli scaffali e dietro alle casse per quattro giorni di festa in un mese. In particolare, i lavoratori si lamentano proprio per l’apertura del primo novembre: “Prima di tutto abbiamo saputo molto tardi di questa decisione – ci dice una dipendente della Coop di via delle Pleiadi – e da mamma e da lavoratrice non posso non dire che questa situazione sia pesante. Non posso negare di essere contenta di avere un lavoro sicuro, cosa che purtroppo adesso è rara, ma non ci possiamo dimenticare di avere una vita al di fuori”; “Non mi lamento per qualche domenica in più di lavoro – aggiunge un suo collega – ma le festività come il primo novembre sono importanti, per stare con la famiglia e gli amici. Le feste sono sacre e dispiace passarle a lavoro”.

Ferma la posizione della Cgil: “Le festività identificano un popolo – sono le parole di Fulvio Menaboi, Rsu Cgil –  ma vediamo che con mille scuse gradualmente ci vengono tolte. I lavoratori non disdegnano il lavoro, ma non si può rovinarsi per portarlo a termine: da novembre a inizio gennaio 2015 in pratica la Coop sarà aperta tutte le domeniche, ad eccezione del 2 e del 16 novembre. Mi sembra un tantino troppo rispetto alle solite due domeniche mensili”.

Di fronte alla presa di posizione del sindacato – che comunque resta spaccato, con Andrea Betti della Cisl che sottolinea come la posizione dei lavoratori Coop non sia omogenea e pensa sia più giusto far decidere a loro stessi, perché in molti hanno bisogno di lavorare – ci pensa proprio la dirigenza di UniCoop Firenze a chiarire la questione: “È stato montato un caso e molte preoccupazioni sul nulla – dice Claudio Vanni, responsabile delle relazioni esterne di UniCoop – perché la situazione resta quella di sempre. Saremo aperti le sole due domeniche previste e per tutti i fine settimana delle festività natalizie, come sempre accade e come è previsto. Il primo novembre è sabato e, con la chiusura di domenica 2 novembre non ci possiamo permettere di restare chiusi anche il giorno prima: non è solo una questione commerciale, ma anche di rispetto nei confronti dei nostri soci. A parte questo, che rappresenta un caso isolato, sottolineo che, passate le feste di Natale, tutto tornerà come prima, con il calendario consueto e le festività che saranno effettivamente rispettate”.


 
19 settembre 2014
 
Elia Frosini
 
Tv Prato
 
 
 

16 settembre 2014

INDAGINE UNIPOL A TORINO, MA PER ERRORE

AD UnipolSai Carlo Cimbri
L’indagine sulla fusione UnipolSai è stata strappata alla Procura di Milano e mandata a quella di Torino sulla base di un clamoroso errore della Procura generale della Cassazione: non ha tenuto conto che la pena per la manipolazione di mercato, che era da 1 a 6 anni, nel 2005 è stata raddoppiata, da 2 a 12 anni.
 
 
LA VICENDA ha origine nel giugno 2014, quando tra i pm di Milano (Luigi Orsi) e Torino (Vittorio Nessi e Marco Gianoglio) scoppia un conflitto per chi deve condurre l’indagine sulla fusione tra Unipol e Fonsai. Venerdì 12 settembre la procura generale della Cassazione comunica che dev’essere Torino. E lo motiva in un decreto di 12 pagine firmato dal sostituto procuratore generale Aldo Policastro, il quale spiega che entrambe le sedi giudiziarie procedono ipotizzando a carico di alcuni indagati, tra cui l’amministratore delegato di UnipoSai Carlo Cimbri, il reato di manipolazione di mercato (articolo 185 del Testo unico finanziario, pene da 1 a 6 anni), ma Torino ci aggiunge anche le false comunicazioni sociali (articolo 2622 del codice civile, pene da 2 a 6 anni).

Questo è il reato più grave, sostiene Policastro, poiché ha una pena minima più alta dell’altro. E “la competenza per territorio appartiene al giudice, e quindi al pm, competente per il reato più grave”. Ecco perché vince Torino: “La competenza territoriale in ordine a tutte le imputazioni e quindi a entrambi i procedimenti è della procura di Torino”. Peccato che il sostituto procuratore generale della Cassazione non abbia consultato un codice, o anche solo Google: le pene per la manipolazione di mercato, cioè per l’aggiotaggio informativo, sono state raddoppiate dalla legge 262 del 2005, che ha portato la pena massima a 12 anni. Così crolla miseramente l’argomentazione del decreto, che comunque per ora non è appellabile. La questione potrà essere riproposta soltanto davanti al gip.

Il pg della Cassazione, comunque, non si ferma qui e, arrivato a pagina 7 del suo decreto, scrive che “per evitare ulteriori possibili contrasti, qualora venga esclusa nel corso delle indagini preliminari il reato di false comunicazioni sociali” (da lui erroneamente ritenuto più grave), affronta anche la questione della “competenza territoriale per il delitto di aggiotaggio”. Anche in questo caso, sostiene Policastro, vince Torino, contro Milano che (forte di precedenti quali Parmalat, Antonveneta, Mps) sostiene che l’aggiotaggio si consuma quando le notizie false vengono diffuse al mercato attraverso la piattaforma informatica Nis della Borsa di Milano. Il pg nega invece questa ipotesi. Dopo aver sostenuto che: “il mercato non è altro che lo spazio pubblico e non può essere ridotto solo al luogo della contrattazione borsistica”; che il reato si consuma “nel momento in cui la condotta (notizie false o altri artifici) esce dalla sfera del soggetto attivo del reato” quando questo “decide di palesare all’esterno la condotta decettiva (non veritiera, ndr) con qualsiasi mezzo”; e che “l’inserimento sul sito di una importante società è mezzo di diffusione quantomeno di pari efficacia rispetto alle comunicazioni inviate via Nis”; a pagina 11 giunge alle sue (discutibili) conclusioni. È competente Torino perché il primo reato, ossia la diffusione del comunicato sulla semestrale Fonsai al 30 settembre 2012, è avvenuto “il 13 novembre 2012 a Torino, sede dell’ufficio Investor Relation… ove è stato diffuso un comunicato… mediante l’invio concomitante al Nis (alle ore 20.11) e alla mailing list dedicata alla comunità finanziaria”. Non è rilevante, per il pg, se “l’invio al Nis sia stato anteriore o successivo a quello della mailing list, essendo rilevante l’invio da parte di Fonsai”, dunque alle 20.11 a Torino, “e non l’ulteriore inoltro da parte del Nis” al mercato, alle 20.12, a Milano.
 
 
 
16 settembre 2014

Gianni Barbacetto

Il Fatto Quotidiano
 

 

14 settembre 2014

UNIPOL: IL SONNO DELLA PROCURA

La procura generale della Cassazione ha deciso che l’indagine sulla fusione tra Unipol e Fonsai dev’essere strappata alla Procura di Milano e consegnata a quella di Torino.

È una svolta, visto che finora si era consolidato il principio che l'aggiotaggio informativo si consuma nel luogo in cui la notizia ritenuta falsa è diffusa ai mercati: dunque Milano.

La Corte questa volta ha deciso diversamente, indicando Torino, sede di Fonsai che ha formulato i primi comunicati.

 

La contesa tra la procura di Milano e quella di Torino sull’indagine UnipolSai ha alle spalle un lungo conflitto strisciante, tra il pm milanese Luigi Orsi e il suo procuratore Edmondo Bruti Liberati, da far impallidire lo scontro tra Bruti e l’aggiunto Alfredo Robledo. Ora la procura generale della Cassazione ha deciso: l’indagine sulla fusione tra Unipol e Fonsai dev’essere strappata alla Procura di Milano e consegnata a quella di Torino. È una svolta, visto che finora (Parmalat, Antonveneta, Mps) si era consolidato il principio che l’aggiotaggio informativo si consuma nel luogo in cui la notizia ritenuta falsa è diffusa ai mercati: dunque Milano, sede del Nis, la piattaforma informatica della Borsa che gira le comunicazioni agli operatori. La Corte questa volta ha deciso diversamente, indicando Torino, sede di Fonsai che ha formulato i primi comunicati. A Milano, Orsi indagava sul matrimonio Unipol-Fonsai ipotizzando una sopravvalutazione di Unipol. A Torino, i pm Vittorio Nessi e Marco Gianoglio suppongono una sottovalutazione di Fonsai. Ipotesi che non si escludono. Entrambe le procure avevano come principale indagato Carlo Cimbri , il numero uno di Unipol diventato, dopo la fusione, amministratore delegato di UnipolSai. Con la decisione della Cassazione, finisce il primo tempo di una complessa indagine sull’operazione finanziaria forse più rilevante degli ultimi anni.

Una grande storia italiana, l’ultima operazione di sistema. Di più: una “bicamerale degli affari” ai tempi delle larghe intese. Tutto parte dalla crisi del gruppo di Salvatore Ligresti. Fonsai nel 2011 accumula un passivo record di 1 miliardo. Arriva al vertice della compagnia Piergiorgio Peluso, figlio del futuro ministro Anna Maria Cancellieri: da Ligresti è ritenuto un “amico di famiglia”, ma il suo mandato è quello di salvare i soldi che le banche hanno messo nel gruppo, che a fine corsa sono debiti per oltre 2 miliardi, di cui 1,2 con Mediobanca e 470 milioni con Unicredit. Quando si accorge che il salvataggio è una missione impossibile, oltre che per lui molto rischiosa, Peluso se ne va. Alberto Nagel, l’amministratore delegato di Mediobanca, ha intanto trovato la soluzione “di sistema”: molla Ligresti, da decenni servitore fedele di piazzetta Cuccia, e offre la sua compagnia assicurativa a Cimbri. È l’unione di due debolezze, perché se Fonsai è malata, anche Unipol non si sente troppo bene. Ma è anche il modo per cercare di salvare i soldi di Mediobanca, creditrice (per 400 milioni) anche della compagnia bolognese. La procura di Milano e quella di Torino cominciano a indagare sulle gesta di Ligresti & family. È la famiglia perdente, a cui tutti ormai danno addosso. Milano però allarga le indagini anche alle famiglie vincenti: a Unipol, ai registi di Mediobanca, agli strani controllori di Isvap e di Consob, che invece di controllare fanno il tifo per l’operazione.

Nel 2012 il rapporto “Plinio” redatto per Fonsai da Ernst& Young arriva a sostenere che Unipol, a causa dei derivati che ha in pancia, potrebbe avere un valore di molto inferiore a quello dichiarato a bilancio e addirittura un patrimonio netto negativo. Un dirigente di Consob, Marcello Minenna, avversato dal suo capo, Giuseppe Vegas, conteggia che i derivati della compagnia valgono almeno 600 milioni in meno di quanto dichiarato. Fosse stata la procura di Milano del 2005, la fusione sarebbe saltata, come saltarono allora le scalate dei “furbetti” ad Antonveneta e Bnl, il primo tentativo di realizzare una “bicamerale degli affari” con sponde a destra (con la Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani tanto amico di leghisti e berlusconiani) e a sinistra (con Gianni Consorte che faceva sognare Piero Fassino: “Abbiamo una banca!”). Indagini rapidissime, intercettazioni che captano in diretta le manovre degli scalatori, manette che scattano subito, operazione che naufraga, con tanto di dimissioni del governatore di Bankitalia che si prendeva i baci in fronte di Fiorani. Sette anni dopo, tante cose sono cambiate. Anche al palazzo di giustizia di Milano. Così il procuratore della Repubblica Bruti e il suo aggiunto Francesco Greco predicano prudenza, invitano alla cautela, sostengono che la fusione, in fondo, “è un’operazione di mercato”, consigliano di andarci piano con Mediobanca e di sentire Nagel come testimone e non come indagato.
 
Quando il pm Orsi mette una microspia nell’ufficio dell’allora presidente Isvap Giancarlo Giannini, Bruti manda una lettera di contestazione formale a Robledo, capo di Orsi, accusandolo di non averlo avvertito. Quando nel luglio 2012 Orsi scrive alla Consob chiedendo documenti su Unipol, il procuratore contesta la richiesta. Quando un troncone dell’indagine (quello su Giannini) è chiuso e l’avviso di conclusione indagini il 5 novembre 2013 è pronto per essere depositato, Bruti ferma tutto e tiene il fascicolo sulla sua scrivania per otto giorni, forse perché, casualmente, proprio il 5 novembre 2013 è il giorno in cui il ministro della Giustizia Cancellieri va in Parlamento a tentare di spiegare le sue improvvide telefonate di sostegno alla famiglia Ligresti. Il Fatto nota e scrive dello sfasamento temporale tra la data dell’avviso e la data del deposito (13 novembre 2013) e questo costa, chissà perché, un duro richiamo verbale a Orsi e un’ulteriore lettera di richiamo a Robledo.
 
Quando poi la Consob chiede alla procura i tabulati telefonici di due giornalisti di Repubblica, Giovanni Pons e Vittoria Puledda, accusati di aggiotaggio informativo per aver scritto i dubbi sui conti Unipol, Bruti assegna il fascicolo a un altro pm e non a Orsi, che conosce bene la questione e potrebbe obiettare che in realtà la Commissione di Vegas vuole soltanto scoprire le (buone) fonti di Pons e Puledda. I capi di Orsi continuano a obiettare che i titoli strutturati, perno dell’inchiesta, sono strumenti complessi, che è difficilissimo stabilirne l’effettivo valore e che forse è meglio lasciar fare al mercato. Nella primavera 2014 si muove perfino la procura di Roma, ci sono riunioni tra i magistrati milanesi e il procuratore della capitale Giuseppe Pignatone, finché l’aggiunto Nello Rossi giunge alla conclusione che Roma non ha competenza territoriale da far valere. Intanto, Unipol ha avuto tutto il tempo per mettere a posto i suoi conti e blindare i suoi derivati. Alla fine, la procura di Torino rivendica l’indagine per sé. La Cassazione ora le dà ragione. E a Milano, dopo anni di defatiganti conflitti sotterranei, molti, dentro e fuori la procura, tirano un sospiro di sollievo.
 
 
 
14 settembre 2014

Gianni Barbacetto

Il Fatto Quotidiano