18 giugno 2013

COOP ITALIA CAMBIA IL VERTICE IN UNO SCONTRO DI STRATEGIE CHE DURA DA ANNI

Il 25 giugno si svolgerà l'assemblea annuale di Coop Italia, si approverà il bilancio, ma verrà ufficializzato anche un cambio dei vertici che era nell'aria da tempo e prenderà corpo un ripensamento alla strategia complessiva del mondo cooperativo. Sullo sfondo l'antica diatriba tra Coop emiliane e toscane con storie e modelli diversi.

L'articolo di Roberta Scagliarini sull'argomento ha dato lo spunto per un'approfondimento scritto per il blog da Mario Frau



Le coop della Toscana e Unicoop Firenze alcuni mesi fa minacciarono di uscire da Coop Italia, un ritornello che a fasi cicliche ha caratterizzato da sempre i rapporti tra le coop emiliane e toscane.

Nei momenti di scontro sulle strategie i toscani minacciano di separarsi per creare una Centrale Acquisti separata, ma tutti sanno che non lo faranno mai. Troppe sono le ragioni che ostacolano tale scelta separatista. I toscani sanno bene che godono dei vantaggi della “massa critica” rappresentata dal consorzio nazionale per gli acquisti Coop Italia, poi ci sono le sinergie negli spot pubblicitari milionari, c’è la questione dei prodotti a marchio Coop che non potrebbero più utilizzare una volta fuori, infine c’è la comune militanza politica della stragrande maggioranza dei dirigenti apicali. 

Ma allora perché si arriva a minacciare scissioni e scelte separatiste dal sistema Coop Italia? Le ragioni sono tutt'altro che marginali. In primis è che ci sono strategie e storie diverse tra le coop toscane, gli emiliani e il resto del movimento. Gli emiliani fanno sempre la parte dell’asso pigliatutto, lasciando ai toscani quasi sempre qualche briciola, come ad esempio la scelta delle sedi, che significano posti di lavoro e potere. Coop Italia e Unipol sono entrambe a Bologna, con alla testa due emiliani doc come il Presidente di Unipol Luigi Stefanini (ex segretario del P.C.I. Bolognese) e il Presidente di Coop Italia Vincenzo Tassinari, (di provenienza P.S.I. ) cresciuto all'interno del mondo coop emiliano. Ai toscani vengono riservati sempre ruoli subordinati se non proprio marginali, evidenziando un certo sciovinismo emiliano. 

La spaccatura del 2005 sulla scalata alla Bnl portò il movimento cooperativo a separare i propri destini finanziari. Unicoop Firenze, guidata dall'inossidabile Campaini, scelse di rafforzare la propria presenza in Mps, su Unipol invece si concentrarono soprattutto le coop emiliane, altre ancora con presenze in alcune banche come la Carige (Coop Liguria), la Popolare di Spoleto (Coop Centro Italia) e la Popolare dell’Emilia Romagna (Coop Estense). Proprio in questi giorni, con le dimissioni di Tassinari da Presidente del Consiglio di Gestione di Coop Italia, si è consumato l’ennesimo scontro tra le cooperative toscane, quelle emiliane e del nordovest.  Il contrasto verte su come affrontare la crisi, la perdita di clienti e di ricavi e su come gestire i rapporti con l'industria e i consumatori. Si tratta di uno divergenza di vedute che vede una divisione piuttosto netta tra i toscani e il resto del movimento che, prima o poi, sarà destinato a ricomporsi, magari concedendo spazi di autonomia alle strategie di Unicoop Firenze e delle altre coop toscane , come del resto è sempre accaduto. 

Le figure storiche che dominano la discussione sono pezzi da novanta come Turiddo Campaini, 73 anni, da più di 30 anni a capo di Unicoop Firenze (dai tempi di Nixon, come ha precisato recentemente il sindaco di Firenze,  Renzi), e Vincenzo Tassinari, 64 anni, da 25 presidente di Coop Italia, ora soccombente e dimissionario. 

Questo il motivo centrale dello scontro strategico: secondo i cooperatori toscani guidati da Campaini la leva vincente per affrontare la crisi e le prospettive future sarebbe da ricercare nell'efficienza e nel presidio del territorio anziché nella centralizzazione e la dimensione aziendale (quindi meno centralizzazione delle strategie e più spazio invece all'autonomia di ciascuna cooperativa e di ciascun manager-presidente). E’ convinzione di Unicoop Firenze che di fronte all'impoverimento di vasti strati sociali della popolazione, le coop sono chiamate a svolgere un ruolo anti-inflattivo, cioè di calmierazione dei prezzi per tutelare un potere d’acquisto di soci e consumatori che si va sempre più assottigliando. Il problema di fondo è come realizzare un simile ambizioso obiettivo, visto che una parte rilevante del movimento cooperativo manifesta serie difficoltà competitive, con il margine operativo se non in rosso certamente molto risicato. L'unica che riesce a farlo con successo è Unicoop Firenze, che ha i prezzi più bassi di tutte le altre cooperative. E' inoltre la più grande coop Italiana, con quasi 3 miliardi di fatturato, da anni citata per la sua convenienza davanti ad Esselunga e con uno scarto rispetto alle altre Coop (dato certificato da una indagine di Altroconsumo). Forte di una leadership dimensionale e di prezzo, è circolata la voce che Campaini , negli ultimi mesi, aveva più volte minacciato la scissione da Coop Italia trascinando con sé le altre Coop Toscane e Umbre e ipotizzando di creare una propria centrale acquisti separata. Campaini aveva una grande fretta di cambiare strategia commerciale, a cominciare dal ridimensionamento degli ipermercati, da tempo in sofferenza per la crisi dei prodotti no food e per la concorrenza dei grandi specialisti. I grandi ipercoop che operano nel territorio toscano sono in corso di ridimensionamento, con l’abbandono dell'insegna Ipercoop, per essere trasformati in Superstore (il format vincente inventato dal temibile concorrente Esselunga di Bernardo Caprotti) di dimensioni più ridotte. E nelle altre cooperative cosa sta succedendo? Tale ricetta non verrà seguita dagli Ipercoop delle altre cooperative emiliane e del nord ovest, che continueranno a sviluppare gli ipermercati, dimostrando di credere ancora in quel format.

Una vera e propria scissione da parte dei toscani non è però ipotizzabile in quanto essa avrebbe un prezzo altissimo come, ad esempio, la perdita del marchio Coop e soprattutto dei prodotti a marchio Coop che da soli rappresentano il 25% del giro d'affari del sistema. Lo scontro è comunque destinato a durare.

Le dimissioni di Tassinari e la decisione di sostituirlo con il Presidente della Coop Nordest, Marco Pedroni rappresenta un indubbio successo per Campaini per due ordini di ragioni. 
Ne esce sconfitta la strategia di Tassinari e di Dalle Rive di puntare ad un accentramento dei poteri e delle funzioni più importanti in Coop Italia a discapito della autonomia delle singole cooperative; esce perdente anche il disegno di realizzare nel tempo una unica grande Coop nazionale mediante un processo di fusioni (del resto il Presidente del Consiglio di Sorveglianza di Coop Italia, Dalle Rive, che è anche Presidente di Novacoop, ha fallito propria a casa sua quando è abortito il disegno di unificare le tre coop del Distretto Nord Ovest).
Esce invece vincente la strategia di Campaini che ha sempre ritenuto che la soluzione dei problemi di redditività che evidenziano le varie cooperative non si risolverebbe con il gigantismo e ha sempre puntato all'autonomia delle singole cooperative, alla flessibilità, alla valorizzazione del legame con il territorio, alla efficienza e alla competitività mediante politiche di contenimento dei prezzi. 

La partita sulla strategia del sistema cooperativo è ancora tutta aperta, ma obiettivamente occorre riconoscere che Tassinari e Dalle Rive, fautori di una strategia di accentramento delle funzioni strategiche in Coop Italia, per il momento ne escono sconfitti e a goderne è Campaini. E ciò nonostante le disavventure sue e di Unicoop Firenze in MPS, che hanno comportato perdite colossali. 



Mario Frau


17 giugno 2013

ADDIO AL PROGETTO SUPERCOOP. TASSINARI LASCIA, PEDRONI VERSO IL VERTICE

Vincenzo Tassinari, lascerà
la guida operativa di Coop Italia
Marco Pedroni, 54 anni,
il favorito per guidare Coop Italia

Il braccio di ferro tra emiliani e toscani divide il sistema.
Il nuovo ceo è considerato vicino a Cimbri, alla guida di Unipol Fonsai.
Niente integrazione tra i nove grandi gruppi per farne uno.
Il fronte del no.


Cambia il vertice della cooperazione italiana: se ne va uno degli uomini chiave del largo consumo nazionale e gli alti dirigenti del movimento serrano le file su una nuova governance.

Vincenzo Tassinari lascerà il suo incarico alla guida operativa di Coopitalia. Il manager emiliano non metterà la sua firma sull'inversione di strategia rispetto a quella visione unitaria che era stata formalizzata cinque anni fa, appena spente le braci della vicenda Unipol-Bnl, quando fu introdotta la governance duale in Coopitalia. Allora venne nominato un consiglio di sorveglianza presieduto dal piemontese Ernesto dalle Rive (Novacoop) mentre il consiglio di gestione fu affidato a Tassinari con la missione di centralizzare gradualmente tutte le funzioni commerciali delle coop per avvicinarsi al sogno di dare vita ad un campione nazionale della grande distribuzione.

Il progetto approvato da tutti, mirava ad integrare i 9 grandi gruppi degli scaffali mutuali per farne un solo soggetto con 13 miliardi di fatturato e 8 milioni di soci. Ma quel disegno è tramontato, le coop hanno deciso di fare marcia indietro e di ripartire da zero. Il compromesso sulla governance leggera, con cui Tassinari non è in sintonia, è il prezzo della tregua con i cooperatori toscani e con il loro leader, il 73enne Turiddo Campaini, che dai tempi della scalata alla bnl si trova in opposizione frontale con i colleghi emiliani.

La svolta avverrà ufficialmente il 25 giugno quando si riunirà l'assemblea di Coopitalia per approvare il bilancio del 2012 ed eleggere il nuovo consiglio di gestione. La settimana scorsa il consiglio di sorveglianza ha convocato l'assemblea straordinaria per il secondo punto all'ordine del giorno. Le dimissioni di Tassinari daranno il via ad un domino di poltrone: il manager indicato per sostituire Tassinari è il reggiano Marco Pedroni, un dirigente di 54 anni che è considerato un «giovane» all'interno della Legacoop. Pedroni  attualmente è presidente  di Coop Nordest ed è il numero uno di Finsoe, la finanziaria cui fa capo il controllo di Unipol-Fonsai. Un cumulo di incarichi che ne fa uno degli uomini più potenti della Lega e più vicini al numero uno del gruppo assicurativo, Carlo Cimbri.

Coop Nordest, insieme alle altre due coop emiliane (Adriatica e Estense) è il nocciolo duro dell'azionariato di Unifonsai. Pedroni scioglierà ufficialmente la riserva in questi giorni dopo di che si deciderà chi lo sostituirà a capo della coop reggiana. Come vicepresidente di coopitalia dovrebbe essere riconfermata la manager della Legacoop toscana Maura Latini.

L'addio di Tassinari, che è stato uno dei protagonisti della crescita della cooperazione di consumo in Italia ed è stimato da tutti i capitani della grande industria alimentare nazionale e multinazionale con cui ha trattato, è vissuta come un erore da una parte dei dirigenti e anche da molti competitori. Alcuni fanno notare che ridurre le iniziative di coordinamento e marketing di Coopitalia significa rinunciare ad una fetta del margine della gestione extra-caratteristica che per i bilanci di molte imprese e cruciale.

Ma sono mesi che Unicoop firenze, che è il primo gruppo del settore mutuale con 2,4 miliardi di ricavi pone veti alle iniziative unitarie. La divergenza di strategie è arrivata al punto che Unicoop Firenze ha cambiato nome ai suoi supermercati montando l'insegna Coop.fi al posto del marchio rosso Coop, ufficialmente registrato della Lega.

Un altro fronte di discussione si è aperto sugli ipermercati (Ipercoop) quando i toscani hanno deciso di vendere o di ridimensionari gli spazi e i format dei loro punti vendita. Anche sulla gestione delle promozioni e sulla scelta dei fornitori (per esempio la carne) i toscani hanno imboccato sentieri autonomi rispetto agli altri. Avanti così e allo storico scenario di collaborazione solidale si sostituirà un quadro di disgregazione senza prospettive.

In base al compromesso raggiunto in questi giorni Coopitalia per i toscani non sarà più il centro direzionale e strategico, il nucleo della futura maxi-coop, ma tornerà ad essere una semplice centrale acquisti, tutte le altre decisioni torneranno in mano alle singole cooperative e ai loro padri-padroni.

Il malumore è trapelato ufficialmente. «All'interno di Legacoop - si legge nell'editoriale di Paolo Bedeschi, presidente di Coopreno nel mensile Con - sono state definite regole, una delle quali, tra le più importanti è la transgenerazionalità. Significa che la cooperativa non essendo una società privata non viene tramandata agli eredi degli azionisti ma deve essere trasmessa dai dirigenti eletti pro-tempore a dei nuovi dirigenti scelti dai soci. Per regolamentare questi passaggi venne fissato un limite a 65 anni, in alcune cooperative questa regola viene disattesa, alcuni presidenti hanno superato i 70 anni di età ed altri si fanno rieleggere anche se il limite è superato». Il riferimento neanche troppo velato è al 73enne Campaini e al 67enne Mario Zucchelli, numero uno della Coop Estense, ex capo dei discount Dico, ex numero uno di Finsoe, consigliere di Unipol e di Bper.



17 giugno

Roberta Scagliarini

CorrierEconomia

15 giugno 2013

SUL LICENZIAMENTO DEL SINDACALISTA IN OBI, L'ONOREVOLE DEL PD CHIEDA ANCHE AD UNICOOP FIRENZE

L'onorevole del PD, Baruffi, presenta in parlamento un'interrogazione sul licenziamento del sindacalista avvenuto all'OBI di Modena

Ci si domanda perché, visti anche gli storici legami, l'apprezzabile iniziativa del Baruffi non passi anche per Unicoop Firenze che risulta essere il principale azionista di Obi Italia



L'onorevole del PD, Davide Baruffi, ha depositato un’interrogazione al ministro del Lavoro Giovannini sul caso del licenziamento di Corrado Di Stefano, rappresentante aziendale all’Obi di Modena Ovest.
La vicenda si inserisce nello scontro tra lavoratori e azienda sulle aperture domenicali e festive: l’Obi ha scelto di sottrarsi al codice comportamentale del Comune di Modena che esclude, tra l’altro, le aperture nelle principali festività civili e religiose.

Fermo restando che l'iniziativa di Baruffi è apprezzabile e condivisibile, l'onorevole non ritiene che sia il caso di coinvolgere, con la stessa motivazione con cui investe il Parlamento, anche Unicoop Firenze che risulterebbe controllare Obi Italia attraverso la società BBC (Brico Business Cooperation) della quale detiene il 70% delle quote? Magari proprio attraverso la figura del suo storico ed ascoltato Presidente, Turiddo Campaini, il quale peraltro, pur con sfumature diverse, non pare essere insensibile al tema delle aperture domenicali e festive.
La stessa domanda andrebbe girata a Filcams-Cgil, organizzazione in cui svolge attività il sindacalista licenziato, con un'aggiunta. Come mai codesta organizzazione sindacale, a quanto risulta, non ha intrapreso verso l'azienda la naturale ed ovvia procedura propria dell'art. 28/300 per condotta antisindacale visto che dichiara che il delegato sindacale non ha fatto altro che esercitare i diritti sindacali all’interno del luogo di lavoro a sostegno del confronto sugli orari e le aperture festive/domenicali. La strategia aziendale di Obi punta a sostituire il confronto con le organizzazioni sindacali e la normale dialettica sindacale con azioni inevitabilmente intimidatorie.
Per il PD non dovrebbe essere difficile interloquire direttamente con le Coop e, per dirla tutta, neanche per la Cgil.

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Licenziamento Obi, l'on. Baruffi porta il caso in Parlamento

Il parlamentare Pd interroga il Governo sul licenziamento di un rappresentante sindacale.

Il deputato modenese Pd Davide Baruffi ha portato in Parlamento il caso del licenziamento di un rappresentante sindacale del negozio Obi a Modena Ovest. Baruffi, con una interrogazione, chiede l’intervento del ministro del Lavoro Giovannini. “Questa vicenda – conferma il deputato Pd – merita di essere evidenziata non solo per la gravità del fatto, ma anche perché emblematica di uno stato di cose che deve essere corretto”.

Questa mattina il deputato modenese Pd Davide Baruffi ha depositato un’interrogazione al ministro del Lavoro Giovannini sul caso del licenziamento di Corrado Di Stefano, rappresentante aziendale all’Obi di Modena Ovest. La vicenda si inserisce nello scontro tra lavoratori e azienda sulle aperture domenicali e festive: l’Obi ha scelto di sottrarsi al codice comportamentale del Comune di Modena che esclude, tra l’altro, le aperture nelle principali festività civili e religiose. Il fatto risale a due settimane fa quando, dopo formale lettera di contestazione, il signor Corrado Di Stefano si è visto licenziato in tronco dalla nota catena commerciale. Obi ha optato per un’apertura indiscriminata in tutte le domeniche e le festività, 25 aprile, 1 maggio e 2 giugno compresi: proprio in concomitanza di queste aperture a dir poco inusuali sono stati proclamati alcuni scioperi. Ebbene, tra le contestazioni mosse dall’azienda a Di Stefano spiccano proprio le pressioni che il rappresentante sindacale avrebbe esercitato sui colleghi per convincerli a partecipare allo sciopero. Con questa interrogazione il parlamentare Pd intende non solo richiamare l’attenzione su un fatto a dir poco sconcertante, ma anche evidenziare come più in generale, nel nuovo regime che disciplina le aperture del commercio, manchi qualsiasi forma di tutela del lavoro, di quello autonomo (i piccoli esercenti sono oggettivamente svantaggiati rispetto alla grande distribuzione) e di quello dipendente che, complice anche la crisi dei consumi e il calo generalizzato nel settore, rischia di vedersi stritolato da una contrazione sistematica dei propri diritti. “La normativa è oggettivamente carente – sostiene l’on. Baruffi – e per di più, essendo arrivata nel pieno della crisi, anche intempestiva. Non solo ha privato Regioni e Comuni delle proprie competenze regolamentari e programmatorie, ma ha totalmente trascurato il fattore lavoro, scaricando sulla parte più debole il prezzo della riorganizzazione”. In questo senso Baruffi torna a chiedere al Governo se non sia giunto il tempo di ripensare la legge, in particolare di introdurre contrappesi adeguati a tutela dei lavoratori. “Nella grande distribuzione – prosegue il parlamentare Pd – una quota importante di lavoratori sono giovani e donne: i primi ricattabili perché spesso precari, le seconde più vulnerabili perché madri di famiglia o comunque oberate anche dal lavoro di cura. La situazione non è affatto in equilibrio e provvedimenti quale quello di Modena (il codice di comportamento promosso dal Comune insieme alle rappresentanze del settore, proprio per tutelare maggiormente i lavoratori e il rispetto delle festività civili e religiose) pur meritori, rischiano di non incidere più di tanto, senza una copertura di legge che li renda vincolanti”. “Questa vicenda – conclude Baruffi – merita di essere evidenziata non solo per la gravità del fatto, ma proprio perché emblematica di uno stato delle cose che proprio non va e, in quanto tale, deve essere corretto”.


6 giugno 2013


http://www.pdmodena.it

13 giugno 2013

IN UNICOOP FIRENZE PUO' ESSERE RISCHIOSO AIUTARE IL CLIENTE

Unicoop Firenze sanziona un lavoratore per aver aiutato un invalido a prendere il latte

Questa assurda e incredibile vicenda è accaduta ad un lavoratore del negozio del Neto di Sesto Fiorentino.







Il dipendente,  mentre stava rifornendo lo scaffale del caffè, si è sentito chiedere da un cliente con evidente invalidità se poteva prendergli del latte che si trovava nello scaffale opposto. Il commesso, nello spostare una cassa di latte, si è infortunato alla schiena ed a fine turno si è recato in ospedale; la struttura sanitaria ha certificato l’infortunio.

Unicoop Firenze ha sanzionato il lavoratore con un giorno di sospensione, contestandogli che non doveva alzare pesi per delle limitazioni alla mansione evidenziate dal medico competente, contestandogli inoltre l’abbandono del posto di lavoro.

Riemerge con prepotenza la doppia faccia di Unicoop: da una parte immacolata e impeccabile nella sua immagine pubblica, dall'altra impietosa e arrogante nei rapporti con i lavoratori. Tutte le belle favolette che il Presidente Campaini racconta sul "valore aggiunto" rappresentato dai dipendenti di Unicoop e tutta l’attenzione al socio ed al consumatore che riempie le pubblicità della Coop sembrano essere soltanto mera propaganda, in realtà questo è l’ennesimo episodio che ci riporta alla “Fattoria degli animali” di  Orwelliana memoria, dove tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

USB Lavoro Privato stigmatizza questo triste episodio e si attiverà in tutte le sedi per la tutela del lavoratore.


13 giugno 2013

Usb Commercio



07 giugno 2013

UNICOOP TIRRENO: PARLA IL PRESIDENTE MARCO LAMI

Intervista de Il Tirreno al Presidente di Unicoop Tirreno, Marco Lami il quale fa sfoggio di ottimismo nonostante il bilancio di nuovo in rosso, determinato - dice Lami - dalla partecipazione in Dico Discount e dai risultati negativi della rete dei punti vendita campani, sui quali però pare aprirsi l'arrivo di un cavaliere bianco (Coop Adriatica ed Estense)

Va male anche la raccolta del prestito sociale che scende dell'11% nel 2012 sulla tendenza negativa gia in atto nel 2012 (-7%)

La Coop punta ad un legame stetto col territorio e ad una riduzione dei prezzi

PIOMBINO. «Vogliamo salvare la nostra presenza in Campania, ma occorre ridurre il costo del lavoro. Così perdiamo fior di milioni che mettono a rischio l’azienda», dice al Tirreno Marco Lami, 58 anni, presidente di Unicoop Toscana, cooperativa nata nel 1945. A Riotorto, dove c’è la sede centrale, lavorano 400 dei 5.600 addetti di Unicoop Tirreno.

Giornata di sole, leggero vento, colori nitidi. Dall’uscita della Variante Aurelia, si vede svettare l’insegna Coop. Rossa, fiammeggiante, ma in crisi, vero, presidente? «Non direi. In questi giorni è tempo di assemblee di bilancio e posso assicurare che Unicoop Tirreno è viva», risponde Lami.

Ma il bilancio si chiude con un passivo di 18 milioni.
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Lami fa chiamare il direttore Fernando Pellegrini, il direttore finanziario, poi sicuro e rassicurato dalla presenza dell’uomo dei numeri, spiega: «No, non è così. Il risultato è frutto della sommatoria di un risultato positivo della gestione ordinaria (commerciale, immobiliare, finanziaria) e di un risultato molto negativo delle poste straordinarie, quest’ultimo determinato dalle perdite della nostra partecipazione nella società dei discount Dico e dai risultati negativi della nostra rete campana».

In numeri?
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 «Nei nostri 110 punti di vendita in Toscana, Lazio, Campania e Umbria registriamo un risultato della gestione ordinaria positivo per 7,5 milioni di euro. I soci, 919.875, aumentano del 2,68% mentre il patrimonio si aggira sui 294,87 milioni di euro. E il fatturato è di un miliardo e 200 milioni».

Ma il bilancio diventa negativo a causa dei 5 punti vendita in Campania e dei Dico che hanno pesato negativamente per 28 milioni. Come intende far fronte a queste criticità?

«La società Dico (in perdita da tempo) è stata venduta ad un altro operatore acquisendo in cambio 54 supermercati nel Lazio che saranno gestiti da una nuova società formata dalle stesse cooperative proprietarie di Dico».

E la presenza in Campania?

«Noi siamo presenti in Campania dagli anni 90. Oggi abbiamo 3 Ipercoop (Afragola, Quarto e Avellino) e due supermercati (Napoli-Arenaccia e Santa Maria Capua Vetere). Le continue e ingenti perdite hanno indotto il cda a dare mandato alla dirigenza di trovare soluzioni definitive».

Intanto sono scattate le lettere di mobilità per 250 dipendenti campani...

«Noi siamo disposti a discutere con i sindacati. Ma partendo dal fatto che il costo del lavoro va ridotto sensibilmente. Perché in Campania ad un mercato debolissimo in termini di capacità di spesa dei consumatori si assomma una concorrenza esagerata e una pianificazione commerciale mancata».

Addio Campania?

«No, noi siamo interessati a mantenere il marchio Coop. Per questo siamo alla ricerca di partner.

Con quali risultati?

«Al momento si è registrato un interesse di due coop emiliane: Coop Adriatica e Coop Estense, che potrebbero entrare in campo con noi. Noi siamo interessati a mantenere il marchio coop in Campania, suddividendo le quote in tre parti. Ma l’accordo è possibile se saremo in grado di elaborare un piano industriale credibile».

In questi dati negativi ha influito la grande criminalità?

«La grande criminalità esiste anche se noi siamo riusciti ad evitare qualsiasi coinvolgimento, ma nel nostro caso appellarsi alla grande criminalità è come dare la colpa all’arbitro se uno perde la partita».

Altra criticità: la diminuizione del prestito sociale?

«Complessivamente l’ammontare dei prestiti dei soci è di un miliardo e 170 milioni al 31 dicembre 2012. E non può superare il quintuplo del patrimonio netto che è di 300 milioni. Nel 2011 il prestito sociale ha avuto un decremento di 122 milioni pari al 7% mentre nel 2012 145 milioni pari all’11%. A partire però da metà del 2012 abbiamo introdotto il deposito vincolato, un prodotto finanziario che ha consentito un cambiamento di trend».

E il nuovo centro commerciale di Livorno?

«Tutto procede nella direzione giusta, entro il 2014 lo apriremo».

Ma di là della vendita dei rami secchi, quale è la strategia di Unicoop Tirreno per i prossimi anni?

«La nostra idea è che vince chi ha un’immagine netta. Noi puntiamo ad un forte legame con il territorio, innanzitutto con la presenza e l’attività della nostra base sociale, con prodotti di qualità legati alle zone e ai produttori dei luoghi dove siamo presenti noi. E soprattutto ad una nuova politica dei prezzi».

Di cosa si tratta?

«Noi lo chiamiamo nuovo modello di vendita. Si tratta di essere, in una determinata zona, l’azienda leader per i prezzi più bassi. Abbiamo iniziato da Viareggio e dal Lazio con prezzi mediamente abbassati del 5%. E i risultati sono stati molto positivi con un incremento di vendite del 5,3 per cento. In estate vogliamo applicare questo modello alla rimanente Versilia e entro il 2014 a tutta la Toscana».



5 giugno 2013

Mario Lancisi

Il Tirreno


06 giugno 2013

ACCORDO SULLA RAPPRESENTANZA: I CONFEDERALI, FIOM INCLUSA, IMPEDISCONO LA DEMOCRAZIA SINDACALE

Un documento a firma della minoranza Cgil mette a nudo i principali punti dell'accordo che i Confederali hanno firmato con Confindustria




Senza consultare e neanche informare i diretti interessati, Cgil, Cisl e Uil hanno stipulato con Confindustria un patto sulla rappresentanza che viola platealmente principi democratici e principi costituzionali, impedendo che lavoratrici e lavoratori siano liberi di scegliersi i propri rappresentanti. Potranno infatti partecipare alla elezione dei rappresentanti sindacali solo liste presentate da Cgil, Cisl e Uil o da altri sindacati che (come loro hanno fatto con questo patto) rinuncino ad ogni azione di sciopero e accettino gli accordi decisi a maggioranza dagli stessi firmatari.

Per anni si era denunciato che i sindacati firmatari dei contratti si fossero automaticamente attribuiti un terzo delle RSU. Oggi essi non si accontentano più di questo e si accaparrano d’ufficio, con questo meccanismo, il 100% della rappresentanza, a prescindere da quale sia il consenso di altre organizzazioni!

Sulla rappresentanza il principio é: prima mi dici che sei d’accordo, poi ti siedi al tavolo. Infatti, la conta degli iscritti e dei voti, che garantisce la presenza alle trattative di chi ha più del 5%, si fa solo tra i firmatari del patto, cioè tra chi ha già detto che accetterà l’accordo, quale che sia.

Non solo. Il patto punta a impedire il dissenso interno alle stesse organizzazioni firmatarie. Infatti, secondo le clausole del patto, se un delegato non risulta più iscritto alla organizzazione sindacale con cui è stato eletto (se si è dimesso o è stato espulso per dissenso, appunto), egli decade da delegato. In questo modo si impedisce la presenza nelle rappresentanze dei delegati e delle delegate più fedeli alle rivendicazioni delle lavoratrici e dei lavoratori, li si fa decadere e, avendo perso le tutele proprie dei delegati, li si espone alle vendette dei padroni, peraltro oggi più facili anche grazie alla manomissione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Insomma, i delegati rispondono alla organizzazione e non ai lavoratori.

Si fa molta propaganda sul fatto che l’accordo garantirebbe la verifica democratica del consenso delle lavoratrici e dei lavoratori sulle intese contrattuali. Non è vero. In realtà sui contratti non si garantisce alcun referendum vincolante ma solo ”una consultazione certificata a maggioranza semplice”. Cioè al massimo assemblee gestite e “certificate” dagli stessi sindacati firmatari. Senza accordo tra i firmatari, il referendum non c’è.

Sugli accordi aziendali valgono le regole dell’accordo del 28 giugno 2011, cioè le deroghe e non è previsto alcun voto delle lavoratrici e dei lavoratori ma basta la maggioranza della RSU, che ricordiamo sarà eletta solo su liste presentate dai sindacati firmatari.

Il patto introduce una pesantissima limitazione al dissenso, con il cosiddetto principio di esigibilità voluto dalla Confindustria: i padroni, mentre peggiorano le condizioni dei lavoratori, pretendono anche che essi rinuncino alle lotte o alle cause legali. E Cgil, Cisl e Uil sono d’accordo. L’intesa prevede che nei prossimi contratti si inseriscano le sanzioni contro chi trasgredisce e sciopera.

E’ molto grave che insieme al gruppo dirigente  della Cgil anche quello della Fiom esalti l’accordo, mentre proprio tre anni fa la Fiom disse giustamente NO all’accordo di Pomigliano in Fiat. La verità è che questo accordo è il modello Fiat esteso a tutti i luoghi di lavoro. Chi non ci crede ha un modo molto semplice di verificarlo: leggere il testo dell’accordo!

No all’appropriazione privata della democrazia!
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La democrazia è di tutti!


5 giugno 2013

R28aprile - opposizione CGIL



LA VICENDA DICO: 400 PERSONE IN MOBILITA'


Coop ha svenduto una delle sue aziende, Dico spa, a un gruppo privato e adesso oltre 400 persone - di cui 100 nel solo territorio di Prato - rischiano di perdere il posto di lavoro




La nuova proprietà ha infatti comunicato che queste persone sono esuberi e per loro verrà aperta una procedura di mobilità.




Come siamo arrivati a tutto questo?

Dico nasce nel 1994 dalla fusione di 7 delle 9 cooperative italiane facenti capo a COOP ITALIA: COOP ADRIATICA, COOP ESTENSE, COOP CONSUMATORI NORDEST, NOVACOOP, UNICOOP TIRRENO, COOP LIGURIA, COOP LOMBARDIA.

Dal 1999 la società ha il suo centro direzionale a Prato, in cui operano attualmente circa 100 persone.

Nel 2010 alla presidenza di DICO viene nominato Mario ZUCCHELLI, già presidente di COOP ESTENSE. Quell’anno rappresenta la svolta per DICO SpA.

Zucchelli chiama a guidare DICO, il manager di Eurospin Antonio LANARI.
Lanari riceve di fatto carta bianca da Zucchelli e si circonda di un team di lavoro proveniente da Eurospin (nelle figure di Arrigoni, Pisacane, Zingarlini). Da quel momento vengono messe in campo una serie di iniziative fallimentari:

1. apertura di una seconda sede a Bologna, brutta copia della sede di Prato
2. Introduzione della vendita di Piante e Fiori che comporterà una perdita di milioni di euro l’anno
3. Inserimento massivo di extralimentari spesso di pessima qualità (nel 2013 sono stati sfiorati 10milioni di euro di giacenze)

Nel periodo compreso tra il 2010 e il 2013 le perdite per DICO Spa iniziano a farsi sempre più pesanti, tanto che Il biennio 2011-2012 si chiuderà con perdite per quasi 50 milioni di euro.

Nel corso del biennio sia a Zucchelli che a tutto il CDA di DICO viene fatto presente più volte la situazione che si sta delineando.

Nonostante i numeri ben chiari ricevuti più volte le COOP decidono ogni volta di rinnovare la fiducia.

Da parte di tutti i lavoratori DICO, in particolare quelli della Sede che percepivano la drammaticità della situazione, nel corso di tutto il biennio c’è sempre stata una forte preoccupazione. Ma ad ogni incontro avuto con Lanari (l’unico interlocutore con cui è stato possibile confrontarsi visto che le Coop non si sono mai presentate) viene sempre dichiarato che la situazione è sotto controllo e che chi si preoccupa sta solo creando allarmismo fra i colleghi.

Però, a Marzo 2013 – appena dopo il termine delle elezioni politiche - tutti i lavoratori DICO apprendono dagli organi di stampa che è in atto un’operazione per la vendita delle quote di DICO ad un gruppo privato. Un’operazione che tecnicamente viene definita di scambio quote, in quanto a fronte di circa 340 negozi (più 6 magazzini e 2 sedi) che dalle COOP andavano al gruppo privato, le COOP prendevano in cambio 54 supermercati nel Lazio.

In tutta l’operazione nessun cenno era fatto al destino dei 1.787 dipendenti di DICO operativi sul territorio nazionale.

Di tale operazione nessuno era stato portato a conoscenza, né la dirigenza DICO, né i lavoratori, né le organizzazioni sindacali. Un’operazione che, come poi sarà ammesso dalle cooperative, andava avanti da mesi, ma tutta gestita nella massima segretezza.

All’interno di DICO c’è stata come era prevedibile una grande mobilitazione che si è concretizzata il 22 Marzo con uno sciopero nazionale e la manifestazione sotto la sede di COOP ITALIA a Bologna dove era riunito l’ultimo CDA di DICO.

In tale fase una delegazione di DICO è stata ricevuta da Zucchelli e Lanari. In tale occasione Zucchelli si è formalmente impegnato, firmando anche una impegnativa di suo pugno, a presenziare (lui o un delegato per le cooperative) agli incontri che ci sarebbero stati tra le organizzazioni sindacali e la nuova proprietà.
In tale occasione Zucchelli ha utilizzato anche la felicissima espressione che la DICO era da considerare
morta (menomale non ha detto la stessa cosa dei 1.787 dipendenti!).
Successivamente a tale impegnativa ci sono stati ben 3 incontri (2 nazionali ed uno locale su Prato) tra la nuova proprietà e le organizzazioni sindacali, ma né Zucchelli stesso, né altre persone su delega delle cooperative si sono presentate in nessuna occasione.

La nuova proprietà ha ufficialmente preso possesso di DICO dai primi giorni di Aprile, le organizzazioni sindacali hanno in più occasioni tentato di contattare le cooperative, organi di stampa, media per esprimere le loro paure sul fronte occupazionale.
Abbiamo provato più volte in ogni modo a richiamare le cooperative a rispettare quello spirito di etica e rispetto della dignità della persona che dovrebbe far parte del loro DNA. Ci siamo però trovati di fronte un muro di gomma contro il quale si sono infrante tutte le nostre legittime richieste.

Le prime tre operazioni importanti messe in atto dalla nuova proprietà sono state:

1. Chiusura della Sede di Bologna
2. Chiusura dei negozi in grossa perdita
3. Cambio del management aziendale

Soprattutto a seguito delle chiusura dei negozi sono già partite le prime lettere di licenziamento che fortunatamente siamo riusciti a bloccare sperando di poter far rientrare tali licenziamenti in un contesto più ampio di ammortizzatori sociali.

Il 27 Maggio abbiamo avuto un nuovo incontro tra organizzazioni sindacali e nuova proprietà per la presentazione del piano industriale di rilancio di DICO SpA.
Accanto a lodevoli e belle iniziative di rilancio dei negozi, sviluppo di nuovi punti vendita, riduzione dei costi, ci sono state presentate anche alcune iniziative che hanno destato una profonda e motivata preoccupazione.

In particolare ciò che ci è stato presentato è stato:
1. Chiusura dei negozi in forte perdita (una numerica compresa tra 32 e 65 punti di vendita)
2. Chiusura di due magazzini (uno a Roma e uno nelle Marche)
3. Chiusura delle due sedi di DICO di Prato e Bologna

La numerica dei dipendenti coinvolti in tali operazioni di chiusura ammonta a 419 persone.
Solo la sede di Prato si trovano occupati al momento 100 dipendenti.
Le chiusure sono state programmate per il secondo semestre 2013.

Da parte della nuova proprietà c’è stato ribadito l’impegno di ricollocare il maggior numero di persone possibili, disponibilità confermata da quanto accaduto su alcuni negozi in provincia di Roma, i cui dipendenti sono stati ricollocati praticamente in massa su altri negozi in zona.
Ma tale operazione non può gioco-forza essere messa in atto per la sede di Prato, data la numerica molto alta delle persone coinvolte e i pochissimi negozi DICO in zona.

A conferma di ciò ci è stata indicata la certezza di una numerica alta di esuberi e l’avvio ad inizio di Giugno di una procedura di mobilità che riguarderà principalmente i lavoratori di Prato.

Siamo pertanto qui a rivendicare con forza i nostri diritti.

Ed in virtù di questo,

Chiediamo alle Coop tutte di assumersi una volta per tutte la profonda responsabilità di questi "FIGLI DI UN DIO MINORE" che hanno abbandonato e nei confronti dei quali non hanno mai perso occasione per dimostrare il loro disinteresse. Chiediamo anzi pretendiamo che tornino a mettere in atto quei valori etici e morali che professano in tutte le loro attività. Soprattutto alla luce di una fase in cui tutte le Coop investono denari in nuovi progetti (acquisizione degli Aligrup in Sicilia, acquisto dei Despar nel Lazio, interessamento alla catena Billa, investimenti nei distributori carburanti, sponsorizzazione a Expo 2015), allora ci chiediamo perché non si sia voluto dare fiducia ai DICO, magari facendo un cambio di management.

Chiediamo alle Coop un atto di onestà intellettuale, ammettendo gli errori fatti nel scelta del management DICO. Errori fatti e procrastinati rinnovando pedissequamente la fiducia a chi stava portando la DICO al fallimento.
Errori che la nuova proprietà ha subito individuato e messo in atto fin da subito un radicale cambio di management.

Chiediamo alle istituzioni locali, per primo al comune, ma anche alla provincia e alla regione di intervenire con tutti i mezzi a loro disposizione di farsi garante di fronte al drammatico scenario di perdita posti di lavoro soprattutto sul territorio.
In una fase di crisi come quella attuale, lo scenario di un’ingente perdita occupazionale e la possibile perdita di interlocutori commerciali crea una preoccupazione ancora più forte soprattutto su un territorio come quello pratese che sta già pagando un prezzo caro per questa crisi.

Chiediamo alla nuova proprietà il massimo impegno e la massima fiducia nella professionalità dei lavoratori DICO per garantire la massima continuità occupazionale in questa fase così delicata.
Chiediamo a Voi organi di informazione di portare alla luce la nostra storia.

Grazie.



5 giugno 2013

RSA DICO PRATO

03 giugno 2013

UNICOOP FIRENZE, BILANCIO 2012: UN DISASTRO ANNUNCIATO

Il bilancio 2012 di Unicoop Firenze si chiude con una perdita di 127 milioni dovuta alle svalutazioni sul disastroso investimento in Monte dei Paschi

Altro dato preoccupante è il calo marcato del prestito sociale che crolla del 10,5% rispetto al 2011 e del 16,4% dal 2010



Unicoop Firenze, alla faccia della trasparenza, si guarda bene dal pubblicare il bilancio on line, cosa che fanno invece altre Coop. Trasparenza tra l'altro decantata ipocritamente nel titolo e nei contenuti dell'articolo dell'inarrivabile Antonio Comerci su l'Informatore Coop, un professionista del pressappochismo finanziario e non.

UNA TRASPARENZA OPACA
Comerci riesce ad essere addirittura involontariamente comico e ci sarebbe da ridere se il bilancio non fosse l'ennesimo disastro, quando scrive: Il Consiglio di Gestione della cooperativa, ha scelto la strada della prudenza e della trasparenza, svalutando di circa 200 milioni le azioni della Banca Monte dei Paschi che abbiamo in portafoglio. La realtà, e Comerci lo sa bene, è che  Unicoop è stata costretta dagli eventi a svalutare le azioni di Mps in portafoglio che aveva iscritto in bilancio ad un prezzo irreale e irripetibile. Lo scandalo di Mps ha avuto proporzioni tali che non si poteva più nascondere l'enorme minusvalenza. I soci allarmati chiedevano spiegazioni, la stessa Unicoop Firenze aveva già ammesso in un comunicato del febbraio scorso la perdita implicita di 200 milioni nella partecipazioni in Mps iscritta - si legge - nel corso del 2012 per un valore di circa 300 milioni e che varrebbe circa un terzo secondo le attuali quotazioni borsistiche. Il comunicato, che potete leggere qui riportato da l'Unità, è in seguito scomparso dal sito di Unicoop Firenze. Sempre in nome della trasparenza, si suppone.

Per rimanere sul tema della trasparenza (che non c'è) ecco un altro piccolo capolavoro. Alla fine di aprile, dall'assemblea dei soci Mps si apprende che Unicoop Firenze detiene in portafoglio altri 111 milioni di azioni di Mps oltre ai 318 milioni, quantitativo fino a qul momento noto. Unicoop avrebbe effettuato l'acquisto nel luglio 2012 senza informare la Consob, né emettere comunicati ufficiali. Tutto nel più assoluto silenzio, in perfetto stile sovietico, ante Glasnost gorbacioviana.

A noi pare evidente che non solo non ci sia trasparenza, ma che questi comportamenti indichino anche un malcelato disprezzo per i soci, in special modo verso i soci prestatori e per chi in Unicoop lavora. I soci prestatori hanno comunque avvertito il problema intensificando la fuga dai libretti già iniziata nel 2011 e di cui parleremo più avanti.

LA SVALUTAZIONE SU MPS PORTA IL BILANCIO IN PERDITA PER 127 MILIONI
Tornando al bilancio, si può evincere il disastro del 2012 da alcuni dati aggregati, quindi molto generici, che la stessa Unicoop Firenze fornisce tramite il noto e già citato giornalino dedicato ai soci, l'Informatore.
Quello del 2012 sarà il terzo bilancio negativo nella storia di Unicoop Firenze (con una perdita di -127 milioni) e il secondo consecutivo. La ragione del pessimo risultato del 2012, come nel 2011 e nel 2008, è dovuta alla gestione finanziaria e quest'anno (come nel 2008) per la svalutazione della partecipazione in Mps, che pesa per 197,9 milioni. Nel 2008 la svalutazione su azioni Mps fu di 189 milioni.

LA FUGA DAI LIBRETTI UNICOOP
Altra nota estremamente negativa e indubbiamente legata alla eco prodotta dal caso Mps, è rappresentata dal dato sul prestito sociale che tracolla da quota 2,627 miliardi a 2,352 con una fuga impressionante dai libretti di Unicoop Firenze per circa 275 milioni, che significa una fuoriuscita del 10,5% rispetto al bilancio precedente. Si noti che il flusso in uscita dal prestito sociale era già in atto dal 2011. Infatti nel bilancio 2010 l'ammontare del prestito era di ben 2,815 miliardi, registrando quindi già una flessione del 6,7% nell'anno successivo. Il crollo è di oltre il 16,4% in due anni. E' naturale che la crisi abbia portato i risparmiatori in genere e quindi anche i soci, ad intaccare i propri risparmi. Le dimensioni sono però tali che sarebbe davvero ingenuo non collegarle alla vicenda Mps e l'andamento del prestito è un indicatore importante della fiducia che i soci ripongono nella cooperativa. Se facciamo un confronto con le altre grandi Coop vedremo che la flessione è generalmente assai più contenuta. Ad esempio il prestito sociale in Coop Adriatica flette del 4,3%.

CONCLUSIONI
E' del tutto evidente che con questi numeri qualsiasi manager di un'azienda seria sarebbe costretto alle dimissioni. Il nostro pensiero è che il disastro non abbia nessuna attenuante a meno che non si voglia ascrivere l'incompetenza manifesta come giustificazione. Dovrebbero quindi rassegnare le dimissioni i componenti del Consiglio di Gestione, da Golfredo Biancalani a seguire e il Consiglio di Sorveglianza, che evidentemente ha della sorveglianza un concetto del tutto originale. Il presidente del Consiglio di Sorveglianza è Turiddo Campaini, 73 anni, 40 dei quali passati come Presidente di Unicoop Firenze. Crediamo sia il tempo di voltare pagina.