28 febbraio 2010

APERTURE DOMENICALI: I COMUNI NE PROPONGONO BEN 22, PIU' LA FESTA DEL PATRONO


Unicoop Firenze sostiene che una domenica al mese basterebbe, ma l'indicazione dei comuni dell'area commerciale fiorentina è di 22 domeniche l'anno



La proposta etica di Campaini pare non essere stata considerata



Il "suggerimento etico" del presidente di Unicoop Firenze Campaini sulle aperture domenicali, che richiedeva non più di un'apertura mensile dei negozi, sembra al momento essere stato ignorato dai 19 comuni dell’area commerciale di Firenze, Prato e Pistoia, che stanno trattando con sindacati e associazioni di categoria l'argomento. I comuni infatti, hanno proposto un calendario di deroghe alle aperture domenicali pressoché doppio, rispetto a quelle indicate da Campaini, che vorrebbe limitarle a quelle attuali.

Dopo i proclami, gli articoli a comando sui giornali, il coinvolgimento della Curia, la lettera ai dipendenti e un finto e grottesco dibattito su una tv con tanto di vescovo e alcuni yes man, si profila un'inopinata sconfitta etico-politica per il plenipotenziario di Unicoop.

"Il costo del servizio domenicale erogato - affermava tra le altre cose Campaini - alla fine aumenta e poi chi paga è il consumatore". Insomma, volete aperto la domenica? Pagate. Oppure che i dipendenti costino di meno ... Ma che sagge parole quando si parla di etica e di valori.

Beh, non sapremo come andrà, speriamo solo che i costi non gravino sui dipendenti, nella misura di un ritocco al ribasso degli incentivi salariali domenicali. Già dovranno fare a meno di altre giornate comunemente festive, sarebbe il colmo se ne risentisse anche il loro portafoglio.
Se qualcuno deve pagare, che paghi il cliente o Unicoop, in buona sostanza, quelli che la domenica la vogliono.

E poi vediamo che dirà il grande ed autonomo, nonché impermabile a qualsiasi pressione, SINDACATO (tutti e tre, ovvio, ma aiutateci a distinguerli tra loro e anche dall'azienda). Lì si che stiamo freschi! A proposito, nella trasmissione farsa non poteva mancarne uno di peso, Gramolati.

Per Unicoop, oramai che si è fatta (?) portatrice della bandiera del NO al consumismo esasperato che proprio in un maggiore incremento delle aperture domenicali e festive troverebbe la sua massima esaltazione ideologica, una via d'uscita ci sarebbe ...
Unicoop, con un clamoroso e davvero etico gesto unilaterale NON aumenterà le aperture la domenica.
Che grande lezione morale, che coerenza! Che faro, in mezzo a queste nebbie! Ci rifletta su, Campaini ...

Intanto, un pò scettici sull'ultima frase, ecco un estratto dal Corriere Fiorentino, che riporta la notizia:

LA PROPOSTA NEL COMMERCIO - Né trenta aperture domenicali l’anno, come auspicava la grande distribuzione. Né venti, come speravano le associazioni di categoria. La proposta dei 19 Comuni dell’area commerciale di Firenze, Prato e Pistoia prevede 23 giornate festive di lavoro. Da questa piattaforma è partito martedì il tavolo di concertazione fra Comuni, sindacati e associazioni, come prevede la legge regionale sul commercio, per arrivare ai nuovi patti territoriali su giornate e orari per lo shopping. Nel documento i Comuni propongono 22 giornate di apertura domenicale, oltre al giorno del santo patrono.

SHOPPING DI DOMENICA - E si pensa di dare facoltà ai Comuni di decidere sulle festività sempre state inderogabili, come Natale e Ferragosto. Per quanto riguarda gli orari: i negozi potranno aprire dalle 7 alle 22 (massimo 13 ore), salvo eventi particolari che possono portare la chiusura fino a mezzanotte. Ma almeno per ora, gli outlet continueranno a organizzare le giornate di lavoro separatamente. I Comuni si impegnano però a trovare entro l’anno un accordo con Barberino del Mugello e Reggello coinvolgendo la Regione Toscana. «Continuiamo a rimanere convinti — afferma Stefano Crippa di Federdistribuzione — che dovrebbe essere lasciata più libertà agli imprenditori».

26 febbraio 2010

Corriere Fiorentino.it
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Unicoop: domeniche lavorative "non etiche", ma solo se tornano i conti


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STRANIERI IN SCIOPERO

Gli scioperi dei soci lavoratori delle cooperative logistiche lombarde ci ricordano le difficili condizioni dei lavoratori che operano in appalto nei magazzini Unicoop Firenze



Le vicende citate nell'articolo a seguire, riportano direttamente alla situazione dei magazzini Unicoop, dove la maggior parte del lavoro è gestita da una cooperativa esterna (CFT) e in cui, anche lì guarda caso, la maggior parte dei lavoratori sono stranieri. Ci siamo già occupati di questi lavoratori per le condizioni in cui sono costretti a lavorare e per la frequenza di incidenti che si verificano nei magazzini che derivano essenzialmente dai ritmi di lavoro infernali loro imposti. (Lavoratori Unicoop Blog)

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Negli ultimi tempi, nei molti incontri sparsi per l’Italia per parlare di immigrazione, clandestinità e lavoro, mi si chiede spesso – preso atto del cupo contesto – di indicare qualche esempio positivo, qualche speranza, qualche traccia da seguire.

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Tra le pratiche sociali che possano prefigurare qualcosa di diverso, mi accade di citare la lotta delle cooperative della logistica in Lombardia. Di Brembio e di Cerro si è generalmente parlato solo per le cariche della polizia ai presidi dei lavoratori delle coop in sciopero (video incidenti - che You tube ha censurato). Non si è però prestata molta attenzione alla valenza politica di questi fatti, da cui invece si può trarre qualche utile insegnamento.

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In questa vicenda infatti – il cui sviluppo più recente sono state le cariche a Cerro di Lambro il 12 febbraio – compaiono gli elementi tipici dello sfruttamento del lavoro migrante nel suo nesso con la precarietà del lavoro, la precarietà esistenziale, la frammentazione dei processi produttivi.

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A smistare le merci nei magazzini sono le cooperative, le quali (a dispetto del nome nel quale è stratificata tanta parte della storia e degli ideali del movimento operaio) sono oggi uno dei veicoli migliori dello sfruttamento dei lavoratori. Anche nel settore della logistica, diversamente dal resto dell’Europa, si è verificato il classico processo di esternalizzazione della produzione, assegnando la gestione dei magazzini attraverso appalti dati al massimo ribasso, pratica che di fatto scarica il rischio d’impresa sui lavoratori.

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Così, ad esempio, la Bennet – la società di distribuzione che gestisce gli stabilimenti di Origgio e Turate, da dove la lotta si è propagata, magazzini che forniscono gli alimentari alla grande distribuzione in Lombardia – ha delegato alle cooperative la gestione dei magazzini abbattendo drasticamente i dipendenti diretti. La forza lavoro delle cooperative è quasi esclusivamente immigrata, visto che si tratta di un lavoro molto faticoso, con ritmi e tempi di lavoro intensissimi, e in molti casi a dirigere le cooperative ci sono prestanomi che ogni anno cambiano. Il contagio della lotta si è propagato da Origgio, dove 180 lavoratori delle cooperative hanno costretto la Bennet e la cooperativa di cui erano «soci» a accettare le condizioni contrattuali previste dalle legge 142 del 2001, alla quale aveva derogato lo stesso contratto nazionale firmato dai sindacati.

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Una lotta difficile, in condizioni di lavoro dure (25, ma anche 40 chili alzati 145 volte all’ora), dove se hai problemi ti si lascia a casa il giorno dopo. Una lotta partita a Origgio da due lavoratori originari dello Sri Lanka, che dopo essersi rivolti negli anni a un paio di sindacati confederali hanno trovato la via dell’autorganizzazione, appoggiandosi allo Slai Cobas.

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Al primo sciopero erano in quindici, poi hanno aderito tutti, fino a strappare la sindacalizzazione e l’adeguamento salariale e contributivo. Essendo stata vincente, quella lotta è stata imitata in altri siti: Turate prima, poi Brembio e Cerro di Lambro. Ogni volta con esiti positivi. Ogni volta si trattava di rivendicare dignità in fabbrica, sconfiggendo il senso comune diffuso di rassegnazione a essere trattati come servi, e scoprendo che la lotta paga.

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Una lotta solidale, alla quale - come mi raccontava Abdullah, delegato marocchino di Turate, che al suo paese studiava letteratura inglese – hanno preso parte srilankesi, pakistani, filippini, marocchini, tunisini, nigeriani, senegalesi, albanesi. E molti italiani solidali, grazie all’appoggio del sindacato di base. Le diffidenze sono state piano piano superate, si è creata una comunicazione culturale man mano che si diveniva coscienti della comunanza degli interessi.

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«Sta nascendo un’identità nuova, c’è una collaborazione fra tutti» dice Abdullah. E anche da parte degli italiani (che nelle coop fanno quasi esclusivamente lavori d’ufficio) le cose sono iniziate a cambiare: «All’inizio c’era un po' di arroganza da parte loro. Dopo che abbiamo iniziato con la lotta sindacale è cominciata un po' di parità, ci rispettano. Quando cominci ad alzare la testa, a rifiutare lo sfruttamento, allora loro ti guardano in modo diverso, perché anche loro sono operai deboli». Alla base di tutto, dunque, la rivendicazione di una dignità negata. Esistenziale e dei diritti.

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Ecco, la rivolta di Rosarno è stata evocata da più parti in occasione dei riots di via Padova a Milano, per quelle però che non sono che analogie superficiali. Trovo invece molto più pertinente l’analogia tra Rosarno e la lotta di queste cooperative, dove un gruppo coeso e vasto di immigrati è insorto per rivendicare condizioni di lavoro giuste e, ancor prima, il proprio stato di dignità umana.

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Lunedì è il primo marzo, sciopero dei migranti. L’opportunità straordinaria che questa giornata offre è quella di creare una rete forte, una rete meticcia dove esperienze e pratiche di lotta e di costruzione di alternative possano venire scambiate, e divenire contagio in tutto il paese.

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28 febbraio

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Marco Rovelli

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Il Manifesto

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Primo Marzo, stranieri in piazza

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26 febbraio 2010

BIG BROTHER COOP

Telecamere irregolari, intercettazioni telefoniche dei dipendenti con violazioni della sfera privata e dello statuto dei lavoratori. Insomma la Coop sei tu ma come la mettiamo se ti spia?

L'INCHIESTA SU COOP LOMBARDIA
di RAINEWS24 a cura di Maurizio Torrealta

22 febbraio 2010

ARMANDO VANNI NOMINATO PRESIDENTE DELLA BTP DOPO LE DIMISSIONI DI FUSI



ARMANDO VANNI
già Presidente del Consorzio Etruria e successivamente Presidente del comitato di gestione di Unicoop Firenze



Il cda della Baldassini Tognozzi e Pontello ha nominato un nuovo presidente della Btp, dopo aver preso atto delle dimissioni di Riccardo Fusi tra gli indagati per l'inchiesta sulle grandi opere.

Fusi si era dimesso ieri. Sempre ieri il cda della Btp, si legge in una nota, ''ha cooptato con voto unanime Armando Vanni, e sempre all'unanimita', lo ha nominato presidente e consigliere delegato di Baldassini Tognozzi e Pontello''. 19 febbraio 2010

Le dimissioni di Fusi

19 febbraio 2010

La Nazione


BTP e Consorzio Etruria, la strana alleanza

Vanni lascia Unicoop Firenze

Armando Vanni Presidente Unicoop Gestione

20 febbraio 2010

UNICOOP TIRRENO: CALA IL FATTURATO, MA L'AZIENDA TIENE


La cooperativa prevede una progressiva diminuzione delle perdite e conta di arrivare ad un pareggio di bilancio nel 2012


Sono gli Ipermercati a far registrare la flessione più marcata nel fatturato

La crisi delle famiglie si è fatta sentire soprattutto nel canale degli ipermercati. Lo rivela il bilancio preventivo di Unicoop Tirreno presentato oggi a Livorno, città dove la cooperativa attiva in Toscana, Lazio, Umbria e Campania, conta 83 mila soci, e che dimostra come l'azienda nel complesso abbia retto al calo di fatturato.

"Se il 2008 ha visto l'azienda impegnata a difendere il valore del proprio patrimonio finanziario - si legge nella relazione di sintesi di Unicoop - il 2009 è stato l'anno dell'inversione di tendenza. Le perdite sono state ridotte, gli Incoop hanno ottenuto risultati di bilancio positivi, mentre solo il canale Iper ha registrato perdite (-15 milioni di euro). Il percorso di risanamento prevede un'ulteriore diminuzione delle perdite nel 2010, per arrivare al pareggio nel 2011 e un leggero utile nel 2012".

In Toscana Unicoop Tirreno mantiene il maggiore radicamento con oltre il 45% delle vendite, seguita dal Lazio di poco superiore al 39%, poi la Campania con il 13% e l'Umbria con appena l'1,31% per un fatturato complessivo previsto nel 2010 di 1.256.126.500 euro. Per migliorare la sua performance complessiva, Unicoop Tirreno nel 2010 prevede un ulteriore rafforzamento dei risultati positivi nel canale Incoop, un milgioramento dei supermercati e un'ulteriore significativa riduzione delle perdite negli Ipermercati, che anche per l'anno in corso sono la voce più negativa, attraverso interventi mirati sull'organizzazione e la gestione.

"In generale - conclude la nota di sintesi del bilancio - Coop punta a migliorare i risultati economici mantenendo un forte impegno sulla convenienza e la qualità, a cominciare dai prodotti a marchio Coop. Grande attenzione sarà inoltre rivolta al miglioramento dell'efficienza e della logistica, con una conseguente riduzione dei costi"

19 febbraio 2010

ANSA
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18 febbraio 2010

UNICOOP TIRRENO: TRIBUNALE DI ROMA DICHIARATA LA NULLITA' DEI TERMINI APPOSTI AI CONTRATTI STIPULATI AD UNA DIPENDENTE


Precariato e sentenze:

Una lavoratrice di Unicoop Tirreno con contratto a termine vede riconosciuto il diritto ad un contratto a tempo indeterminato


Dove non è riuscito il buon senso ha posto rimedio il Tribunale del Lavoro di Roma, riconsegnando ad ALESSIA la dignità di Lavoratrice. Il Giudice, Dott. Anna Baroncini, ha dichiarato la nullità dei termini apposti ai contratti a termine stipulati, a partire dal secondo, con effetti decorrenti dal 16/02/2004 e la costituzione tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere da tale data e ha condannato Unicoop Tirreno a riattivare il rapporto di lavoro e a pagare alla ricorrente le retribuzioni maturate dalla scadenza dell'ultimo contratto, 29 maggio 2007, oltre interessi e rivalutazioni, ed al pagamento dei relativi contributi previdenziali e assistenziali.

La precarietà del lavoro è invisa dal nostro ordinamento nazionale in quanto non garantisce al lavoratore la retribuzione minima sufficiente alla sopravvivenza. Inoltre, non garantisce al lavoratore la possibilità di vivere in maniera libera e dignitosa visto l’assoggettamento, l’insicurezza e l’incertezza che provoca la precarietà. La nostra normativa costituzionale (art. 2 e ss., art. 35 e ss., Cost.) è esplicita in tal senso.

La precarietà è contraria anche alla normativa comunitaria la quale considera i contratti stabili come unica forma di rapporto di lavoro che garantiscono anche la qualità della vita dei lavoratori e che ne migliorano il rendimento (Direttiva Comunitaria n. 70 del 28.6.1999; Accordo Quadro del 18.3.1999).

In base a tutto questo, il contratto di lavoro subordinato, per sua natura, non è a termine.

Un grazie enorme ad Alessia, che nonostante i difficili momenti ormai alle spalle, non ha mai mollato ed ha affrontato le difficoltà con grande dignità, un esempio per tutti noi !!!

Le condizioni di lavoro sempre più gravose, i disagi causati dall’azzeramento dei tempi di vita, l’uso sproporzionato del lavoro a termine e del part- time, che i lavoratori COOP devono subire, sono oramai inaccettabili.

Basta con l’ipocrisia, Basta con i diritti negati. vogliamo democrazia, lavoro stabile, vogliamo che i principi di condotta, presenti nello statuto della coop, siano pienamente e realmente messi in atto.

La RdB ringrazia tutte le Lavoratrici, i Lavoratori, le Delegate ed i Delegati che la sostengono per continuare sulla strada dei diritti e della dignità dei Lavoratori sempre più calpestati in nome del profitto.

9 febbraio 2010

RdB CUB


LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DEL LAVORO DI ROMA

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17 febbraio 2010

COOP LOMBARDIA: ILLEGALI LE SPIATE. ARRIVA IL PRIMO INDAGATO



La Coop ti spia, la Coop sei tu.
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Telecamere irregolari, zoomate non autorizzate sui dipendenti e violazioni della privacy e, soprattutto, dello statuto dei lavoratori

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Dopo l’inchiesta di Libero di metà gennaio sulle intercettazioni telefoniche dei dipendenti delle Coop in Lombardia, che venivano spiati anche con telecamere nascoste, gli ispettori del lavoro hanno scoperto numerose irregolarità nei punti vendita. Anzi, non uno di quelli verificati è risultato in regola.
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Così il consigliere di Coop lombardia, Angelo Gerli, è finito denunciato al sostituto procuratore Francesca Celle per violazione dell’articolo 4 dello statuto dei Lavoratori e per una serie di presunte violazioni della legge della privacy. Su quest’ultimo aspetto anche il garante della Privacy ha delegato gli ispettori del lavoro e i carabinieri del nucleo dell’Arma che lavora all’ispettorato di compiere ancora degli accertamenti.
La direzione regionale del lavoro in parallelo ha fatto compiere controlli in decine di punti vendita delle coop. Sono stati sentiti dirigenti, impiegati e commessi delle coop.
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Quattro ispezioni quattro irregolarità
Per quanto riguarda Milano e provincia sono stati verificati quattro supermercati. In nessuno di questi, a quanto si apprende, sarebbero stati rispettati i principi generali fissati per l’utilizzo delle telecamere.
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Nella documentazione gli accenni, generici, alla regolamentazione si fermavano infatti al 2006. Così è partita una prima informativa all’autorità giudiziaria. Nel contempo la procura di Milano ha chiesto a Libero copia di tutti gli articoli usciti finora per avere un quadro completo di quanto da noi ricostruito.
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Ovvero di attività di spionaggio nei supermercati coop e negli uffici della sede generale di CoopLombardia a danno dei dipendenti. Sia con telecamere nascoste, come accaduto nel 2008/2009 per una impiegata nel cui ufficio erano state piazzate addirittura due telecamere, sia intercettando le telefonate dei centralini, come accaduto a Vigevano e come ha confessato sulle nostre colonne l’imprenditore che notte tempo collocò la centralina abusiva d’ascolto.
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Chi ha ordinato questa attività? Chi l’ha organizzata? Per quale fine?
Dai racconti di numerosi testimoni era emerso che nel 2009 persino Pierluigi Bersani era intervenuto su alti dirigenti coop per bloccare questo tipo di iniziative dopo aver incontrato almeno tre volte degli imprenditori che seguivano la sicurezza nei supermercati. Ora è il momento della chiarezza.
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Dall’ispettorato del lavoro viene l’appello che qualunque dipendente coop sia stato vittima di intercettazioni o sappia qualcosa prenda contatto con gli uffici della “vigilanza tecnica”della direzione provinciale di Milano (via Mauro Macchi 7). L’avvocato Giuliano Pisapia ha presentato una querela contro Libero da parte di coop Lombardia. Non è certo una mossa che ci intimidisce né sposta l’attenzione di chi indaga, ma sarà occasione per la massima chiarezza.
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Chi commissionava le intercettazioni
Sarà interessante un domani in aula risentire tutte le registrazioni abusive eseguite dagli imprenditori pronti a raccontare in Tribunale da chi venivano commissionati questi lavori. Sarà interessante capire dalla viva voce di parlamentari e politici del Pd perché erano stati coinvolti per “sistemare” questa vicenda.
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Né si può dimenticare che le prime risultanze investigative sembrano confermare quanto scritto dal nostro quotidiano. Con siparietti assai indicativi. Quando, ad esempio, sono usciti i primi articoli, mentre in Coop Lombardia si susseguivano le riunioni per individuare la risposta da dare, nelle stesse ore gli ispettori del lavoro si aggiravano negli ipermercati a caccia di telecamere segrete, muovevano i primi rilievi.
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Ed è illuminante rileggere oggi il comunicato diffuso da Coop Lombardia il 13 gennaio, dopo il primo articolo. Un paio i punti cruciali: «Coop lombardia contesta fermamente per quanto le riguarda il contenuto di tali articoli, esclude di aver mai commissionato quelle attività».
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Ancora: «ha già disposizioni affinché siano fatti tutti i necessari accertamenti di cui informerà immediatamente l’autorità giudiziaria qualora emergessero da parte di terzi condotte penalmente rilevanti». Invece a denunciare in procura irregolarità, negate forse con troppa fretta e platealmente da coop, sono stati gli ispettori del lavoro. Gli 007 del lavoro e i carabinieri hanno persino identificato e denunciato il dirigente che dovrebbe controllare l’applicazione dello statuto dei lavoratori, frutto di tante battaglie che nessuno in coop dovrebbe ignorare.
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17 Febbraio 2010
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Gianluigi Nuzzi
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Libero
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16 febbraio 2010

APPALTI, SPUNTA LA "CRICCA DI VELTRONI"

Scandalo Protezione Civile:
Da Castello fino alla Maddalena
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Dalle intercettazioni sulle utenze di alcuni indagati, emerge uno spaccato di giochi di potere e colpi bassi interno al Pd.

L'area di Castello (Firenze)

Sta uscendo di tutto da Firenze ma le intercettazioni su esponenti del centrosinistra, quelle no, fino a ieri non riuscivano a vedere la luce. A fatica le abbiamo scovate e dopo la «cricca» della Protezione civile, abbiamo scovato una «cricca di Veltroni».

L’espressione utilizzata dal gip per l’affaire Bertolaso («cricca» appunto) per descrivere le presunte malefatte dei protagonisti di quel «sistema gelatinoso» che tutto avrebbe corrotto e inquinato, si rifà a una serie di intercettazioni sbobinate proprio all’inizio della mastodontica inchiesta che, almeno ai suoi esordi, sembrava dovesse portare al cuore del centrosinistra toscano e nazionale.

Di «cricca» si parla ripetutamente nell’informativa del Ros del 13 gennaio 2008 che prende di mira la gara d’appalto per la realizzazione dell’Auditorium di Firenze che ad ottobre del 2007 viene inserito nel pacchetto delle opere da realizzarsi in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. «Facendo così avviare - premette il Ros - la procedura d’appalto attraverso cui si sceglierà in un sol colpo il progettista che firmerà l’intervento e l’azienda costruttrice che dovrà realizzarlo».

Dalle intercettazioni sulle utenze di alcuni indagati, in contatto con architetti, imprenditori, progettisti, componenti della commissione d’appalto, politici tipo Gianni Biagi, già assessore all’urbanistica, emerge uno spaccato di giochi di potere e colpi bassi interno al Pd. La sera del 21 dicembre, ad esempio, Vincenzo Di Nardo (personaggio cardine dell’inchiesta Bertolaso) e Stefano Tossani della coop Unica «si scambiano battute circa le partecipanti alla gara.

In particolare - continua l’informativa - Di Nardo riporta delle considerazioni asseritamente apprese da Fabrizio Bartaloni riferite a un presunto scontro fra Consorte Giovanni, a cui è riferita la coop Cesi, e Campaini della Unincoop di Firenze: “Ciao Stefano, scusami, ti volevo dire... eh ho visto Fabrizio, com’è là? Cioè... lui dice... attacca per forza l’Etruria (il Consorzio Etruria, ndr) perché la Cesi è la cooperativa di Consorte (...). Bisogna attaccare perché è una resa dei conti fra Consorte e Campaini”».

Di Nardo si dà un gran da fare con la sua Bpt. Cerca appoggi a Firenze, e soprattutto a Roma attraverso un altro protagonista dell’inchiesta-madre, Piscicelli. Sollecita interventi ma vuole restare nell’ombra. È preoccupato per l’appalto. Alla vigilia di Natale viene rassicurato sul progetto e sulla posizione che terrà il Comune di Firenze, tanto che chiama l’assessore Gianni Biagi per raccomandargli allusivamente il suo progetto. «Buon Natale, ciao caro, e che Gesù Bambino ti illumini... ». Di lì a poco Biagi finirà intercettato mentre parla al telefono di Talocchini (componente della commissione d’appalto) insieme all’ingegnere Angelo Balducci, in quel momento ancora sconosciuto all’opinione pubblica.

Quando si è ormai prossimi all’apertura delle offerte economiche, Di Nardo ottiene rassicurazioni dall’assessore Biagi: «Il progetto è buono, è fra i migliori tre». Non è il migliore. Di Nardo perde Firenze e perde pure Venezia. È un attimo. Sbotta al cellulare: «Questo è un appalto banditesco... a Venezia è stato uguale, lo stesso film. Punto e basta... c’è un sottobosco romano che è fatto di gente che bazzica i ministeri (...). Qualcosa non torna! Perché quando uno si dà 55 a uno e 28 a noi, non torna nulla (...). Questa è scuola romana, ’sti romani vanno forte... Quello che decideva il bando è Balducci, che è l’ex provveditore alle opere pubbliche di Roma, l’uomo di Rutelli al ministero».

Pure l’architetto Casamonti, autore del progetto arrivato secondo, parlando con Di Nardo «esterna anch’egli il sospetto che a monte - annota il Ros - negli ambienti romani, fossero maturati accordi per orientare l’aggiudicazione». Testuale dalla voce di Di Nardo: «Io so com’è andata, sono stati tutti pilotati». Casamonti rilancia: «Eh certo! È Veltroni, quell’architetto è di Veltroni, Desideri, l’impresa è di Veltroni e il sindaco Domenici ha preso gli ordini da Veltroni, è una vergogna, ma che ci vuoi fare?». (...) Di Nardo: «L’errore è stato pensare alla città di Firenze, non a Roma e ai corrotti». (...) S’intromette Casamonti: «... E questi della commissione erano imbarazzati, non sapevano come fare. Veltroni ha chiamato Domenici, Domenici Biagi e Biagi (...) e poi hanno avuto il massimo dei voti su tutto! Ma dài!». Di Nardo è un fiume in piena, lancia accuse pesanti - ovviamente tutte da verificare - che il Ros trascrive parola dopo parola: «Senti Marco (Casamonti, ndr). Primo, sono dei banditi. Secondo, sono più bravi. Perché vedi, io ho scelto Arata Isozaki (fra i più celebrati architetti mondiali, ndr) e loro hanno scelto l’architetto di Veltroni, e questa è un’altra cosa. Che cazzo vuol dire Isozaki? Nulla in questo mondo qui... ». Non si dà pace, Di Nardo. Con chiunque parli ripete sempre il medesimo ritornello aggiungendo, ogni volta, particolari agghiaccianti. I carabinieri lo intercettano anche mentre si confida segretamente con un’amica: «Sai... abbiamo consumato questa grande opportunità di fare un teatro comunale a Firenze... ma l’ha gestita tutta la cricca di Veltroni... la banda di romani (...). Sono preoccupato per l’era Veltroni. Hanno preso Firenze, Venezia, il palazzo del cinema... ».

16 febbraio 2010

Gian Marco Chiocci

Il Giornale.it

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Cioni, Biagi e ligresti indagati per corruzione

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ECCO COME IL MONTEPASCHI SI RITROVA AL CENTRO DEI GIOCHI

Il Monte dei Paschi di Siena, a 538 anni dalla fondazione riconquista la centralità nel sistema nazionale.


Sistema del credito, della finanza e dei grandi poteri: il suo presidente, Giuseppe Mussari, potrebbe assumere a luglio la presidenza dell’Abi, apprezzato da tanto da Geronzi e Profumo, quanto da Guzzetti e Bazoli. Prima, ad aprile, il diritto di voto sull’1,2% del capitale avrà il suo peso nel rinnovo del vertice di Generali. Mentre entrambi i suoi importanti azionisti privati, Axa e Francesco Gaetano Caltagirone, pur attraverso strade diverse, promettono di essere tra i protagonisti della scena finanziaria nei prossimi anni. Infine è proprio tra i suoi manager che Intesa ha pescato per affidare a Marco Morelli la guida della rete delle sue filiali.

Tutta un’altra realtà rispetto a come stava andando la storia in questo ultimo decennio: dal progetto di fusione con Bnl, fallito nel 2001, il Montepaschi era uscito finanziariamente ridimensionato; e pure in confusione nei delicati equilibri che da sempre governano una banca in simbiosi con la politica cittadina e con quella romana.
Non si svela un segreto se si ricordano due questioni: la prima è che la Fondazione Mps, che controlla la maggioranza del capitale, è governata dagli enti locali. La seconda è che questi ultimi sono guidati da inscalzabili maggioranze Pd (e prima Ds, Pds, Pci).

Ebbene, archiviata la partita Bnl, Mps si era trovata nel caos delle baruffe cittadine, nonché impantanata in un asse finanziario fatto di relazioni troppo pericolose. Come quelle con la Unipol di Giovanni Consorte a Bologna e con la Hopa di Chicco Gnutti a Brescia. Così, al momento delle grandi aggregazioni bancarie (Intesa-San Paolo e Unicredit-Capitalia) era rimasta esclusa, pur avendo cercato di giocare sia con Intesa, sia con Capitalia. Poi, due anni fa, la mossa dell’acquisto di Antonveneta.

Un’operazione che Mps paga a caro prezzo: 9 miliardi per mille sportelli, che hanno costretto i soci prima a un aumento di capitale da 4,9 miliardi, poi - dopo gli effetti della crisi finanziaria - anche all’emissione di bond di Stato per altri 1,9 miliardi.
Eppure è proprio Antonveneta che ha permesso a Mps la crescita dimensionale che mancava. E che ha consentito a Mussari (arrivato al vertice della Banca nel 2006) di giocarsi tutte le sue carte.

A cominciare da quella politica, perché se oggi si assiste a un film diverso dal precedente, è grazie alla lucidità con cui Mussari ha saputo rinnovare il sistema di «vicinanze» di riferimento. Il crollo del sistema-Veltroni, a cui Mussari era stato vicino, avrebbe potuto travolgerlo. Invece, forse anche perché la rete dei rapporti d’affari dell’ex capo del Pd era più amministrativa che relazionale, il presidente di Mps ha avuto buon gioco a smarcarsi per tempo. E a riposizionarsi in due direzioni: da un lato ha cercato e trovato in Cesare Geronzi l’appoggio di Mediobanca nell’operazione Antonveneta.

Allargando poi la relazione Milano-Siena anche su altri fronti (per esempio, la Fondazione Mps è entrata nel capitale di Piazzetta Cuccia); dall’altro, una volta che il potere veltroniano si è del tutto dissolto (l’ultimo tassello è stata l’esclusione dell’amico Mauro Agostini dalle primarie umbre), ha saputo legare un nuovo filo con Pierluigi Bersani. O con Massimo D’Alema, se si vuole, anche grazie all’avvicinamento effettuato in questa stessa direzione da Enrico Letta, a suo tempo grande elettore di Gabriello Mancini, il presidente della Fondazione che ha preso il posto di Mussari nel 2006.

Un intreccio di relazioni che Mussari realizza soprattutto grazie al rapporto costruito nel tempo con Caltagirone (vicepresidente e azionista al 4,7% nel Monte). Rapporto che di certo gli ha facilitato sia il percorso verso Geronzi, sia il riposizionamento del dopo-Veltroni. Soprattutto a Roma.

16 febbraio 2010

Il Giornale.it

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14 febbraio 2010

UNICOOP: DOMENICHE LAVORATIVE "NON ETICHE", MA SOLO SE TORNANO I CONTI


Unicoop Firenze spiega in una lettera ai dipendenti la contraddittoria posizione sulle ulteriori aperture domenicali in cui si confondono posizioni di principio con il businnes aziendale




Con l'ultima busta paga, tutti i dipendenti di Unicoop Firenze hanno ricevuto una lettera (non firmata da nessuno, cosa alquanto singolare) dal titolo "Altre domeniche? No, grazie".
Il documento, rivolgendosi con un "Cari colleghi, pensando di varvi cosa gradita", illustra "la posizione di Unicoop Firenze sulle aperture festive degli esercizi commerciali".

I referenti di questo mini testo ideologico sulla (non) opportunità di nuove aperture domenicali, non sono solo i dipendenti di Unicoop.
Con ogni evidenza si lancia una serie di messaggi e si attua una moral suasion anche su altri soggetti:

- le istituzioni locali (che devono regolamentare sulle aperture in deroga), con precisi dettami: "Le istituzioni - scrive Campaini - hanno una grande responsabilità, devono prendere le loro decisioni nell'interesse generale e spingere (si faccia caso al verbo - nota Blog) gli operatori a riflettere sulle loro scelte. Non è pensabile che le esigenze di due outlet condizionino gli abitanti di un'intera regione";

- la Chiesa Cattolica (si veda come Campaini avesse preparato il terreno precedentemente);

- i sindacati (ricordiamoci che siamo in fase di rinnovo del contratto integrativo aziendale e questa faccenda dell'eventuale stop alle domeniche lavorative, potrebbe essere usata come merce di scambio, per esempio proprio per calmierare il costo dello straordinario festivo);

- i soci, quando si dice che "il costo del servizio erogato (domenicale - nota blog) alla fine aumenta e poi chi paga è il consumatore".

Ma questa ultima frase fa intuire che, per l'azienda, il costo del lavoro festivo domenicale (straordinari) dovrebbe essere più contenuto. Possiamo ipotizzare, ad esempio, un accordo nella trattativa sul CIA del tipo: l'azienda non chiede ai dipendenti altre domeniche lavorative, ma in cambio vuole pagare meno le prestazioni straordinarie festive.

In ogni caso, quello che colpisce in primo luogo, è la concezione interessata dell'etica di Unicoop, laddove Campaini sostiene che "non è socialmente accettabile continuare a lanciare messaggi secondo cui l'attività più ludica e educativa sia proprio quella dello shopping", ma la sua vocazione di moralizzatore viene contraddetta in modo inequivocabile poche righe dopo, quando il nostro Presidente sostiene "che se venisse presa una decisione generale che va nel senso opposto a quello auspicato da Unicoop Firenze (leggi nuove deroghe ad aperture domenicali - nota blog), ci sarebbero purtroppo delle conseguenze. Noi non vogliamo vantaggi competitivi, ma non li possiamo concedere ad altri e non potremmo far altro che adeguarci alle scelte".

Insomma, per Unicoop Firenze si può lanciare un messaggio pedagocico, socialmente corretto, con forti valori etici ed educativi solo se il portafoglio non viene sfiorato. Il business innanzi tutto, quindi i principi etici, che per natura sono disinteressati, vanno in cavalleria.
E' veramente una strana concezione dell'etica, questa in Unicoop, dove si converge su dei Principi, solo se è conveniente.

Noi invece, ci permettiamo di suggerire ad Unicoop Firenze una scelta davvero etica e radicale:
Se siete convinti che ulteriori aperture domenicali siano moralmente sbagliate e diseducative, andate fino in fondo nelle vostre convinzioni, incuranti delle posizioni contrarie: no ad ulteriori aperture domenicali, senza se e senza ma.



LAVORATORI UNICOOP BLOG




I COMMENTI DEI LETTORI

Bufera nei piccoli comuni si potrebbero sfiorare cinquanta aperture in deroga

Domenica da santificare? E' guerra sullo shopping


Unicoop: "Stop a shopping festivo". Ma il presidente dell'Aduc è contrario

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12 febbraio 2010

"ORA BOICOTTIAMO LA COOP" I CONSUMATORI IN RIVOLTA: NO MACELLAZIONE ISLAMICA


I timori della clientela per la carne
halal prodotta rispettando i dettami del Corano: "Animali torturati. E chi garantisce l’igiene?"


Dubbi sulle strutture che svolgono l'attività e sui religiosi che la supervisionano

«Difficilmente metterò piede in una Coop e spero che siano in tanti a farlo. Ci stiamo muovendo perché questo accada». Al Giornale parla Carla Rocchi, presidente dell’Enpa, l’Ente nazionale protezione animali, che da giorni registra un numero crescente di telefonate in cui si chiede un chiarimento sui servizi offerti dallo sportello «islamico», da poco inaugurato nell’ipermercato Coop di Roma Casilina.

Il boicottaggio è annunciato. «Riceviamo dalle 40 alle 50 telefonate al giorno – spiega Carla Rocchi – non soltanto di soci, ma anche di persone comuni che vogliono sapere cosa s’intende per macellazione rituale in Italia, tanto più perché non c’è garanzia che la normativa, sia pure scarsa, sia rispettata dagli sportelli Coop».

Nel grande centro commerciale alla periferia Sud di Roma viene infatti venduta carne macellata secondo i dettami del Corano, cioè attraverso una morte che dovrebbe essere cosciente, per dissanguamento, provocata dal taglio netto della giugulare. Ma sarà verò? La legge non è chiarissima e la macellazione halal in Italia è frutto più che altro di intese locali in cui si cerca, per così dire, di limitare il danno dell’animale.

A fronte delle proteste o delle più semplici richieste di chiarimento giunte attraverso un tam tam in rete, seguito all’apertura dello sportello Coop, l’azienda ha spiegato in due tempi che la preoccupazione di limitare le sofferenze degli animali «in fase di macellazione» è anche la sua. Ma è proprio la procedura che assicura la certificazione religiosa. Dunque l’imam, che secondo la Coop «ha dichiarato conforme al rito islamico lo stordimento preventivo».

Tra le questioni che fanno della macellazione rituale un nodo ancora irrisolto c’è proprio la legittimità delle strutture in cui essa avviene e, soprattutto, le qualifiche religiose che vengono attribuite in questi casi. Se in alcune città si autorizzano presidi delle Asl che verificano le condizioni igienico-sanitarie delle aree utili, come è successo a Reggio Emilia in occasione della festa del sacrificio di Abramo nel novembre scorso - 566 animali macellati con rito islamico nelle quattro strutture autorizzate dalla Provincia -, in altre si firmano protocolli d’intesa tra associazioni islamiche e istituzioni.

È il caso della Provincia di Arezzo, dove la Questura si è impegnata a vigilare sulle attività di macellazione nei periodi di festa e dove le Asl mettono a disposizione una dozzina di veterinari; medici che preparano gli imam a supervisionare la macellazione. Spesso, però, non si tratta di autorità islamiche riconosciute – come avviene invece per la macellazione con rito ebraico, dove è una Commissione rabbinica a delegare il personale che certificherà la carne macellata come kasher –, bensì di religiosi che partecipano alle attività di associazioni fra loro diverse, e dove emergono sensibilità distinte. È infatti un musulmano dell’associazione Vegan, Rafeeque Ahmed, a scrivere che «qualsiasi crudeltà verso gli animali è vietata nell’islam». Dunque perché non dovrebbe essere ascoltata anche la sua voce?

Secondo molti lettori del Giornale che sul caso Coop hanno inviato decine di lettere, «stiamo dimenticando tutto il progresso che abbiamo fatto negli anni per cercare di non far soffrire i più deboli», scrive Elia Dallabrida. Non si tratta di avere pregiudizi verso i musulmani, che legittimamente acquistano carne halal, ma di affermare in due parole «che stiamo regredendo», come scrivono molti lettori e come sottolinea il presidente dell’Enpa.

C’è poi chi si chiede, altrettanto legittimamente, se la Coop non stia promuovendo «una forma di tortura», come fa Giacomo Rizzo sul suo blog; un socio della catena di supermercati che non ha ancora deciso se aderire al boicottaggio che unirà trasversalmente associazioni animaliste e cittadini, come ha annuncia Carla Rocchi al Giornale.

La Coop, per ora, si difende dicendo «che non siamo stati certo i primi a farlo», e al Giornale chiarisce che «l’operazione viene comunque supervisionata dal servizio veterinario».

12 febbraio 2010

Francesco De Remigis

Il Giornale.it

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08 febbraio 2010

L'AQUILA, INCHIESTA IPERCOOP: PM CHIEDE IL RINVIO A GIUDIZIO



A processo due dirigenti comunali e uno provinciale





L'eterno duello fra la Coop e La Margherita, le due grandi catene intenzionate ad aprire a L'Aquila altrettanti ipermercati, finisce in tribunale.

Tutto partì da una denuncia della Margherita spa, assistita dall'avvocato Fausto Corti, che riteneva che il Comune avesse favorito la pratica per l'insediamento della Coop, che avrebbe dovuto realizzare un iper in località Sant'Antonio, rallentando – di contro – il proprio iter burocratico.

Il pubblico ministero, a seguito dell'attività d'indagine portata avanti dal Gruppo investigativo sulla criminalità organizzata della Guardia di Finanza, ha ritenuto valide le argomentazioni della Margherita e ha ora chiesto il rinvio a giudizio per due dirigenti comunali, Lucio Nardis, ancora oggi responsabile dello Sportello Unico per le Attività Produttive – per intenderci, quella struttura alla quale chiunque voglia intraprendere una attività economica deve rivolgersi – e Renato Amorosi, dirigente del Servizio Pianificazione del settore Territorio, e per l'allora direttore generale del Comune Franco Bonanni, oggi dirigente del settore Urbanistica della Provincia. Sono loro che a suo tempo, nei diversi ruoli, si occuparono della vicenda.

Nardis è accusato di aver convocato conferenze di servizi per valutare il solo progetto della Coop senza prendere in considerazione quello della Margherita.Il suo collega Amorosi non avrebbe rilevato come la variante urbanistica non fosse applicabile per la realizzazione di un immobile destinato a sede di grande istribuzione, dal momento che l'area interessata non aveva destinazione commerciale.

Bonanni, avvantaggiando la tempistica della pratica Coop, le avrebbe procurato vantaggio economico e nello stesso tempo un danno alla società rivale.

L'8 marzo ci sarà l'udienza preliminare.


8 febbraio 2010

Abruzzo 24 ore

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06 febbraio 2010

MUSSARI (MPS) VERSO LA PRESIDENZA DELL'ABI CON L'APPOGGIO DELLE GRANDI BANCHE



Una saldatura tra le tre prime banche italiane lancia Giuseppe Mussari come il più accreditato candidato alla presidenza dell' Abi



La corsa per rappresentare il mondo creditizio deve ancora partire ufficialmente, entro un mese dovrebbero essere designati i saggi e individuare uno o più pretendenti.

L' elezione vera e propria ci sarà solo a luglio, ma a mettere già il presidente del Monte Paschi di Siena in vista del traguardo è l' accordo sul suo nome raggiunto da Giovanni Bazoli e Alessandro Profumo. Intesa Sanpaolo e Unicredit, sommati alla banca senese, rappresentano più del 40% dell' intera attività nazionale, difficile che un tale blocco possa essere messo in minoranza. I grandi banchieri hanno trovato un' intesa di massima sull' avvocato già presente nel comitato esecutivo dell' Abi. Come dimostra il recente acquisto da parte Intesa Sanpaolo di 50 sportelli Mps, i rapporti con Ca' de Sass sono ottimi, ma Mussari ha convinto lo stesso Profumo.

Finora solo l' azionista principale, la Fondazione Monte Paschi di Siena si è espressa apertamente in suo favore attraverso il presidente Gabriello Mancini. In ambienti bancari si sottolinea come già la composizione del collegio dei saggi potrebbe dare un indicazione della volontà dei grandi gruppi. La "piattaforma" dietro alla candidatura di Mussari si concentra sulla volontà di rinnovare l' associazione, a cominciare dall' evidente cambio generazionale che provocherebbe l' arrivo del cinquantenne Mussari in sostituzione dell' attuale presidente Corrado Faissola, molto apprezzato per il suo ruolo, ma già 75enne.

Il presidente di Mps viene considerato come l' uomo giusto per far recuperare un po' di reputazione al mondo bancario, spesso criticato non solo dalle associazioni dei consumatori, ma dallo stesso governatore della Banca d' Italia, Mario Draghi e dall' autorità Antitrust per la scarsa concorrenza e per il mantenimento di una struttura di commissioni non in linea con il resto d' Europa.

Unicredit si astenne nel 2006 al momento delle prima elezione di Faissola, proprio chiedendo una scelta di maggior "rottura", ma quegli screzi erano stati ricomposti nel 2008 quando il presidente del consiglio di sorveglianza di Ubi Banca era stato riconfermato all' unanimità. Faissola per statuto potrebbe essere riconfermato altre due volte (quindi quattro anni) non può considerarsi completamente fuori gioco. A suo favore giocano sicuramente l' esser riuscito a ricucire il rapporto con il ministro dell' Economia Giulio Tremonti: sotto la sua presidenza si è passati dalla Robin Hood Tax (un aggravio dell' aliquota Ires per gli istituti di credito) del 2008 alle iniziative concordati e apprezzate dal governo: la moratoria dei crediti per le Pmi e per le famiglie che hanno difficoltà a pagare il mutuo, fino ai fondi in collaborazione con la Cassa depositi e prestiti per la ricostruzione in Abruzzo e per la costituzione di fondi a capitale pubblico privato che finanzino i progetti infrastrutturali.

Inoltre Faissola è esponente della più grande banca popolare italiana, cioè dell' altra grande "faccia" del mondo bancario, la vera incognita della candidatura di Mussari sarà quella di far accettare il cambiamento senza provocare spaccatura tra gli istituti.

5 febbraio 2010

Luca Iezzi

La Repubblica

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Intanto Roma torna centrale nello strategie di MPS

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05 febbraio 2010

MAX FACCI SOGNARE


Il processo Unipol-BNL in cui Consorte ha citato come testimoni D'Alema, Latorre e Bersani, è stato rinviato al 18 marzo.

Peccato per gli strateghi del PD. Ancora una decina di giorni in più e si sarebbero presentati DOPO le regionali ...
(Blog)

Ormai il Pd fa autocritica le rare volte che ne azzecca una e non la fa quando dovrebbe. Anna Finocchiaro aveva indovinato una battuta: quando Berlusconi ha detto "meno immigrati, meno crimini", gli aveva risposto "meno premier, meno crimini". Ma ha subito fatto marcia indietro: "È stata una battuta infelice e me ne scuso". In compenso Massimo D'Alema, reduce dai trionfi pugliesi, è stato premiato con la presidenza del Copasir: e non solo dai membri del Pdl (il che è comprensibile, con tutto quel che ha fatto per loro), ma anche da quelli del Pd. Come ha detto Umberto Eco, "non ne indovina una da quando non finì il corso di laurea alla Normale". Eppure l'Attila del Tavoliere passa sempre per molto intelligente e seguita a fare carriera sui suoi fiaschi.

Ora, per esempio, con l'avvio del processo a Giovanni Consorte per aggiotaggio, riciccia fuori il caso della scalata Unipol alla Bnl: Consorte ha citato come testimoni D'Alema, Latorre e Bersani. I primi due, per i magistrati milanesi, avrebbero dovuto essere indagati per concorso nell'aggiotaggio di Consorte, ma si salvarono grazie al niet del Senato e del Parlamento europeo alla richiesta di autorizzazione all'uso delle intercettazioni. Speravano così di avere sepolto per sempre lo scandalo senza mai farvi i conti, anzi ottenendo la cacciata da Milano del gip Clementina Forleo che aveva osato avanzare quella richiesta. Ora saranno costretti, pur in veste di testimoni, a dare qualche chiarimento. Consorte li chiama a "riferire sul ruolo di sostegno all'operazione Bnl di Unipol svolto nei confronti di referenti politici e organizzazioni economico-finanziarie d'interesse nazionale contrarie all'operazione e più in generale sui fatti di cui alle imputazioni".

E Bersani sui "rapporti con membri del patto di Bnl e le organizzazioni economico-finanziarie di interesse nazionale". In un'incredibile intervista al 'Corriere della Sera' (incredibile soprattutto per il silenzio che ne è seguito), Consorte sostiene che "una parte dei Ds mi mollò" e così la Margherita, i prodiani, Veltroni e Rifondazione, perché "temevano che Unipol avrebbe reso più forti Fassino e D'Alema". Unipol, con Bnl in pancia, sarebbe diventata "un braccio finanziario a sostegno del governo e mancava poco alle elezioni del 2006 vinte dal centrosinistra.
I primi ad affossare tutto sono stati proprio i potenziali beneficiari, i dirigenti del costituendo Pd".

Nessuno dei personaggi citati ha nulla da obiettare? Davvero l'"abbiamo una banca?" di Fassino e l'"evvai Gianni facci sognare!" di D'Alema preludevano a un'opa dalemiana sul nascente Pd, con l'Unipol nei panni di braccio finanziario del centrosinistra? È questa la concezione del libero mercato che avevano (e magari hanno) questi signori? E quando ne hanno informato gli elettori? Forse qualche risposta arriverà in tribunale. Ma forse è meglio trovare qualche sede alternativa e preventiva. Nel qual caso, ci facciano sapere.

4 febbraio 2010

Marco Travaglio

L'espresso
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E Cicchitto attacca D'Alema


04 febbraio 2010

STOP ALLO SHOPPING FESTIVO. ARRIVA L' ALTOLA' DELLA COOP



Turiddo Campaini: "La gente non ha disponibilità economica, le persone non potranno mai spendere quello che non hanno"



«Vi sono troppe richieste di ulteriore estensione delle aperture domenicali, e crediamo che una ventina di aperture l’anno nell’area metropolitana di Firenze siano più che sufficienti per svolgere un ruolo positivo nei confronti dei consumatori. Andare oltre questa soglia comporterebbe costi economici e sociali eccessivi di cui non c’è bisogno». Ne è convinto il presidente del consiglio di sorveglianza di Unicoop Firenze Turiddo Campaini.

«LA GENTE NON COMPRA» - Sulla questione, Unicoop Firenze vuole aprire una riflessione ampia perchè, ha sottolineato Campaini «le aperture domenicali non sono influenti dal punto di vista sociale, e occorre anche non dimenticare chi queste domeniche deve lavorare. Non possiamo però concedere vantaggi competitivi ad altri soggetti e se qualcuno aprirà lo faremo anche noi. Certo è che due outlet non possono condizionare la situazione di un’intera regione». Per Campaini «se c’è una necessità oggi, è quella di riflettere su cosa è stato fatto in passato e quali sono stati gli eccessi in termini speculativi e di consumismo indotto». Secondo Campaini «non abbiamo bisogno di altre aperture, anche perchè se la gente non ha disponibilità economica noi potremmo aprire anche 36 ore al giorno, ma le persone non potranno mai spendere quello che non hanno. Bisogna allora darsi una regolata e spero che le istituzioni ci diano una mano».

3 febbraio 2010

CORRIERE FIORENTINO.it
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Domenica da santificare? E' guerra sullo shopping

Unicoop: "Stop a shopping festivo". Ma il presidente dell'Aduc è contrario

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01 febbraio 2010

L'ASTA? MEGLIO SEGRETA. E LE COOP FANNO UN AFFARE D'ORO




L'ultimo omaggio di un Comune rosso alle coop rosse è stato concesso a cavallo dell'autostrada del Sole, sotto l'avveniristico viadotto ad arco progettato da Santiago Calatrava che scavalca l'arteria a Reggio Emilia.



Lì si trova un'area strategica per lo sviluppo della città, liberata dallo spostamento del casello, sulla cui destinazione si discute da anni. L'unica certezza è che ospiterà la nuova stazione medio padana dell'alta velocità ferroviaria; sul resto la questione è aperta. Il Comune di Reggio, guidato dal sindaco pd Graziano Delrio, la ottenne gratuitamente da Autostrade spa in cambio di una serie di altre opere. Dopo un anno l'ha messa in vendita.

Chi ha comprato quei 45mila metri quadrati? Manco a dirlo: una società immobiliare posseduta quasi completamente da Coop Nordest, una delle sorelle della grande distribuzione cooperativa con 150mila soci in provincia di Reggio Emilia. Il presidente del collegio sindacale di questa Immobiliare Nordest, il commercialista Luca Vecchi, è capogruppo del partito democratico in consiglio comunale.

Conflitto d'interessi? Il Comune prevedeva di ricavarne 7.500.000 euro, valore iscritto nel bilancio di previsione 2009. Invece ne incassa 6.630.000.
Le modalità di acquisto dell'area sono contestate dalle forze politiche di opposizione, Pdl e Lega Nord. «Le coop si sono aggiudicate i terreni senza concorrenza - dice Giacomo Giovannini, capogruppo del Carroccio -. Il bando ha avuto scarsissima pubblicità e la commissione d'asta ha concluso i lavori molto rapidamente, in semi-clandestinità. L'avviso è stato pubblicato su un solo giornale nazionale la cui tiratura è di 6.000 copie; in esso non comparivano né il valore a base d'asta né la dimensione del lotto».

I manager di Immobiliare Nord Est sono stati gli unici a fiutare l'affare, rintracciare il bando e presentare un'offerta, l'unica. «Consegnata a mano e nemmeno protocollata. Il Comune ha tenuto nascosta l'assegnazione per mesi», insiste Giovannini. E come è stato fissato il valore di partenza? «Nella perizia interna è scritto che si sarebbe tenuto conto delle compravendite in zona, ma che sarebbe stato difficile trovare raffronti adeguati».

Insomma, il Comune si teneva le mani libere. Infatti il valore fissato a base d'asta è piuttosto basso, 127 euro al metro quadrato, sul quale le coop hanno applicato un rilancio minimo. Pochi mesi prima, l'8 ottobre 2008, un'altra immobiliare legata a Immobiliare Nordest, la società Il Ponte, aveva comprato due terreni attigui all'area ex-casello per più di 200 euro al metro quadrato.

In definitiva, le coop si sono aggiudicate un'area strategica a un prezzo scontatissimo rispetto a quello di mercato (il 40 per cento in meno), addirittura inferiore di circa un milione di euro rispetto all'incasso previsto dal Comune. Le coop hanno così conquistato un potere enorme nella zona più importante per il futuro di Reggio, che l'arrivo dell'alta velocità trasformerà in una gallina dalle uova d'oro.
Lì vicino possiedono già vaste proprietà: 185mila metri quadrati di Coopsette su cui Coop Nordest vorrebbe trasferire l'ipermercato Ariosto (ampliandolo fino a 40mila metri quadrati di superficie di vendita) più l'altro lotto riconducibile a Ccpl (gruppo industriale cooperativo di Reggio).

Contrario a questa operazione c'è un fronte composito e trasversale, che va dai piccoli commercianti fino agli imprenditori reggiani Maramotti (Max Mara), disponibili a ridurre di un terzo i diritti edificatori in una loro area confinante pur di evitare la cementificazione commerciale. Protesta perfino Antonella Spaggiari, ex sindaco di sinistra: «Mai vista a Reggio una concentrazione di potere sull'edilizia e sull'urbanistica in così poche mani», ha detto la «zarina».

31 gennaio 2010

Stefano Filippi

Il Giornale.it


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