I timori della clientela per la carne halal prodotta rispettando i dettami del Corano: "Animali torturati. E chi garantisce l’igiene?"
Dubbi sulle strutture che svolgono l'attività e sui religiosi che la supervisionano
Nel grande centro commerciale alla periferia Sud di Roma viene infatti venduta carne macellata secondo i dettami del Corano, cioè attraverso una morte che dovrebbe essere cosciente, per dissanguamento, provocata dal taglio netto della giugulare. Ma sarà verò? La legge non è chiarissima e la macellazione halal in Italia è frutto più che altro di intese locali in cui si cerca, per così dire, di limitare il danno dell’animale.
A fronte delle proteste o delle più semplici richieste di chiarimento giunte attraverso un tam tam in rete, seguito all’apertura dello sportello Coop, l’azienda ha spiegato in due tempi che la preoccupazione di limitare le sofferenze degli animali «in fase di macellazione» è anche la sua. Ma è proprio la procedura che assicura la certificazione religiosa. Dunque l’imam, che secondo la Coop «ha dichiarato conforme al rito islamico lo stordimento preventivo».
Tra le questioni che fanno della macellazione rituale un nodo ancora irrisolto c’è proprio la legittimità delle strutture in cui essa avviene e, soprattutto, le qualifiche religiose che vengono attribuite in questi casi. Se in alcune città si autorizzano presidi delle Asl che verificano le condizioni igienico-sanitarie delle aree utili, come è successo a Reggio Emilia in occasione della festa del sacrificio di Abramo nel novembre scorso - 566 animali macellati con rito islamico nelle quattro strutture autorizzate dalla Provincia -, in altre si firmano protocolli d’intesa tra associazioni islamiche e istituzioni.
È il caso della Provincia di Arezzo, dove la Questura si è impegnata a vigilare sulle attività di macellazione nei periodi di festa e dove le Asl mettono a disposizione una dozzina di veterinari; medici che preparano gli imam a supervisionare la macellazione. Spesso, però, non si tratta di autorità islamiche riconosciute – come avviene invece per la macellazione con rito ebraico, dove è una Commissione rabbinica a delegare il personale che certificherà la carne macellata come kasher –, bensì di religiosi che partecipano alle attività di associazioni fra loro diverse, e dove emergono sensibilità distinte. È infatti un musulmano dell’associazione Vegan, Rafeeque Ahmed, a scrivere che «qualsiasi crudeltà verso gli animali è vietata nell’islam». Dunque perché non dovrebbe essere ascoltata anche la sua voce?
Secondo molti lettori del Giornale che sul caso Coop hanno inviato decine di lettere, «stiamo dimenticando tutto il progresso che abbiamo fatto negli anni per cercare di non far soffrire i più deboli», scrive Elia Dallabrida. Non si tratta di avere pregiudizi verso i musulmani, che legittimamente acquistano carne halal, ma di affermare in due parole «che stiamo regredendo», come scrivono molti lettori e come sottolinea il presidente dell’Enpa.
C’è poi chi si chiede, altrettanto legittimamente, se la Coop non stia promuovendo «una forma di tortura», come fa Giacomo Rizzo sul suo blog; un socio della catena di supermercati che non ha ancora deciso se aderire al boicottaggio che unirà trasversalmente associazioni animaliste e cittadini, come ha annuncia Carla Rocchi al Giornale.
La Coop, per ora, si difende dicendo «che non siamo stati certo i primi a farlo», e al Giornale chiarisce che «l’operazione viene comunque supervisionata dal servizio veterinario».
12 febbraio 2010
Francesco De Remigis
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