Camusso (Cgil): "Il governo sta cancellando la Costituzione"
Le intese sottoscritte a livello aziendale o territoriale possono derogare ai contratti ed alle leggi nazionali sul lavoro, incluso lo Statuto dei lavoratori, ed alle relative norme, comprese quelle sui licenziamenti. Tradotto in termini sostanziali, anche le aziende con più di 15 dipendenti potranno ricorrere più facilmente ai licenziamenti senza giusta causa - aggirando il divieto sancito dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori - , potendo sfruttare misure di "indennizzo" alternative al reintegro del lavoratore, se questo potere sarà dato loro da un'intesa con i sindacati maggioritari in azienda.
La "rivoluzione" è contenuta nell'emendamento di maggioranza all'articolo 8 della Manovra, approvato oggi dalla Commissione bilancio del Senato, ed ha immediatamente scatenato le proteste della Cgil e delke opposizioni.
La modifica all'articolo 8 - Il provvedimento passato in commissione stabilisce che, "fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro", le specifiche intese aziendali e territoriali "operano anche in deroga alle disposizioni di legge" ed alle "relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro". L'emendamento prevede, in aggiunta, che le intese valide saranno non solo quelle "sottoscritte a livello aziendale o territoriale da associazioni comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale" (come già prevedeva il testo della manovra), ma che anche le associazioni "territoriali" avranno la possibilità di realizzare specifiche intese "con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati" su temi come "le mansioni del lavoratore, i contratti a termine, l'orario di lavoro, le modalità di assunzione, le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro".
Le materie escluse - Restano escluse dalla contrattazione aziendale alcune materie e norme generali a tutela di diritti e interessi superiori. Così non si potranno fare accordi locali su temi quali "il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento".
Il potere dei sindacati "locali" - L'emendamento approvato prevede che anche i sindacati percentualmente più rappresentativi a livello territoriale possano sottoscrivere accordi con le aziende. la modifica all'articolo 8 del decreto stabilisce infatti che possono sottoscrivere le intese o le "associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale", ovvero le "loro rappresentanze sindacali operanti in aziende"; le intese, inoltre, come già previsto, avranno "efficacia per tutti i lavoratori, a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alla presenze sindacali".
Le reazioni. "Le modifiche della maggioranza di governo all'articolo 8 - commenta Susanna Camusso, leader della Cgil - indicano la volontà di annullare il contratto collettivo nazionale di lavoro e di cancellare lo Statuto dei lavoratori, e non solo l'articolo 18, in violazione dell'articolo 39 della Costituzione e di tutti i principi di uguaglianza sul lavoro che la Costituzione stessa richiama".
"Dicevano che non si toccava l'articolo 18, invece ora è possibile e viene scritto espressamente. Tutto questo è inaccettabile", commenta Giovanni Legnini, senatore Pd. Con il sì dei sindacati, riassume Achille Passoni, senatore Pd, si potrà anche licenziare: si apre la strada per la "possibile cancellazione in un contratto aziendale dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; una pura follia giuridica e politica". "Il diritto del lavoro, con un balzo di dubbia costituzionalità, torna indietro di almeno sessant'anni - dice Stefano Fassina, responsabile Economia del Pd - le modifiche che consentono a un sindacato senza rappresentanza nazionale di derogare alle leggi dello Stato o ai contratti nazionali sono in radicale contraddizione con l'accordo del 28 giugno raggiunto da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria".
"L'Idv - commentano Antonio Di Pietro e Maurizio Zipponi, responsabile lavoro del partito - continua a sostenere che questa norma sul lavoro non c'entra nulla con il pareggio di bilancio, in quanto non ha ritorni di tipo economico. Il fatto di averla voluta rende esplicito l'odio con cui questo governo si rivolge al mondo del lavoro pubblico e privato, mentre difende con le unghie e con i denti tutti i privilegi di chi mai ha pagato. Un ragione in più - concludono - per partecipare allo sciopero di martedì sei settembre".
4 settembre 2011
La Repubblica.it
Le materie escluse - Restano escluse dalla contrattazione aziendale alcune materie e norme generali a tutela di diritti e interessi superiori. Così non si potranno fare accordi locali su temi quali "il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento".
Il potere dei sindacati "locali" - L'emendamento approvato prevede che anche i sindacati percentualmente più rappresentativi a livello territoriale possano sottoscrivere accordi con le aziende. la modifica all'articolo 8 del decreto stabilisce infatti che possono sottoscrivere le intese o le "associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale", ovvero le "loro rappresentanze sindacali operanti in aziende"; le intese, inoltre, come già previsto, avranno "efficacia per tutti i lavoratori, a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alla presenze sindacali".
Le reazioni. "Le modifiche della maggioranza di governo all'articolo 8 - commenta Susanna Camusso, leader della Cgil - indicano la volontà di annullare il contratto collettivo nazionale di lavoro e di cancellare lo Statuto dei lavoratori, e non solo l'articolo 18, in violazione dell'articolo 39 della Costituzione e di tutti i principi di uguaglianza sul lavoro che la Costituzione stessa richiama".
"Dicevano che non si toccava l'articolo 18, invece ora è possibile e viene scritto espressamente. Tutto questo è inaccettabile", commenta Giovanni Legnini, senatore Pd. Con il sì dei sindacati, riassume Achille Passoni, senatore Pd, si potrà anche licenziare: si apre la strada per la "possibile cancellazione in un contratto aziendale dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; una pura follia giuridica e politica". "Il diritto del lavoro, con un balzo di dubbia costituzionalità, torna indietro di almeno sessant'anni - dice Stefano Fassina, responsabile Economia del Pd - le modifiche che consentono a un sindacato senza rappresentanza nazionale di derogare alle leggi dello Stato o ai contratti nazionali sono in radicale contraddizione con l'accordo del 28 giugno raggiunto da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria".
"L'Idv - commentano Antonio Di Pietro e Maurizio Zipponi, responsabile lavoro del partito - continua a sostenere che questa norma sul lavoro non c'entra nulla con il pareggio di bilancio, in quanto non ha ritorni di tipo economico. Il fatto di averla voluta rende esplicito l'odio con cui questo governo si rivolge al mondo del lavoro pubblico e privato, mentre difende con le unghie e con i denti tutti i privilegi di chi mai ha pagato. Un ragione in più - concludono - per partecipare allo sciopero di martedì sei settembre".
4 settembre 2011
La Repubblica.it
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