Ma Camusso sa bene che negli appalti della grande distribuzione non esiste solo quel caso.
Auspichiamo che non si facciano "sconti" alle grandi Coop, ma sarà chiedere un pò troppo?
Le sentenze vanno rispettate. Per garantire la legalità e il rispetto dei diritti dei lavoratori. A Melfi, di cui tanto si parla, come a Pieve Emanuele, di cui si parla molto meno». Susanna Camusso, neo segretario generale della Cgil, non transige: «Non si agisce calpestando le regole». Milanese, 55 anni, ex socialista, oggi vicina al Partito democratico, Camusso è la prima donna ad approdare, dopo cento anni, alla guida della più grande formazione sindacale italiana, cinque milioni e mezzo di iscritti. Un ruolo che, prima di Epifani e Cofferati, fu di Bruno Trentin, Luciano Lama, Giuseppe di Vittorio. Velista provetta («Mio padre portò in mare me e le mie tre sorelle, sin da piccole»), ha il compito non facile di raddrizzare una rotta. Un sindacato capace ancora di portare in piazza un milione di persone, come lo scorso 25 giugno, ma sotto attacco. E isolato. Con la Fiat che si rifiuta di far lavorare gli operai reintegrati dal giudice, con Federmeccanica a un passo dalla disdetta dell' ultimo contratto dei metalmeccanici, e con la sconfitta nel referendum sul nuovo contratto Fiat a Melfi. La incontriamo a Torino. La camminata baldanzosa, le mani nelle tasche dei pantaloni, Camusso sfoggia il look sportivo chic, la sua divisa: abbronzata, pantaloni a sigaretta, mocassini, una borsa griffata. «È un regalo di mia figlia Alice, ventenne neolaureata».
Nata sotto il segno del Leone, è pronta a contrattaccare. «Il momento non è facile, ma non esageriamo col pessimismo. Ben venga un nuovo autunno di conflitti. A patto di capire che conflitto significa riconoscere l' interlocutore, e discutere con lui, non considerarlo nemico e volerlo annientare». A Pieve Emanuele, nell'hinterland milanese, la vertenza riguarda 64 lavoratori e un sindacalista, licenziati dal Gruppo Gs-Carrefour e dalla cooperativa RM e consorzio Gemal. Reintegrati dal giudice, l'azienda nega loro il rientro al lavoro.
La Fiat ha fatto scuola?
«L'attacco è forte, ma non dobbiamo trasformare quel caso in un modello».
Come risponde a Marchionne, l'ad Fiat che vi sfida chiedendo un nuovo patto sociale?
«Siamo pronti a discutere un patto per l'industria italiana, la produttività e l'occupazione, nel quale il governo fissi priorità e convenienze. Le imprese investano risorse e i lavoratori accettino più turni di lavoro, più formazione, più qualità. Quando la Fiat, in passato, ci ha chiesto di collaborare per gli investimenti, abbiamo accettato anche 18, 19, 20 turni. Ma non possiamo accettare il divieto di sciopero. Ci rifletta la Fiat. Sbaglia quando dice che lavorerà solo con chi sta alle sue regole. Ogni luogo di lavoro deve essere un luogo in cui vigono condizioni condivise».
Però il 62 per cento dei lavoratori di Pomigliano vi ha sconfessato, non seguendo la Fiom e approvando col referendum il nuovo accordo con Fiat. E lo scorso gennaio voi non avete firmato l'accordo sulla riforma del modello contrattuale. Non vi state autoescludendo?
«Sono le imprese che decidono di non voler più discutere e fanno accordi separati. È un giochino dalla vita breve: noi restiamo convinti del valore del contratto nazionale, il solo strumento che garantisce diritti a tutti. Il nostro sistema produttivo è fatto di tantissime imprese, piccole e piccolissime, dove Confindustria, è noto, è la prima a negare la contrattazione decentrata o territoriale. Se non c'è un contratto valido per tutti, chi garantisce la retribuzione, l'inquadramento e i diritti? Chi si schiera con i lavoratori immigrati, i più deboli?».
Al governo cosa chiedete?
«Difficile anche chiedere a questo governo... Non c'è solo il problema dell'industria automobilistica, alla quale il governo offre solo incentivi. C'è la chimica, col governo incapace di far ripartire gli impianti della Vinyls di Porto Torres. Questo governo non ha alcuna idea per lo sviluppo e la politica industriale. Non si pone il problema dell'alimentazione a basso impatto ambientale, né della domanda pubblica. Si pensa solo a smantellare le regole: per la prima volta, il ministro del Lavoro, Sacconi, si è presentato non come super partes, ma come attore della divisione sindacale».
Che cosa significa essere leader di un sindacato?
«È una grande responsabilità. Ma in un organismo che conosco bene, e dove le decisioni si prendono in modo collettivo. Nell'interesse di tutti».
La sua esperienza comincia da giovanissima, negli Anni 70. Cosa è cambiato?
«Quasi tutto. Non solo per la globalizzazione, la crisi, la recessione. Allora il lavoro, la produttività, erano al centro di tutto. Oggi è il denaro a produrre altro denaro, i lavoratori sono fantasmi, le fabbriche sono scomparse dall' agenda politica e dai media. Se ne parla solo in occasione di vertenze drammatiche. E in quei rari casi, il soggetto non è più l'individuo che lavora, ma la tipologia del lavoro. I diritti sono passati alle cose, non alle persone».
In un Paese dove un giovane su quattro non ha lavoro, metà dei vostri iscritti sono pensionati.
«Vero, ma nella Filcams, i lavoratori dei servizi, l'età media è 30 anni. Il sindacato rispecchia l'età del paese. E in Italia l'età media si è impennata. Per i giovani, abbiamo un piano che prevede l'ingresso nel lavoro pubblico. Non in modo precario, ma attraverso concorsi, con la certezza di un reclutamento equo. Sanità, assistenza, istruzione: le grandi infrastrutture pubbliche dovrebbero essere valorizzate, con investimenti forti. Il governo le bistratta, le vede solo in termini di costi. Sottovalutare il lavoro pubblico è una delle straordinarie ingiustizie di questa stagione».
Tute blu, ma non solo. In Lombardia ha seguito i lavoratori del settore agroalimentare.
«Il 25 per cento del Pil lombardo viene dall'agricoltura. Moltissimi addetti sono di origine extracomunitaria, e la presenza femminile è altissima. Ho maturato una sensibilità precisa per l'ambiente e la qualità dei cibi. Una delle battaglie di quel periodo è stata per il reintegro di una lavoratrice, licenziata per avere denunciato ingredienti pericolosi».
Camusso alla Cgil, Marcegaglia in Confindustria: è il trionfo del femminismo?
«Purtroppo no. C' è ancora moltissimo da fare, per le donne. E non è questione di battaglie di genere».
Attenta da sempre alle tematiche femminili, laica, nel 2005 Camusso è stata promotrice del movimento Usciamo dal silenzio, che ha portato 200 mila persone a Milano a manifestare in difesa della libertà femminile e della legge sull'aborto...
«In Cgil la metà sono donne, ma, in generale, nel mondo del lavoro e nella società le disparità sono notevolissime. La condizione delle donne è specchio della democrazia di un Paese. E la nostra democrazia non gode certo di ottima salute».
Chi la conosce dai primi tempi, la ricorda come una ragazza affascinante...
«C'erano sindacalisti che usavano il ruolo per sedurre le operaie, e operai rigorosi che non perdonavano a Togliatti di aver lasciato la moglie per la Jotti».
Donna, giovane, e bella: mai un problema?
«Solo una volta, nel 1978: gli operai di un'impresa che impiantava piattaforme subacquee chiesero al mio posto un esperto, e maschio».
3 novembre 2011Rita Cenni
Oggi.it
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