Una sentenza importantissima perché il contratto Unci è a tutti gli effetti un contratto collettivo
TORINO - Negli ultimi anni Manuela ha lavorato per otto ore al giorno in fabbrica, collaudando compressori e facendo la magazziniera. Il suo collega ha lavorato le stesse ore, gomito a gomito, collaudando compressori e facendo il magazziniere. Ma mentre lui portava a casa uno stipendio decente, lei a fine mese si doveva accontentare di una paga infima: 840 euro lordi, circa 600 netti. Perché? Semplice: Manuela era socia di una cooperativa, la Coop 2000, che applica il contratto Unci-Cnai. Significa niente quattordicesima, tredicesima ridotta all’osso, ferie e straordinari al lumicino. La domenica non c’è alcuna maggiorazione. Idem se si lavora di notte invece che di giorno. Così Manuela ha lavorato per anni a 4,86 euro all’ora.
Una paga da fame. Tanto che ora il tribunale del lavoro di Torino ha dichiarato quel contratto lesivo della dignità della persona. Violerebbe infatti l’articolo 36 della Costituzione che dice: «Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa».
Una sentenza importantissima perché il contratto Unci è a tutti gli effetti un contratto collettivo. L’Unione nazionale delle cooperative italiane firma questo genere di contratti con sigle sindacale sconosciute alla maggior parte dell’opinione pubblica (Confsal, Cisal, Fesica, Cnai) ma che hanno pari dignità da quando una legge ha previsto che i Ccnl non debbano più per forza essere firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi, ma possano esserlo anche da quelli comparativamente rappresentativi a seconda del settore lavorativo.
Contratti diventati «famosi» nel mondo sindacale. «Abbattono a tal punto gli stipendi da fare concorrenza sleale - dice Elisabetta Mesturino, segretario provinciale della Filcams Cgil, il sindacato che ha seguito il caso di Manuela - Con i loro stipendi stracciati si aggiudicano tutti gli appalti al massimo ribasso». La Coop 2000 aveva vinto quello alla Abac, multinazionale che nello stabilimento di Manuela contava circa 600 lavoratori. Ma il contratto Unci, soprattutto in settori come quello della logistica, si sta diffondendo in fretta.
«L’ispettorato del lavoro ha più volte mostrato dubbi sul contratto Unci - dice ancora la Mesturino - Invitavano i soci lavoratori a rivolgersi al giudice per far verificare se rispettasse l’articolo 36 della Costituzione. Ma è difficile che un singolo lavoratore si lanci in battaglie del genere. Per questo la sentenza di Torino è fondamentale: è un precedente che darà coraggio ad altri soci lavoratori».
Il tribunale di Torino ha condannato la cooperativa a liquidare a Manuela 8.851,21 euro per gli anni arretrati.
Ma come si calcola se uno stipendio è dignitoso? «Il giudice del lavoro Mauro Mollo ha compiuto una corposa ricerca facendosi consegnare dal Cnel tutti i contratti collettivi siglati per il settore logistica - spiegano gli avvocati Ernesto e Fausto Raffone, che hanno seguito Manuela nella causa - Dalla comparazione è emerso che il contratto Unci era inferiore del 35%. Un evidente e immotivata disparità. Il giudice, pur non intaccando il diritto di sigle sindacali meno rappresentative a firmare contratti collettivi, ha ritenuto la parte economica del contratto Unci incompatibile con la dignità del lavoratore».
Raphaël Zanotti
La Stampa.it
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COMUNICATO STAMPA
Etica e Responsabilità Sociale dell'impresa: fuori dai cicli produttivi e di lavorazione chi opera
nell'illegalità e sfrutta il lavoro dipendente
Anche in Emilia Romagna il sistema produttivo, cooperativo ed industriale, è inquinato dall'idea che la
competizione passa dalla penalizzazione del lavoro dipendente ed in alcuni casi dallo sfruttamento dello
stesso.
Ci si riempie la bocca di sviluppo, qualità, innovazione e poi sull'altare della crisi si sacrificano diritti,
salario e dignità.
In agricoltura, nell'industria, nei servizi e nelle cooperative, sono all'ordine del giorno i tentativi di non
applicare i contratti nazionali, di derogare dagli stessi ricercando accordi con organizzazioni sindacali
accondiscendenti o, come in diversi casi della cooperazione, di rifugiarsi in contratti “pirata” che
peggiorano le condizioni economiche e di lavoro dei lavoratori dipendenti, per non parlare di casi di
schiavismo, gestito da beceri caporali travestiti da “imprenditori” , che si stanno espandendo.
Il tutto avviene nella assoluta indifferenza, come se fosse naturale considerare il lavoro, i suoi costi, la leva
sulla quale giocare la competizione.
Poco conta se un governo, invece di investire, taglia risorse fondamentali per sostenere lo sviluppo.
Poco conta se da anni siamo in assenza di una politica industriale in grado di riconsegnare a questo paese
un'idea concreta di sviluppo sostenibile.
Poco conta se il sistema del credito non è uno strumento sul quale fare leva per rilanciare i punti di
eccellenza presenti nel paese.
Tanto c'è il lavoro sul quale costruire marginalità, rendita, puro e semplice profitto: basta tagliare “costi”
come i diritti, i salari, la sicurezza.
In questo contesto di impoverimento ed imbarbarimento generale l'intero paese, compresa la nostra regione,
subisce gli effetti di una crisi che ha inciso pesantemente sulla qualità dei prodotti, dei servizi, del lavoro.
Questo sistema è un terreno fertile per chi intende speculare nella competizione facendo leva sull'illegalità,
sulle frodi, sull'evasione contributiva-fiscale-contrattuale, producendo in questo modo dumping economico e
sociale che l'intero sistema delle imprese, con la propria rappresentanza, deve assumersi la responsabilità di
alienare.
Non si può rincorrere l'impoverimento producendo altro impoverimento attraverso lo smantellamento dei
contratti collettivi di lavoro e l'attacco ai diritti dei lavoratori; l'unico effetto che si produce è la perdita di
competitività ed la stagnazione della crisi.
Casi come l'applicazione del contratto dell'Unci – Cnai per le cooperative della logistica, giudicato dal
tribunale di Torino come strumento che viola la dignità della persona, o della disdetta dei contratti
integrativi collettivi da parte di diverse aziende della regione, o della riduzione della retribuzione dei
lavoratori e dell'aumento delle ore di lavoro per il lavoratori del gruppo Delta, o della mancata
riconversione del comparto saccarifero, o dell'uso di schiavi nella filiera agroalimentare, o della mancata
applicazione dei contratti nelle cooperative sociali, od il fiorire di contratti “pirata” siglati con
organizzazioni sindacali di comodo che penalizzano il lavoro dipendente, o la costituzione di newco per
aggirare l'applicazione contrattuale, rappresentano l'idea di un modello sociale, economico, produttivo che
questo paese non può più sopportare e che va contrastato in tutti i modi e con tutti gli strumenti possibili.
Non c'è compromesso possibile, intesa raggiungibile, con chi persevera nell'assecondare chi continua ad
operare in questo modo; non c'è più tempo da perdere se davvero si vuole rilanciare questo paese e relazioni
fondate sul presupposto che il lavoro è un costo e non un valore sono solo tempo perso.
Antonio Mattioli
Segretario Regionale Cgil Emilia Romagna
05 Novembre 2010
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