12 ottobre 2010

IN ITALIA SI GIOCA IL RISIKO DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE



Ecco le forze in campo, regione per regione





Otto leader in venti regioni diverse fanno un po' la storia della distribuzione in Italia ma anche il trionfo del federalismo distributivo.
Non a caso i punti vendita recano le insegne dei player internazionali, i loghi dei grandi e dei piccoli competitor nazionali e un numero impressionante di sigle di gruppi associati.

Per Paolo Barberini, presidente di Federdistribuzione, «è positivo che in Italia non ci sia uno o due leader, o un formato commerciale, predominante da imporre le politiche agli altri operatori. Ma, d'altro canto, la frammentazione è un lusso che non possiamo permetterci, pena l'espulsione dal mercato».

Per Luca Pellegrini, ordinario all'università Iulm di Milano, «le differenze regionali sono talmente forti, non solo rispetto alle tradizioni gastronomiche ma anche di reddito, da costituire un freno all'espansione fuori area delle catene». Si pensi alle difficoltà di Coop in Sicilia o alla ritirata di Carrefour da Puglia e Basilicata.

Nel panorama italiano prevale dunque il localismo distributivo, a volte con quote regionali di riferimento che non arrivano al 20%, altre volte con punte fra il 30 e il 50%. Nella mappa della distribuzione grocery italiana tracciata da SymphonyIri Group, Conad svetta in sei regioni, tra cui Lazio e Campania, ma è costretta a cedere il passo a Coop, con 5 primati, nelle ricche regioni "rosse" dell'Emilia Romagna e della Toscana cui si aggiungono anche Liguria, Umbria e Friuli; il gruppo associativo Selex primeggia, a sorpresa, in tre regioni, tra cui Veneto e Puglia; Auchan fa breccia nelle Marche e in Sicilia mentre Esselunga deve accontentarsi del "solo" primato in Lombardia, la regione più ricca d'Italia.

Quanto alle concentrazioni, in dettaglio Coop sfonda largamente il tetto del 40% di quota di mercato in Toscana (48%) ed Emilia Romagna (41%) e la lambisce in Liguria (39,2%); il gruppo associato C3 la centra in Valle D'Aosta mentre Selex si ferma a un passo (38,5%) in Basilicata. In Lombardia Esselunga impugna lo scettro del comando con poco più del 28% del mercato, ma stacca nettamente Carrefour e Auchan (circa l'11%) e soprattutto il "nemico" Coop (7,9%).

Tuttavia in casa delle cooperative la situazione dei duellanti si rovescia: in Toscana la società di Bernardo Caprotti non arriva nemmeno alla metà della quota della Coop e in Emilia si ferma al 7%. In Piemonte Coop ed Esselunga sono i follower di Carrefour, gigante degli ipermercati con oltre il 22% del mercato, ma con quote, rispettivamente, del 18 e del 10%. In Emilia, Coop e Conad si ritagliano circa il 70% del mercato. Tuttavia «la forte concentrazione delle cooperative – sostiene Barberini – non si traduce automaticamente nel controllo dei prezzi: dai nostri panel emerge che la concorrenza è molto agguerrita».

Ma non mancano neanche i buchi nelle reti: Coop, leader nazionale, è assente in Valle D'Aosta, Sardegna, Calabria e Molise mentre Esselunga, terzo competitor, è presente solo in Lombardia, Emilia, Toscana, Liguria, Piemonte e marginalmente in Veneto. «Il quadro a macchia di leopardo che emerge – osserva Gianmaria Marzoli, vice presidente retail di SymphonyIri Group – si complica ulteriormente e livello provinciale. Insomma la mappa di oggi è il frutto della storia e dell'evoluzione della grande distribuzione italiana, tanto che, alla fine, si potrebbe dire che ciascun distributore è padrone a casa propria. Forse solo Conad ha una presenza più capillare a livello nazionale».

«Il federalismo distributivo – aggiunge Pellegrini – nasce nei territori e si espande nelle aree limitrofe, condizionato peraltro da un sistema di autorizzazioni che non è stato pro-quota».
Secondo il docente è improponibile un processo di aggregazione accelerato «ma la grande crisi degli iper potrebbe dare una spinta al processo di consolidamento. Anche se gli specialisti degli iper, come Carrefour e Auchan, stanno premendo sul pedale dell'associazionismo e del franchising. Funzionerà? É una partita aperta: le multinazionali decidono rapidamente, l'associazionismo ha tempi più lunghi».

Anche per Barberini la crisi dell'iper può portare a un consolidamento «ma intanto gli operatori possono dividere le superfici e i costi delle strutture». Ma da cosa nasce la crisi dell'Iper? «Dalla presenza del non food sugli scaffali – risponde Marzoli –. I prodotti elettronici e l'abbigliamento sono offerti, con più varietà e servizio, da Media World, da Zara e H&M. Inoltre una popolazione più anziana preferisce la comodità dei negozi di prossimità».

«Oggi – conclude Pellegrini – i consumatori premiano il formato del superstore, come quelli di Esselunga, e il negozio di vicinato. Si tratta quindi di ricostruire una struttura commerciale: è un netto cambio di direzione ma è quello che hanno fatto in Inghilterra».

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10 ottobre 2010

Emanuele Scarci

Il Sole 24 Ore


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