Ora si cercherà di far rientrare Fiom tagliata fuori, anche in virtù del buon risultato di Mirafiori, che per nemesi storica paga le conseguenze di quel referendum vittorioso
Quanto sta avvenendo alla Fiat e intorno la Fiat ci impone di rilanciare con urgenza una riflessione sulla democrazia e la rappresentanza nei luoghi di lavoro. In primo luogo va dato un giudizio netto su quanto va facendo Marchionne in giro per l'Italia. Da Pomigliano a Torino è in corso una barbara offensiva sul piano dello sfruttamento e delle regole delle relazioni industriali fin qui conosciute nel nostro Paese.
Ciò avviene con il beneplacito non solo dei sindacati complici firmatari dei vari contratti che si vanno definendo a misura addirittura di “sito” produttivo – una newco diversa per ogni stabilimento con un contratto ”nazionale” ad hoc – ma anche con il sostanziale via libera del PD, del Governo e, sebbene velato da qualche fastidio, di confindustria. Detto ciò, e avviato tutto quello che è necessario mettere in campo per contrastare questo progetto di restaurazione autoritaria del comando di impresa, è bene anche soffermarsi su quanto sta accadendo dal punto di vista degli strumenti che Marchionne usa per riuscire nel suo intento.
Il contratto stipulato per Pomigliano si rifà costantemente, per quanto attiene le relazioni sindacali, a quanto all’uopo previsto dall’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori (legge 300/70). Quando cioè Marchionne e Cisl, Uil, Ugl e Fismic affermano che le Rappresentanze sindacali aziendali potranno essere costitute solo ad iniziativa delle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto, applicano pedissequamente quanto contenuto nel citato articolo 19 dopo che questo è stato mutilato di una sua parte con il Referendum del ’95.
Ai senza memoria ricordiamo brevemente la storia dell’articolo 19 dello Statuto; fino al 1995 esso si componeva così: Art. 19. Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali.
1. Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito:
a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva.
2. Nell’ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento.
Nel 1995 furono promossi due referendum su questo specifico testo. Uno promosso dalle forze del sindacalismo di base che intendeva abrogare totalmente le lettere a) e b) del comma 1, con l’obiettivo di rendere indispensabile giungere immediatamente ad una legge di regolazione della rappresentanza e rappresentatività nei luoghi di lavoro, in attuazione dell’articolo 39 della Costituzione Italiana, per riempire il vuoto normativo creato, appunto, dall’abrogazione totale dell’articolo 19.
L’altro venne promosso dalla sinistra sindacale di allora, guidata dall’ex segretario confederale della Cgil Fausto Bertinotti, primo firmatario Paolo Cagna, che intendeva abrogare solo la lettera a) dell’articolo 19, quella cioè che consentiva la costituzione delle RSA anche alle associazioni sindacali affiliate a Confederazioni maggiormente rappresentative.
Tutti e due i referendum furono ammessi dalla Corte Costituzionale ma al primo, quello dell’abrogazione totale, mancarono circa 5.000 voti per raggiungere il quorum (dato fortemente contestato dai promotori e quasi certamente ci furono brogli di cui non riuscimmo mai a venire a capo).
Il secondo invece raggiunse il quorum e da allora l’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori è esattamente quello che oggi utilizza Marchionne per far fuori tutte le organizzazioni non firmatarie del nuovo contratto per gli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori.
E’ evidente che ciò non sarebbe stato possibile se l’articolo 19 fosse stato abrogato tutto o fosse rimasto vigente come scritto dal legislatore, essendo tutte le organizzazioni categoriali presenti in quelle aziende affiliate a Confederazioni considerate maggiormente rappresentative. E così coloro che oggi più di tutti si ergono a paladini della democrazia, quelli che si fanno promotori di comitati e associazioni a sostegno, sono proprio quelli che allora fornirono lo strumento che oggi le controparti utilizzano.
Ma perché una parte consistente della sinistra di allora si schierò per il referendum parziale? E’ del tutto evidente che la vittoria del referendum totale avrebbe imposto la definizione di una legge che andasse nel senso voluto dai promotori, cioè quello di una definizione per legge delle regole di democrazia e rappresentanza nei luoghi di lavoro che contenesse in se elementi di maggiore democrazia e pluralismo sindacale. Ciò avrebbe consentito una ancora più forte crescita del sindacalismo di base che poteva davvero diventare l’alternativa credibile alla deriva concertativa delle organizzazioni sindacali storiche e all’entrismo nella Cgil propugnato invece proprio dai promotori del secondo referendum. L’effetto di quel referendum, assieme alla vittoria di quello promosso dai radicali che impediva la raccolta automatica delle quote sindacali attraverso la ritenuta in busta paga operata dai datori di lavoro, fu devastante per tutto il sindacalismo di base che, da
un giorno all’altro si vide senza alcun diritto nei luoghi di lavoro e privato della possibilità di raccogliere le quote di adesione attraverso la trattenuta automatica in busta paga. Esattamente quello che, a 16 anni di distanza, in una mutata fase politica e dei rapporti di forza, sta accadendo alla Fiom.
Certo è bene oggi mettere in campo ogni possibile strumento per cercare di fermare la dottrina Marchionne, soprattutto perché l’attacco profondo, oltre che alle libertà sindacali, è soprattutto alle condizioni d vita e di lavoro degli operai della Fiat. Vorremmo però ricordare a tutti che quanto accade oggi alla FIOM è accaduto 16 anni fa al sindacalismo di base e, all’epoca, non trovammo proprio nessuno che costituisse comitati e raccogliesse firme per difendere le libertà e il pluralismo sindacale, eppure mettemmo in campo centinaia di iniziative in splendida solitudine. Se qualcuno avesse riflettuto di più allora su cosa stava accadendo nei luoghi di lavoro, forse oggi non saremmo costretti a batterci per difendere il diritto dei lavoratori Fiat ad organizzarsi con chi meglio credono. Comunque è tempo di rimettere in pista una battaglia forte e ampia perché torni la democrazia vera nei luoghi di lavoro, in tutti i luoghi di lavoro.
Ben vengano quindi tutti gli scioperi e le iniziative di lotta contro la nuova “FilosoFiat”. La USB con il “Forum Diritti/Lavoro” ha già avviato un largo processo di discussione per giungere al più presto alla stesura di una proposta di legge di iniziativa popolare sulla rappresentanza e la democrazia sui luoghi di lavoro, ma soprattutto sta avviando un confronto ampio con tutte le organizzazioni sindacali conflittuali e con i movimenti in lotta per costruire assieme lo Sciopero generale e generalizzato, tra le cui parole d’ordine non potranno che esserci anche quelle della democrazia e dell’indipendenza.
31 dicembre 2010
USB Unione Sindacale di Base
1 commento:
D'accordissinmo con tutto e per questo ritengo un grosso errore che usb e cgil non abbiano colto l'occasione di fare del 28 uno sciopero generale e generalizzato assieme ai loro settori metalmeccanici (Fiom, usb metalm.), ai Cobas, all'Unione Sindacale Italiana, a parte della CUB. Alcuni lavoratori dell'ipercoop casilino, comunque, iscritti a Cgil, usb e a niente, aderiranno individualmente alla mobilitazione del 28;
ciao, Franco
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