Si spiega così anche la mano pesante delle Coop sui contratti integrativi in corso di trattativa, l'iniziativa della newco di Unicoop Firenze e le misere remunerazioni sugli interessi dei libretti del prestito sociale
Tassinari (Presidente del consiglio di gestione di Coop Italia):
«Di fronte a una situazione generale che sembra tenere rispetto ad altri settori – aggiunge – nella grande distribuzione esistono aree di sofferenza se non peggio. Per esempio il sud è veramente una catastrofe e anche al nord i consumi si sono ridotti. Il nostro settore è nel pieno della crisi e il calo delle vendite a rete corrente lo dimostra: per la prima volta le nuove aperture nel 2010 sono state inferiori alle chiusure e questo è preoccupante. Anche i distributori possono fallire e chiudere.»
Il 2010 non si è chiuso bene per il settore della grande distribuzione moderna e le aspettative degli operatori non sono rosee nemmeno per quest'anno. Secondo le ultime rilevazioni di SymphonyIri Group le vendite nei super e ipermercati hanno registrato una flessione dell'1,6% a rete omogenea e, fatto che non capitava da oltre trent'anni, sono scese anche considerando le nuove aperture.
A dimostrazione che, salvo alcuni casi in controtendenza, «anche le aziende della grande distribuzione stanno pagando il prezzo della crisi economica generale: il settore non è anticiclico, come sostengono in molti». A parlare è Vincenzo Tassinari, presidente del consiglio di gestione di Coop Italia. «Di fronte a una situazione generale che sembra tenere rispetto ad altri settori – aggiunge – nella grande distribuzione esistono aree di sofferenza se non peggio. Per esempio il sud è veramente una catastrofe e anche al nord i consumi si sono ridotti. Il nostro settore è nel pieno della crisi e il calo delle vendite a rete corrente lo dimostra: per la prima volta le nuove aperture nel 2010 sono state inferiori alle chiusure e questo è preoccupante. Anche i distributori possono fallire e chiudere. È anche possibile che siano rallentati gli investimenti nelle nuove aperture il che può andar bene nelle aree già ad alta concentrazione di negozi, ma non in quelle dove invece sarebbe necessario il loro sviluppo».
Il saldo negativo tra aperture e chiusure è il sintomo che «abbiamo raggiunto livelli di saturazione piuttosto alti – spiega Maniele Tasca, direttore generale di Selex – un fattore che è diventato più critico in una situazione, come quella attuale, di frenata dei consumi. C'è più prudenza da parte degli operatori: diversi sono usciti dai mercati del sud e c'è la tendenza a spostare gli investimenti sulle ristrutturazioni piuttosto che sulle nuove aperture».
Queste ultime stanno portando via quote di mercato alla distribuzione invece che aggiungerne, secondo Francesco Pugliese, direttore generale di Conad. E aggiunge: «Siamo in una situazione veramente di debolezza del settore: scendono i consumi alimentari, il carrello si impoverisce perché le famiglie tendono a preferire prodotti con il miglior rapporto tra prezzo e qualità, e aumenta la pressione promozionale».
Ecco perché il calo delle vendite a rete corrente non stupisce Gianni Cavalieri, nuovo presidente di Interdis, secondo cui, invece che puntare sulle nuove aperture, sarebbe meglio consolidare l'attività dei punti vendita già esistenti. «Il mercato non cambia – spiega Cavalieri –. I consumi scendono, i budget delle famiglie non cambiano e la spesa si ripartisce su un numero maggiore di punti vendita. Ci sono tre fattori da considerare: il paniere della spesa è cambiato, perché sono cambiati gli indici di priorità delle famiglie; l'incertezza economica e occupazionale abbassa inevitabilmente i consumi e si assiste a un reale calo del potere d'acquisto. Serve una politica generale di incentivi al consumo, anche da un punto di vista psicologico».
Paolo Barberini, presidente di Federdistribuzione, aggiunge: «Purtroppo nel 2010 i consumi sono stati molto deboli e ciò ha influito sulle vendite della distribuzione. Le incertezze in ambito lavorativo, la diminuita disponibilità economica e le preoccupazioni per il futuro hanno frenato gli acquisti delle famiglie, inducendole a comprimere anche la spesa alimentare, solitamente più rigida alle variazioni del reddito. La gdo ha tutelato il potere d'acquisto dei consumatori con più promozioni e prezzi più bassi a scapito dei fatturati per sostenere i volumi, determinando però una riduzione degli indicatori di redditività»
Una situazione «complicata», la definisce Barberini, «che si ripete da qualche anno e che rischia di portare a un calo degli investimenti del settore e a una sua minor capacità di creare occupazione. Per uscire da questa condizione occorre una politica di liberalizzazioni dei mercati per abbattere vecchie posizioni di rendita, di sostegno ai redditi delle famiglie per incrementare i consumi e di incentivi agli investimenti per favorire nuove aperture e soprattutto ammodernamenti delle reti commerciali, così da alimentare un indotto di pmi locali e attivare un virtuoso impegno occupazionale»
A dimostrazione che, salvo alcuni casi in controtendenza, «anche le aziende della grande distribuzione stanno pagando il prezzo della crisi economica generale: il settore non è anticiclico, come sostengono in molti». A parlare è Vincenzo Tassinari, presidente del consiglio di gestione di Coop Italia. «Di fronte a una situazione generale che sembra tenere rispetto ad altri settori – aggiunge – nella grande distribuzione esistono aree di sofferenza se non peggio. Per esempio il sud è veramente una catastrofe e anche al nord i consumi si sono ridotti. Il nostro settore è nel pieno della crisi e il calo delle vendite a rete corrente lo dimostra: per la prima volta le nuove aperture nel 2010 sono state inferiori alle chiusure e questo è preoccupante. Anche i distributori possono fallire e chiudere. È anche possibile che siano rallentati gli investimenti nelle nuove aperture il che può andar bene nelle aree già ad alta concentrazione di negozi, ma non in quelle dove invece sarebbe necessario il loro sviluppo».
Il saldo negativo tra aperture e chiusure è il sintomo che «abbiamo raggiunto livelli di saturazione piuttosto alti – spiega Maniele Tasca, direttore generale di Selex – un fattore che è diventato più critico in una situazione, come quella attuale, di frenata dei consumi. C'è più prudenza da parte degli operatori: diversi sono usciti dai mercati del sud e c'è la tendenza a spostare gli investimenti sulle ristrutturazioni piuttosto che sulle nuove aperture».
Queste ultime stanno portando via quote di mercato alla distribuzione invece che aggiungerne, secondo Francesco Pugliese, direttore generale di Conad. E aggiunge: «Siamo in una situazione veramente di debolezza del settore: scendono i consumi alimentari, il carrello si impoverisce perché le famiglie tendono a preferire prodotti con il miglior rapporto tra prezzo e qualità, e aumenta la pressione promozionale».
Ecco perché il calo delle vendite a rete corrente non stupisce Gianni Cavalieri, nuovo presidente di Interdis, secondo cui, invece che puntare sulle nuove aperture, sarebbe meglio consolidare l'attività dei punti vendita già esistenti. «Il mercato non cambia – spiega Cavalieri –. I consumi scendono, i budget delle famiglie non cambiano e la spesa si ripartisce su un numero maggiore di punti vendita. Ci sono tre fattori da considerare: il paniere della spesa è cambiato, perché sono cambiati gli indici di priorità delle famiglie; l'incertezza economica e occupazionale abbassa inevitabilmente i consumi e si assiste a un reale calo del potere d'acquisto. Serve una politica generale di incentivi al consumo, anche da un punto di vista psicologico».
Paolo Barberini, presidente di Federdistribuzione, aggiunge: «Purtroppo nel 2010 i consumi sono stati molto deboli e ciò ha influito sulle vendite della distribuzione. Le incertezze in ambito lavorativo, la diminuita disponibilità economica e le preoccupazioni per il futuro hanno frenato gli acquisti delle famiglie, inducendole a comprimere anche la spesa alimentare, solitamente più rigida alle variazioni del reddito. La gdo ha tutelato il potere d'acquisto dei consumatori con più promozioni e prezzi più bassi a scapito dei fatturati per sostenere i volumi, determinando però una riduzione degli indicatori di redditività»
Una situazione «complicata», la definisce Barberini, «che si ripete da qualche anno e che rischia di portare a un calo degli investimenti del settore e a una sua minor capacità di creare occupazione. Per uscire da questa condizione occorre una politica di liberalizzazioni dei mercati per abbattere vecchie posizioni di rendita, di sostegno ai redditi delle famiglie per incrementare i consumi e di incentivi agli investimenti per favorire nuove aperture e soprattutto ammodernamenti delle reti commerciali, così da alimentare un indotto di pmi locali e attivare un virtuoso impegno occupazionale»
19 gennaio 2011
Marika Gervasio
Il Sole 24 Ore
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