16 agosto 2010

TASSINARI (COOP ITALIA) E LA VECCHIA PANZANA DELL'ITALIANITA'

Tassinari (Coop Italia) rispolvera il vetusto e poco credibile concetto dell'italianità nella querelle con Esselunga, confermando una rigidità di pensiero delle Coop che dura, inossidabile, nel tempo

Nella foto Vincenzo Tassinari e Bernardo Caprotti


Che i personaggi che gestiscono le Coop della grande distribuzione siano vecchi, è un fatto anagrafico e noto. Che non sia solo un fattore anagrafico, ma di pensiero, è altrattanto evidente.


Ce lo conferma per l'ennesima volta Vincenzo Tassinari, presidente del comitato di gestione di Coop Italia. Tassinari, nell'intervista che segue, riprende la polemica antica e recente col rivale storico di Esselunga, Bernardo Caprotti, usando l'argomento ridicolo dell'italianità, o per meglio dire del non passi lo straniero. Ma citiamo qualche precedente illustre, giusto per focalizzare meglio il tema.

La panzana dell'italianità è stata usata da molti manager e politici in difficoltà e privi di argomenti, quando si è cercato di far digerire all'opinione pubblica una bella razione di balle. Si ricorderà come, nel 2005, l'amministratore delegato dell'allora Banca Popolare di Lodi (oggi Gruppo Banco Popolare) innalzava il tricolore sul suo tentativo di OPA su Banca Antonveneta e la stessa tesi fosse sostenuta da Antonio Fazio, allora presidente di Banca d'Italia, lungi dall'essere imparziale nel valutare la migliore opzione per gli azionisti offerta dal gruppo olandese di ABN Amro che vantava anche i migliori parametri patrimoniali. Poi le intercettazioni sui furbetti del quartierino da una parte e su quelli che "abbiamo una banca?" hanno chiuso il capitolo.

Di italianità (concetto alquanto fumoso, ma che nelle intenzioni di chi lo enuncia dovrebbe andare oltre ad un generico attaccamento alla patria e significherebbe quindi tutelare un interesse superiore, quello nazionale) si parlò anche per il caso Alitalia. Peccato che la soluzione migliore fosse quella di accettare l'offerta di Air France, molto più conveniente, che finirà comunque col rilevare il tutto a condizioni probabilmente per lei migliori di allora. Nel frattempo ci saranno stati lauti profitti, non certo per gli italiani, che per Alitalia hanno sempre pagato sotto ogni governo coprendo con le loro tasse le copiose perdite della compagnia aerea nel tempo, ma per Colaninno e soci che avranno fatto, anche nel nome dell'italianità (e alla faccia degli italiani) una buona plusvalenza.

Del resto Colaninno si è sempre ben distinto in questo particolare concetto di italianità, fin dal tempo dei capitani coraggiosi di dalemiana definizione e dell'OPA di Olivetti-Tecnost su Telecom Italia. Altro vantaggio di cui Colaninno e l'altro capitano coraggioso Chicco Gnutti, poi travolto da una serie di inchieste giudiziarie, tra cui quella per aggiotaggio su obbligazioni Unipol, hanno goduto. Gli italiani no. L'italianità parrebbe dunque un concetto relativo. A qualcuno conviene (pochi, appoggiati ed interessatissimi) per la stragrande maggioranza degli abitanti lo Stivale, una solenne bidonata. Ma il figlio di Roberto Colaninno è stato eletto nelle liste del PD, allora può darsi che qualcosa ci sfugga.

E citiamo l'esempio più vicino al nostro ambiente, quello delle Coop, quando nell'autunno del 2006 si parla sempre più insistentemente di una vendita di Esselunga ad una gruppo straniero della grande distribuzione. Tornerebbe tutto. Caprotti è vecchio, ne ha piene le palle, i figli e il parentado li ha fatti fuori, insomma, come si dice con un termine più edulcorato non c'è ricambio generazionale per la Lunga Esse. Allora il veccio cocciuto, chiuso in corner venderebbe, ma venderebbe (blasfemia!) agli stranieri.

Apriti cielo. Le Coop, che hanno sempre temuto il libero mercato, non tanto in quanto mercato, ma in quanto libero (Caprotti sa bene quello che dice quando parla dei vantaggi ottenuti dalle Coop nelle regioni amministrate da giunte amiche) impugnano la bandiera dell'italianità contro la temuta invasione straniera. In pratica sostengono, cercando anche l'appoggio del governo di centro-sinistra dell'epoca, che Caprotti dovrebbe vendere la sua Esselunga alle Coop, in ragione, appunto, di un interesse superiore: quello dell'italianità.

Questo concetto dell'italianità però non si capisce mica. Come italiani dovremmo essere contenti non tanto che una catena di supermercati rimanga nelle mani di un gruppo italiano anziché passare ad un gruppo straniero. Il nostro vantaggio sta solo nei prezzi e nel servizio migliore. Ecco quello che ci conviene. Morale: Le Coop pensano che gli italiani siano dei fessi e si emozionino alla stessa maniera, sia che giochi la nazionale di calcio o che si compri una catena di supermercati. E loro dicono di rifarsi a dei valori. Andiamo bene!

Pensavamo che questa fregnaccia dell'italianità fosse finita, macché! Ecco quel fenomeno vivente di Vincenzo Tassinari tirarla di nuovo fuori con un concetto sinonimo: "Le polemiche (quelle con Caprotti - nota blog) distolgono dall'obiettivo di rafforzare il sistema distributivo, rischiano di agevolare le catene straniere e di rallentare le autorizzazioni."

Ma perché? Chi impedisce al sistema Coop, forte di 12 miliardi di euro di prestito sociale e di agevolazioni fiscali, di giocare la propria partita contro la concorrenza? Alla Coop detestano il clamore, lo si sa. Forse temono che a causa di questo baccano di Caprotti intorno alle concessioni commerciali in determinate regioni, venga data qualche concessione in più alla concorrenza per sembrare un pò meno parziali e più liberisti?

Quello che sappiamo, presidente Tassinari, è che la panzana dell'italiano e dello straniero non la beviamo di certo. Inoltre sarebbe almeno il caso di usare argomenti più incisivi ed intelligenti, proprio nel rispetto degli italiani, dell'italianità se preferisce, o forse dell'intelligenza, che non ha nazione.

*********************************************************************

"ESSELUNGA-COOP, UNA QUERELLE CHE FA MALE AL SISTEMA-ITALIA"

Vincenzo Tassinari, presidente del consiglio di gestione di Coop Italia: "le polemiche distolgono dall'obiettivo di rafforzare il sistema distributivo, risciano di agevolare le catene straniere e di rallentare le autorizzazioni."

La querelle Esselunga-Coop è nociva perché distoglie dalle vere priorità legate alla distribuzione (a partire dalla necessità di modernizzare ed “efficientare” il sistema della Gd in Italia), rischia di agevolare l’accesso sul mercato nazionale di catene straniere e, non da ultimo, potrebbe indurre a una cautela ancora maggiore le amministrazioni chiamate a rilasciare licenze, in un contesto nel quale già oggi ci vogliono fino a 15 anni per aprire un punto vendita.

Lo sostiene, in un’intervista a www.corriereortofrutticolo.it Vincenzo Tassinari, presidente del consiglio di gestione di Coop Italia.

E' un’estate calda per il sistema distributivo nazionale: la diatriba tra le società lombarda e il colosso cooperativo tiene banco e rischia di lasciare il segno. Il patron di Esselunga Bernardo Caprotti, dopo aver pubblicato nel 2007 il libro “Falce e carrello” che elenca tutta una serie di presunti torti subiti dalla sua società a favore di quello che definisce il “gigante rosso”, ha acquistato a luglio pagine di quotidiani nazionali per denunciare anomale pressioni contro lo sbarco di Esselunga a Modena e Livorno. Due provincie “inaccessibili”, stando alle inserzioni, dove i livelli di concentrazione di Coop e Conad si aggirerebbero tra il 72 e l'88%.

Ma Tassinari non ci sta: “Nel sistema distributivo italiano ci possono volere anche 15 anni per passare dalla fase progettuale all’effettiva apertura di un punto vendita. La storia è lì a dimostrarlo. Anche quella di Coop, che tante volte ha dovuto fare i conti con problemi di natura burocratica, veti, impedimenti di vario genere. Nei nostri 150 anni di storia potremmo scrivere un’enciclopedia…”.


“Indubbiamente – spiega Tassinari – laddove ci siamo impegnati a fare sviluppo e qualcuno ha pensato di invadere i nostri presìdi, non siamo rimasti immobili e impassibili. Ci difendiamo, ma senza sponde delle amministrazioni e compiacenze politiche. Esselunga è nata nel 1957. Noi a quel tempo avevamo già oltre 6.000 spacci cooperativi. Il nostro è un primato cher deriva dalla storia”.

L’aspetto peggiore della querelle, sostiene il presidente del consiglio di gestione di Coop Italia, è che distoglie da quello che dovrebbe essere l’obiettivo prioritario, ossia creare le condizioni per sviluppare adeguatamente il sistema distributivo italiano, storicamente debole: “Lo sviluppo del Paese passa anche dallo sviluppo della grande distribuzione, dal miglioramento della sua competitività per scongiurare il pericolo di essere colonizzati dalle catene straniere. La perdita di quote dei gruppi italiani rappresenterebbe un rischio per l’intera filiera, a partire dalla produzione. Purtroppo l’impressione è che operiamo un Paese che più che a valorizzare i propri asset, tende a distruggerli”.

Al gruppo di Pioltello, Tassinari imputa di aver portato la battaglia su un terreno politico, di appartenenza partitica: “Non credo che i nostri sette milioni di soci siano tutti legati da uno stesso credo”. E’ sleale”.

Ed esprime il timore che in futuro le amministrazioni potranno essere ancora più guardinghe al momento di decidere se concedere o meno licenze. “Indubbiamente gli interlocutori politici saranno più cauti, ci sarà maggiore prudenza. Questa vicenda non farà bene a nessuno”.

L’ultima battuta Tassinari la dedica all’esito di indagini riportate, anche negli ultimi tempi, da testate specializzate che indicherebbero prezzi mediamente più bassi nelle aree presidiate da insegne distributive diverse: “Il discorso sarebbe lungo. Sintentizzando dico che queste rilevazioni sono prive di ogni fondamento. Non hanno alcuna attendibilità. Punto”.

www.corriereortofrutticolo.it ha chiesto anche ad Esselunga un parere sulla vicenda, ma dal quartiere generale di Pioltello non è al momento arrivata alcuna dichiarazione.

16 agosto 2010

Mirko Aldinucci

CorriereOrtofrutticolo.it


Nessun commento: